Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33929 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 19/12/2019), n.33929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8686/2015 R.G. proposto da:

COMUNE DI MIRANDOLA, in persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso dagli avv. Marco Zanasi, Marcello Furitano e

Cecilia Furitano ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli

ultimi due in Roma, via Monte Zebio n. 37;

– ricorrente –

– controricorrente incidentale –

contro

C.A.M.A. Mirandola Società Agricola Cooperativa, in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.

Ezio Morselli e Anna Martinelli Grossi, ed elettivamente domiciliati

presso il loro studio in Mirandola (MO), viale Gramsci n. 7/A;

– controricorrente –

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2045/01/14 della Commissione tributaria

Regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 26/11/2014;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6/11/2019 dal

Consigliere Stefano Pepe;

udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale della

Repubblica Dott. Giovanni Giacalone, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso

incidentale;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Marco Zanasi per il

ricorrente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Il Comune di Mirandola notificava alla contribuente un avviso di accertamento di omessa denuncia (imposta ICI per l’anno 2002) per Euro 11.425,14 relativo ad un fabbricato accatastato in categoria D/8, nonchè un ulteriore avviso di liquidazione per omesso versamento (imposta ICI per l’anno 2002) per complessivi Euro 120,90 relativo ad altro fabbricato accatastato in categoria C/2.

2. Avverso i predetti avvisi la C.A.M.A. proponeva ricorso adducendo il carattere rurale degli immobili e, dunque, la non applicabilità agli stessi dell’imposta richiesta.

3. La CTR, con sentenza n. 70/XIX/07 depositata il 25.9.2007, in riforma della sentenza di primo grado, riconosceva la debenza delle somme richieste dall’ente territoriale.

4. A seguito del ricorso proposto dalla contribuente, questa Corte, con sentenza n. 15043 del 2010, disponeva il rinvio alla CTR al fine di accertare quale fosse la situazione dei fabbricati in questione e, quindi, se essi potevano essere considerati come rurali alla luce della documentazione prodotta dalle parti.

5. Con atto di riassunzione la C.A.M.A. chiedeva il rigetto dell’appello proposto dal Comune di Mirandola ribadendo il carattere rurale dei fabbricati, assumendo all’uopo rilievo, da un lato, la richiesta in tal senso avanzata dalla contribuente il 22.11.2000 all’UTE di rettifica della rendita e della categoria catastale; richiesta che doveva ritenersi accolta sulla base del silenzio-assenso su di essa formatosi e, dall’altro, la circostanza che i suddetti beni, a seguito di procedimento DOCFA, dal 13.7.2007 risultavano accatastati in categoria D/10.

6. Con sentenza n. 2045/01/14 depositata il 26.11.2014, la CTR confermava la sentenza di primo grado e, per l’effetto, rigettava l’appello proposto dall’ente territoriale riconoscendo alla contribuente l’esenzione richiesta.

4. Nei confronti della suddetta pronuncia il Comune di Mirandola propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

5. La C.A.M.A. Mirandola ha depositato controricorso con ricorso incidentale.

6. In prossimità dell’udienza il Comune di Mirandola ha depositato memoria e controricorso all’incidentale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione: del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 – bis, conv. in L. n. 133 del 1994; del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 – bis, conv in L. n. 14 del 2009; del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), art. 5, comma 2 e art. 9; del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 19; del D.M. n. 701 del 1994, art. 1.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata in quanto, in contrasto con i principi affermanti dalla giurisprudenza di legittimità, ha riconosciuto la natura rurale agli immobili della resistente, nonostante questi, per l’annualità ICI oggetto di contestazione (2002), non potevano considerarsi tali in quanto accatastati nella categoria D/8 e C/2. La ricorrente rileva, infatti, che solo successivamente (nel 2007) e a seguito di procedura DOCFA i suddetti immobili venivano classati in categoria D/10 e, dunque, in quelli rurali. La ricorrente ritiene, poi, che la CTR avrebbe anche errato nel ritenere sufficiente, ai fini del classamento in esame, la mera richiesta di rettifica proposta dalla contribuente nel 2000;

richiesta per la quale aveva ritenuto, peraltro, applicabile il silenzio assenso.

2. Con il secondo motivo il ricorrente Comune censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza della CTR per avere violato le norme di diritto di cui al precedente motivo, oltre il D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 2 e, in particolare, per avere ritenuto sufficiente la richiesta di rettifica catastale della contribuente al fine di attribuire la categoria D/10 agli immobili oggetto di giudizio.

