Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33949 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 19/12/2019), n.33949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27515-13 R.G. proposto da:

D.S.Y. rappresentato e difeso dagli Avv.ti Foletto Ilaria e

Fiorilli Paolo con domicilio eletto in Roma, via Cola di Rienzo n.

180, presso il loro studio;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso le. sentenze della Commissione Tributaria Regionale del

Veneto sezione di Mestre n. 47/29/13 e 48/29/13 depositate il

26/04/2013

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 giugno

2019 dal Consigliere Pandolfi Catello.

Fatto

RILEVATO

Il sig. D.S.Y., esercente attività di venditore a domicilio, senza vincolo di subordinazione, per conto della ditta IDROS s.r.l., ha proposto ricorso per la cassazione delle sentenze della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 47/29/13 e n. 48/29/13 depositate entrambe il 26/0472013.

La vicenda trae origine dalla notifica ai contribuente di tre avvisi di accertamento per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi IRPEF, IVA e IRAP per gli anni 2005,2006 e 2007.

Il contribuente si opponeva agli avvisi alla CTP di Vicenza che, con tre separate sentenze, accoglieva il ricorso relativo all’anno 2007, mentre respingeva i ricorsi relativi agli anni 2005 e 2006. Il sig. D.S. appellava tali ultime decisioni e la Commissione regionale, con le due sentenze impugnate in questa sede di legittimità, respingeva i gravami.

Il ricorso è basato su di un unico motivo con cui il contribuente censura violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 41 ai sensi della L. n. 173 del 2005, art. 3, comma 4, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis.

Ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

E’ in primo luogo da respingere l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente, sul presupposto che il contribuente ha impugnato cumulativamente, con lo stesso atto introduttivo, due sentenze.

Va rilevato che le due pronunce sono, quanto all’oggetto, del tutto sovrapponibili distinguendosi solo per l’anno d’imposta a cui si riferisce la pretesa tributaria, identica per natura ed avente medesima causale. In tale specifica situazione, depone per il rigetto dell’eccezione, oltre alla connessione oggettiva e soggettiva delle decisioni impugnate, anche il principio delle giusta durata del processo, implicante, ove possibile, come nella specie, la concentrazione dell’attività processuale.

Il ricorrente, come detto, esercitava, nel periodo dato, l’attività di venditore a domicilio. In tale veste lamenta, come primo motivo, la violazione della L. n. 173 del 2005, art. 3, comma 4, sul presupposto che l’attività svolta dovesse essere considerata occasionale in quanto producente un reddito netto annuo di Euro 5.000.

Pertanto – assume il contribuente – non era obbligato a tenere scritture contabili, nè ad aprire partita IVA, nè a presentare dichiarazione dei redditi.

Con tale rappresentazione, contrasta il fatto che era stato lo stesso ricorrente ad aver chiesto nel 2004 l’attribuzione della partita IVA, assumendo, per sua scelta, la veste di soggetto passivo di detta imposta. E’ perciò fondata, per tale circostanza, la presunzione, tratta dal giudice regionale, che il contribuente svolgesse il suindicato lavoro come attività imprenditoriale, a prescindere dall’entità dei compensi percepiti e sul presupposto di volere esercitare quell’attività abitualmente. In tale prospettiva di continuità, scissa dall’entità della remunerazione, è da ritenere che, se lo sfavorevole andamento del mercato, o altre contingenze, avessero determinato il mancato superamento del suindicato limite di reddito, in uno degli anni d’imposta considerati, il soggetto non avrebbe, per ciò stesso, perduto la soggettività passiva ai fini IVA. L’attività di venditore a domicilio svolta dal Da Silva, dunque, a seguito della acquisita titolarità di partita IVA, non poteva (più) considerarsi occasionale.

Dalla sua pacifica qualità di titolare di partita IVA discendeva, pertanto, l’obbligo (da lui disatteso) di tenere la contabilità obbligatoria per i soggetti passivi d’IVA. Come pure l’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi.

In definitiva, dalle suindicate considerazioni, discende che il contribuente, con la sua opzione, si è posto al di fuori dell’ipotesi di cui dalla L. n. 173 del 2005, art. 3, comma 4, rendendo irrilevante il riferimento al limite di Euro 5.000, previsto dalla citata norma al solo fine di indicare la soglia oltre la quale non vi era obbligo di aprire la partita IVA.

La condizione di soggetto passivo ai fini di tale tributo, ha caratterizzato il ricorrente sia l’anno d’imposta 2005 che il 2006, oggetto del presente giudizio, nel corso dei quali il D.s. ha anche percepito redditi di lavoro dipendente, da considerare nel calcolo del reddito complessivo.

La mancata tenuta di scritture contabili che il Dai Santo, quale soggetto passivo ai fini IVA, avrebbe dovuto redigere e delle quali l’Ufficio non ha potuto disporre per la sua attività accertativa, ha reso necessario e legittimo per l’Amministrazione ricorrere ad accertamento in via induttiva ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 41 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55.

Nessuna violazione è, pertanto, rilevabile nell’impugnata sentenza, come ritenuto dal ricorrente.

Appare, invece, fondata la doglianza di omessa motivazione, in merito alla censura, mossa in appello dal ricorrente, sull’inapplicabilità alla sua persona dell’IRAP, per l’insussistenza di un’autonoma organizzazione.

La Commissione territoriale ha rigettato l’appello in toto, quindi anche su tale aspetto, ma omettendo di darne conto in motivazione.

Per contro, il giudice del merito avrebbe dovuto accertare ed esplicitare, con concreto riferimento alla situazione del ricorrente, se questi si fosse avvalso o meno di un’autonoma organizzazione. Presupposto di applicabilità del tributo che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre solo quando “il contribuente:a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo rid quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni meramente esecutive” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9786 del 19/04/2018). Tale verifica non compare nella motivazione.

Il ricorso deve perciò essere accolto entro i suindicati limiti e, con riferimento ad essi, essere cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto-Sezione di Mestre, in diversa composizione, per il riesame della controversia, per quanto precisato e per la definizione delle spese.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso limitatamente alle doglianzt relative all’IRAP. Rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, Sezione staccata di Mestre, in diversa composizione, per il riesame nei termini indicati ed anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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