Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33928 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 19/12/2019), n.33928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9409/2018 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ove per legge domiciliata;

– ricorrente-

contro

L.M., in qualità di erede testamentaria del defunto

L.F., rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Reggio d’Aci, con

studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in

calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;

– controricorrente-

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

del Veneto il 20 settembre 2017 n. 926/05/2017, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6

novembre 2019 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo;

udito per la controricorrente l’Avv. Andrea Reggio d’Aci, che ha

chiesto il rigetto;

udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale,

Dott. Giovanni Giacalone, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 20 settembre 2017 n. 926/05/2017, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto accoglieva l’appello proposto da L.M., in qualità di erede testamentaria del defunto L.F., avverso la sentenza depositata dalla Commissione Provinciale di Padova il 25 novembre 2016 n. 311/5/2016, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello rilevava che: a) il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia del Territorio (all’esito di procedura “DOCFA”) aveva ripristinato la classificazione del fabbricato sito in Megliadino San Fidenzio (PD) e censito in catasto con le particelle (OMISSIS) sub. (OMISSIS), sub. (OMISSIS) e sub. (OMISSIS) del foglio (OMISSIS), del quale L.F. (dante causa iure hereditario di L.M.) era proprietario, riportandola dalla nuova categoria “A/2” (abitazione di tipo civile) alla originaria categoria “A/10” (villa); b) la Commissione di primo grado aveva rigettato il ricorso, con condanna alla rifusione delle spese di lite. Dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello e, in riforma della decisione di primo grado, attribuiva al predetto fabbricato la categoria “A/7” e la classe “2A”, conformandosi al classamento proposto dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado.

2. Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 20 marzo 2018 ed affidato a tre motivi; l’erede testamentaria del contribuente resisteva con controricorso e depositava memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata, denunciando carenza assoluta di motivazione come requisito di validità del provvedimento giurisdizionale ai sensi dell’art. 36, comma 2, nn. 2, 3 e 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Sotto un primo profilo, essa contesta il mero rinvio alla consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado “in maniera tale da non illustrare in alcun modo il processo cognitivo che l’ha condotto alle conclusioni enunciate e da non consentire a chicchessia di comprendere il modo con il quale si sia formato il suo giudizio”. Tanto integrerebbe, a suo dire, la nullità della sentenza impugnata per difetto dei requisiti di cui all’art. 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (applicabile alla sentenza di secondo grado in virtù del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 61) e di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c. (applicabile al rito tributario in virtù del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2). Sotto un secondo profilo, essa denuncia “la carenza di motivazione ovvero l’omesso esame di alcuni fatti, già oggetto di discussione tra le parti”, che avrebbero indotto il giudice di secondo grado all’accoglimento dell’appello sulla base di circostanze affermate come sussistenti (in particolare, l’esecuzione di lavori di rifacimento in grado di alterare la forma architettonica del fabbricato) o percepite come insussistenti (in particolare, l’inserimento del fabbricato nell’elenco ufficiale delle “Ville Venete”).

2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 4, 5, 6,7,9 e 75 e del(l’art. 11 del) D.L. 14 marzo 1988, n. 70, convertito nella L. 13 maggio 1988, n. 154, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando che la consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado aveva erroneamente proposto il nuovo classamento catastale mediante la comparazione con immobili rientranti in altre zone censuarie.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia violazione e/o erronea applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, adducendo che “il contribuente non aveva formulato al giudice tributario alcuna domanda rivolta ad ottenere il classamento del proprio immobile nella categoria catastale “A/7-villino”” e che la natura impugnatoria del processo tributario non consentiva la rideterminazione ope iudicis del classamento catastale.