3. Con il terzo morivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa l’effettivo classamento dgli immobili della C.A.M.A. sino al 2007 per come risultante dalle visure prodotte dallo stesso Comune, nonchè sulla reale natura della domanda di rettifica avanzata dalla contribuente nel 2000 e sull’esito della stessa e, infine, sulla sentenza della CTP n. 232/05/2000 che, passata in giudicato, aveva confermato la categoria D/8 agli indicati immobili.

4. Con ricorso incidentale, la C.A.M.A. deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2902 c.c. per avere la CTR “sebbene sotto forma di obiter” respinto l’eccezione di giudicato esterno relativo a giudizi che avevano dichiarato non dovuta l’ICI relativa ai medesimi immobili per l’annualità 1999 sul presupposto della ruralità degli stessi.

5. I tre motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, sono fondati.

6. Ai fini del riconoscimento del carattere rurale di un immobile questa Corte, secondo orientamento costante (ex plurimis, Cass. n. 5769 del 2018) formatosi a seguito di Cass. sez. unite 21 agosto 2009, n. 18565, ha affermato che esso non può prescindere dalla classificazione catastale nelle relative categorie A/6 e D/10 e, qualora l’immobile non risulti in tal modo accatastato, il proprietario che ritenga, tuttavia, sussistenti i requisiti per il riconoscimento del carattere rurale del bene, deve impugnare la classificazione operata al fine di ottenerne la relativa variazione.

Il principio così sancito da questa Corte ha trovato conferma nello jus superveniens costituito dal D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, convertito in L. n. 106 del 2011, il quale, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, ha conferito ai contribuenti la facoltà, esercitabile entro il 30 settembre 2011, di presentare all’allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di un’autocertificazione attestante che l’immobile possedeva i requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9, quale convertito in L. n. 133 del 1994, e modificato dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, convertito con modificazioni in L. n. 159 del 2007, “in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.

Il successivo D.L. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, in L. n. 214 del 2011 ha, quindi, previsto all’art. 13, comma 14 bis, che le domande di variazione di cui al predetto D.L. n. 70 del 2011, producessero “gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo”.

Infine, il D.L. n. 102 del 2013, convertito, con modificazioni, in L. n. 124 del 2013, all’art. 2 comma 5 ter, ha stabilito che “ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, l’art. 3, comma 14 bis, art. 1, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2 – bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 maggio 2011, n. 106 e l’inserimento dell’annotazione degli atti catastali producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui al D.L. 30 dicembre, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.

Questa Corte con riferimento al procedimento in esame ha, poi, affermato che non “può ritenersi sufficiente a determinare nei limiti del quinquennio anteriore la variazione catastale nelle categorie A/6 o D/10 la mera autocertificazione secondo le modalità di cui al D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, come convertito dalla L. n. 106 del 2011 e delle norme di seguito succedetesi, se il relativo procedimento non si sia concluso con la relativa annotazione in atti, dovendo all’uopo ricordarsi come la Corte costituzionale, con ord. 13 maggio 2015, n. 115, abbia evidenziato come la ricostruzione del quadro normativo, ivi comprese le disposizioni regolamentari di cui al D.M. 26 luglio 2012, porti ad escludere l’automaticità del riconoscimento della ruralità per effetto della mera autocertificazione” (Cass. n. 26617 del 2017).

Da quanto sopra discende che a partire dalla pronuncia delle Sezioni unite e, successivamente, in ragione del quadro normativo riportato, ai fini del riconoscimento della non assoggettabilità ad ICI di un immobile rurale è decisiva la classificazione catastale dello stesso. Nel caso di specie, è dato pacifico tra le parti, che a fronte del classamento degli immobili in categoria D/8 e C/2 per l’annualità oggetto di imposizione (2002), il ricorrente, il 22.11.2000, ha inoltrato al Comune ricorrente istanza di “Rettifica di rendita e categoria catastale” con la quale chiedeva l’attribuzione della categoria castale D/10.

