Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3395 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 12/02/2020), n.3395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9777/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n.

12;

– ricorrente –

contro

Coop Lombardia scarl, con la prof. avv. Livia Salvini e dall’avv.

Alberto Cusimano, con domicilio eletto nel loro studio in Roma,

viale Mazzini, n. 11;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Lombardia, Sez. 12 n. 5370/12/14 depositata in data 16/10/2014 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 giugno

2019 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria;

Fatto

RILEVATO

Si controverte in tema di rimborso Irpeg dell’incorporata rivendicato dalla incorporante.

Più in particolare, il 20 gennaio 2004 la soc. Coop Lombarda scarl, nella sua qualità di incorporante della Iperlombarda scrarl, chiedeva all’Ufficio la somma di Euro 103.291,38 quale credito IRPEG esposto dall’incorporata nella dichiarazione mod. 760/1997, relativo all’anno di imposta 1996, mai fatto oggetto di rettifica da parte dell’A.F. e quindi, in tesi, riconosciuto.

La difesa erariale ha sempre affermato non essere stata presentata nessuna dichiarazione dei redditi da parte di quel soggetto, per cui non può esserci alcun credito vantato.

Di più, la domanda avanzata nel 2004 non era nemmeno da considerarsi istanza di rimborso in senso proprio, semmai al più solo intervento sollecitatorio; ma se anche fosse stata da considerarsi istanza di rimborso, si trattava di questione ormai prescritta.

In sostanza, dall’Ufficio veniva chiesto di allegare i titoli probatori dell’affermato credito. Il titolo non venne mai prodotto, ma se ne dava prova indiretta, perchè il credito originario era maggiore ed una parte era stata portata a nuovo esercizio: sull’operazione di riporto contabile a nuovo esercizio si fa desumere l’esistenza e la consistenza del credito vantato.

La CTP riconosce la domanda fondata e ordina il rimborso con gli interessi e la CTR conferma la tesi, respingendo l’appello dell’Ufficio.

Ricorre quindi l’Ufficio con quattro motivi, cui replica la contribuente con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 112, art. 113, comma 2, n. 4 e art. 156 c.p.c., art. 118 dip. att. c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, artt. 53 e 61, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 citato.

Nella sostanza, si lamenta motivazione apparente, poichè trattasi di tre righe di difficile comprensione in cui si dice che il riporto a credito per il nuovo anno di parte del creditore sia “la prova dimostrativa della richiesta dell’Ufficio” che la dichiarazione sia stata presentata.

Con il secondo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,115,116 e 210 c.p.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7,18,24,32,34 e 54, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

In altri termini, il contribuente non ha assolto l’onere probatorio di esibire la ricevuta di presentazione della dichiarazione dei redditi impostole con ordinanza istruttoria del primo giudice e, non di meno, la domanda di rimborso è stata accolta.

Con il terzo motivo ci si duole per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In buona sostanza si tratta di omissione di esame di fatto decisivo, dato dalla circostanza che non risultano presentate all’Anagrafe tributaria le dichiarazioni nè per il 1996 (da cui la somma richiesta), nè per il 1997 (dove doveva essere portato il credito residuo e oggi non richiesto).

Con il quarto ed ultimo motivo ci si duole per la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 12 e 15 preleggi, artt. 1283,2697,2727 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 42 del 1988, art. 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36 bis e 43, del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 38 e 44 e del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 50, e art. 41, convertito con L. n. 248 del 2006, tutti in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nella sostanza si lamenta alterazione del riparto dell’onere della prova, assegnazione di interessi anatocistici non dovuti.

Il primo motivo è fondato ed assorbente deli altri.

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718, Cass. V, 9/3/2011, n. 5583).

Deve rilevarsi, infatti, che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. V, 24313/2018).

La sentenza è, altresì, nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. Civ., 8 gennaio 2015, n. 107; Cass. Civ., 6 marzo 2018, n. 5209, 21978, 17403; Cass. Civ., 14 febbraio 2003, n. 2196).

Il motivo è quindi fondato ed assorbente di ogni altra doglianza, il ricorso fondato e la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice del merito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Lombardia, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 12 febbraio 2020

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