Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33942 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 14/06/2019, dep. 19/12/2019), n.33942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24440/2017 R.G. proposto da:

A.P.A. – Agenzia Pubbliche Affissioni s.r.l. (p. iva (OMISSIS))

rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avvocato Gemma

Sasso con domicilio eletto presso la stessa in Roma, Via G. Bettolo

n. 17, con indirizzo PEC gemmasasso.ordineavvocatiroma.org;

– ricorrente –

Contro

ROMA CAPITALE, già Comune di Roma (c.f. (OMISSIS)) in persona del

sindaco pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti

anche disgiuntamente tra loro dagli avvocati Domenico Rossi, con

indirizzo PEC domenico.rossiO4.pec.c.omune.roma.it ed Antonio

Ciavarella, con indirizzo PEC

antonio.ciavarella04.pec.comune.roma.it elettivamente domiciliata

presso l’avvocatura comunale in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 1276/09/17 depositata il 14/03/2017, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

14/6/2019 dal consigliere Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la gravata sentenza la CTR accoglieva il gravame di Roma capitale e conseguentemente dichiarava legittimi gli atti impugnati, consistente;

in richieste di ricalcolo degli interessi dovuti su canone di imposta pubblicitaria per gli anni dal 2012 al 2014;

– contro detta sentenza ricorre la società contribuente con atto affidato a tre motivi; resiste ROMA CAPITALE con controricorso; la società ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– va preliminarmente osservato come dalla sentenza gravata risulti che l’atto oggetto dell’impugnazione (pag. 4 riga n. 22 della medesima) non era una istanza di rimborso, ma “rappresentava una diffida a ricalcolare gli importi dovuti…”;

– a fronte di tal statuizione, per contestarne il contenuto e la correttezza la società contribuente doveva censurarla non ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come si fa nella prima parte del motivo, quale mera violazione di legge, ma quale violazione di legge connessa alla violazione delle regole di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss.; in alternativa andava formulata la diversa censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella più recente formulazione; va difatti sul punto ribadito il consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione. A tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (tra varie, Cass. 8 agosto 2006, n. 17947 e 21 febbraio 2014, n. 4205; soprattutto Cass. SS.UU. 20 novembre 2017, n. 27435);

la seconda parte del motivo n. 1 censura la sentenza gravata per non avere qualificato l’istanza introduttiva del giudizio come istanza di autotutela;

– osserva la Corte che il motivo è inammissibile in quanto parte ricorrente non trascrive l’atto impugnato, di guisa che il mezzo risulta primo di autosufficienza, non potendo la Corte comprendere – stante detta mancata trascrizione – in relazione a quale atto la richiesta di autotutela si configuri;

– la terza parte del motivo n. 1 è pure inammissibile, dal momento che non coglie il contenuto decisorio della gravata sentenza, rispetto alla quale pertanto è incongruente, risultando quindi su tal profilo non colpita dalla censura la pronuncia in oggetto; in concreto la sentenza impugnata non ha infatti declinato la giurisdizione come invece denunciato da parte ricorrente;

– la quarta parte del motivo n. 1 risulta inammissibile per carenza di interesse; invero il contribuente ha radicato il giudizio di fronte al giudice tributario e non poteva pertanto dolersi del fatto che non gli sia stata data la possibilità di radicare il giudizio di fronte al giudice amministrativo in tal senso si è già espressa, quanto al principio, questa Corte (Cass. Sez. U., Sentenza n. 22439 del 24/09/2018), statuendo appunto che l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione;

– alla luce della decisione dei predetti motivi, i successivi mezzi di impugnazione numerati sub. n. 2 e n. 3 risultano assorbiti, in quanto oramai irrilevanti ai fini del decidere, essendo irretrattabile la valutazione si assume (Ndr: Testo originale non comprensibile) il rimborso;

– la soccombenza regola le spese;

– sussistono i requisiti, infine, per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 7.800,00 oltra al 15% per spese generali, CPA ed IVA di legge che pone a carico di parte soccombente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ove dovuto pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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