Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33946 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 19/12/2019), n.33946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 24662 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Impremed s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Calabria n. 183/04/2012, depositata il 4 dicembre

2012, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 giugno 2019 dal Relatore Consigliera Dott.ssa Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

Fatto

Rilevato

che:

– con sentenza n. 183/04/2012, depositata il 4 dicembre 2012, la Commissione tributaria regionale della Calabria, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di Impremed s.p.a., avverso la sentenza n. 109/03/2009 della Commissione tributaria provinciale di Catanzaro che, accogliendo il ricorso proposto dalla società, aveva annullato l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio le aveva contestato un maggiore reddito d’impresa ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2004, in applicazione degli studi di settore;

– la CTR ha osservato che l’incongruenza tra i ricavi dichiarati da Impremed e quelli desumibili dagli studi di settore, posta alla base dell’atto impositivo in questione, trovava giustificazione, secondo quanto già provato in primo grado dalla contribuente, nella messa in mobilità di undici dipendenti e nell’affitto di un ramo d’azienda, per cui l’accertamento eseguito dall’Ufficio era privo dei caratteri di precisione, gravità e concordanza;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi; rimane intimata la società contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis, conv. dalla L. n. 427 del 1993 e della L.n. 146 del 1998, art. 10, per avere la CTR ritenuto erroneamente illegittimo l’avviso di accertamento in questione anche se, alla luce delle circostanze dedotte dalla società contribuente in sede di contraddittorio (eccedenza del costo del lavoro; collocazione in mobilità di undici dipendenti; esistenza di un contratto di fitto di ramo aziendale), l’Ufficio aveva rideterminato i maggiori ricavi non dichiarati, emersi in applicazione degli studi di settore, riducendoli da Euro 657.287,00 a Euro 111.399,00;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-bis, convertito dalla L. n. 427 del 1993 e 2697 c.c., per avere la CTR ritenuto erroneamente illegittimo l’avviso di accertamento, emesso in applicazione degli studi di settore sulla base di una presunzione legale relativa qual era il grave scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e condizioni di esercizio dell’attività svolta;

– il ricorso è inammissibile;

– con entrambi i motivi, infatti, la ricorrente, pur denunciando apparentemente vizi di violazione di legge, chiede in realtà a questa Corte di rimettere in discussione la valutazione espressa dal giudice di appello in ordine alla ricorrenza di circostanze di fatto (la messa in mobilità di undici dipendenti e il fitto di ramo d’azienda) che giustificavano l’incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore, posta alla base dell’atto impositivo;

– la ricorrente mira dunque, inammissibilmente, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (ex multis, Cass., sez. 6 – 3, n. 8758 del 4/4/2017);

– va peraltro ricordato che i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c.p.c., nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass., Sez. 5,n. 29093 del 2018); in particolare, questa Corte ha chiarito che nell’ipotesi in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, che non è atto processuale ma amministrativo (Cass. 3 dicembre 2001, n. 15234), è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass. Sez. 5, n. 16147 del 2017; Cass. n. 3289 del 2014);

– nella specie il ricorso non riproduce il contenuto dell’avviso, che non è stato neppure allegato specificamente all’atto di impugnazione;

– le censure, pertanto, andrebbero dichiarate inammissibili anche nel caso in cui le si potesse interpretare come volte alla denuncia dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, per non aver il giudice d’appello considerato che l’Ufficio aveva già tenuto conto delle circostanze evidenziate dalla contribuente in sede di contraddittorio (ovvero della collocazione in mobilità di undici dipendenti e dell’affitto di ramo di azienda) e che aveva rideterminato in base ad esse i maggiori ricavi contestati da Euro 657.287,00 a Euro 111.399,00;

– nulla sulle spese del giudizio di legittimità, essendo rimasta la società contribuente intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 19 dicembre 2019

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