In ragione del principio sopra riportato, questa Corte, nell’ambito del presente giudizio, con sentenza n. 15043 del 2010, ha accolto per manifesta fondatezza il ricorso proposto dalla C.A.M.A. e, per l’effetto, cassato con rinvio la sentenza emessa dalla CTR alla quale demandava l’accertamento su “quale sia (n.d.r. fosse) la situazione dei fabbricati in questione (tanto più che nel caso di specie la sentenza impugnata non ha fatto oggetto di valutazione la documentazione prodotta dalla cooperativa in ordine alla contestazione della classificazione catastale adottata)”.

Il giudice del rinvio, nel dare applicazione alle indicazioni sopra riportate, ha ritenuto valida ai fini dell’esenzione ICI oggetto di giudizio, la contestazione contenuta nella istanza di rettifica proposta dalla contribuente.

La CTR, nel riconoscere il carattere rurale agli immobili della resistente, non ha fatto corretta applicazione dei suindicati principi in quanto ha completamente obliterato ogni valutazione circa la classificazione delle unità immobiliari, per l’anno oggetto di accertamento, in categorie differenti da quelle A/6 e D/10, ritenendo all’uopo sufficiente la richiesta di riesame inoltrata dalla C.A.M.A. al fine di ottenere il relativo classamento, senza alcun esame circa l’eventuale accoglimento della stessa con conseguente relativa annotazione in catasto.

Gli accertamenti in esame erano quelli posti a fondamento della sentenza di rinvio che, in ragione della rilevanza della contestazione da parte della C.A.M.A. quale atto prodromico al riconoscimento della ruralità degli immobili, demandava al giudice di merito di verificare gli esiti di tale contestazione e, dunque, l’eventuale attribuzione ai suddetti immobili delle categorie A/6 e D/10.

Risulta, infatti, di tutta evidenza che, contrariamente a quanto dedotto dalla resistente, se fosse stata sufficiente la mera richiesta di rettifica avanzata dalla resistente al fine di ottenere l’esenzione in esame – circostanza nota a questa Corte sin dalla sentenza n. 15043 del 2010 – non sarebbe stato necessario il rinvio con essa disposto. Ritenere, infatti, sufficiente un’istanza rispetto alla quale non sarebbe neanche necessaria alcuna valutazione da parte dell’Amministrazione a ciò preposta, contrasta sia con il quadro normativo sopra riportato sia con l’orientamento consolidato di questa Corte che fonda il riconoscimento dell’esenzione in esame sul dato formale del classamento dell’immobile nelle indicate categorie. 6. Il ricorso incidentale non è fondato.

Questa Corte, con sentenza n. 28042 del 2009 ha affermato che “affinchè una lite possa dirsi coperta dall’efficacia di giudicato di una precedente sentenza resa tra le stesse parti, è necessario che il giudizio introdotto per secondo investa il medesimo rapporto giuridico che ha già formato oggetto del primo; in difetto di tale presupposto, nulla rileva la circostanza che la seconda lite richieda accertamenti di fatto già compiuti nel corso della prima, in quanto l’efficacia oggettiva del giudicato non può mai investire singole questioni di fatto o di diritto”. In tema di ICI si è, poi, precisato che la sentenza che abbia deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità fa stato anche con riferimento ad annualità diverse, in relazione a quei fatti che appiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente. (Cass. n. 1300 del 2018, n. 18923 del 2011), laddove “l’efficacia preclusiva del giudicato non si estende, in generale, alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti (Cass. n. 24067 del 2006; Cass. n. 25200 del 2009) ma copre soltanto le “qualificazioni giuridiche” o altri elementi che abbiano un valore condizionante per la valutazione e la disciplina di una pluralità di altri elementi della fattispecie.

In ragione di quanto sopra, non può essere riconosciuta efficacia di giudicato esterno alle pronunce indicate dal resistente con le quali si è riconosciuta la natura rurale agli immobili oggetto del presente giudizio stante il loro carattere strumentale alle attività agricole, carattere che, per sua natura è suscettibile di modifica nel tempo con riferimento ai diversi periodi di imposta.

7. Il ricorso principale va dunque accolto e va rigettato il ricorso incidentale e l’impugnata sentenza va cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può, ex art. 384 c.p.c., comma 2, essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso originario della contribuente.

Le spese processuali dei giudizi di merito si compensano tra le parti per l’evoluzione nel tempo della giurisprudenza in materia e quelle di questo giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Sì da atto dell’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, nei confronti del ricorrente incidentale.

Condanna la resistente al pagamento, a favore del ricorrente, delle spese processuali di questo giudizio che liquida in complessivi Euro 2.900,00, oltre spese ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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