4. Il primo motivo è stato prospettato dalla ricorrente sotto profili distinti ed autonomi (rispettivamente, l’inesistenza di motivazione e la carenza di motivazione). La controricorrente ne ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità per la prospettazione di una pluralità di questioni risolventesi in una indebita ed inestricabile mescolanza di un vizio di nullità (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e di un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

A tale proposito, è convinzione del collegio che, per quanto la ricorrente abbia impropriamente indicato – nella intitolazione del primo motivo di cassazione – la deduzione della carenza assoluta di motivazione come requisito di validità del provvedimento giurisdizionale, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., comma 2, nn. 2, 3 e 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la chiara e precisa illustrazione delle ragioni sottese alle distinte censure del provvedimento impugnato non provochi alcuna confusione o commistione nell’individuazione e nella enucleazione delle autonome doglianze, consentendone al giudice l’esame separato negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati ed enucleati.

Pertanto, ben si può attagliare (e adattare) alla fattispecie l’orientamento giurisprudenziale per cui è ammissibile il ricorso per cassazione, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, purchè lo stesso evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (ex plurimis: Cass., Sez. 2, 23 aprile 2013, n. 9793; Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100; Cass., Sez. 5, 11 aprile 2018, n. 8915; Cass.,. Sez. 5″, 5 ottobre 2018, n. 24493; Cass., Sez. 2, 23 ottobre 2018, n. 26790).

Difatti, anche il cumulo in un unico motivo delle censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, è parimenti ammissibile in presenza di una diversificata e separata prospettazione delle doglianze attinenti, rispettivamente, al corretto esercizio della potestà decisionale ed all’appropriata ricostruzione del fatto controverso.

4.1 Sotto il primo aspetto, la sentenza di secondo grado appare provvista di congrua ed adeguata motivazione, essendo stato giustificato il parziale accoglimento dell’appello con l’espresso richiamo alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado in ordine alla proposta di diverso accatastamento dell’immobile (per categoria e per classe). Per cui, nonostante la enunciazione estremamente sintetica e concisa delle argomentazioni addotte a sostegno della decisione riformatrice (carenza di vincolo storico – artistico, posizione periferica e collocazione in contesto privo di pregio) non si può dire che la relativa motivazione sia mancante o apparente.

Invero, in materia di contenuto della sentenza, affinchè sia integrato il vizio di “mancanza della motivazione” agli effetti di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, occorre che la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (in termini: Cass., Sez. 3″, 18 settembre 2009, n. 20112). In definitiva, la sentenza impugnata deve consentire l’individuazione delle ragioni esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, ascrivibili al giudicante, sulle quali la decisione è fondata (Cass., Sez. 6″, 5 novembre 2015, n. 22652).

Nella specie, a ben vedere, la Commissione Tributaria Regionale ha adeguatamente esposto le ragioni di adesione alla consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado (con riguardo allo stato, alla consistenza ed all’ubicazione del fabbricato soggetto a variazione di classamento), non limitandosi a riportarne acriticamente le conclusioni.

Per cui, il motivo si rivela infondato.

4.2 Sotto il secondo aspetto, si lamenta l’omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Precisamente, la doglianza concerne, per un verso, l’affermazione di “lavori di rifacimento” che non sarebbero mai stati eseguiti sul fabbricato (secondo le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio) e, per un altro verso, la negazione (secondo le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio) dell’inserimento del fabbricato nell’elenco ufficiale delle “Ville Venete” ove lo stesso sarebbe menzionato al n. 2818 con la denominazione di “Villa Fava Dosson Pomello detta il Paviglione”.

4.3 A ben vedere, l’incidentale riferimento in motivazione all’esecuzione di presunti “lavori di rifacimento” mai realizzati dal contribuente (nè dai suoi danti causa) non è frutto dell’inesatta percezione da parte del giudice di secondo grado di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con le risultanze degli atti processuali, e che comunque non potrebbero costituire motivi di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma al più di revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass., Sez. 1, 3 agosto 2007, n. 17057; Cass., Sez. Lav., 9 febbraio 2016, n. 2529), bensì dell’erronea trascrizione in parte qua (con l’omissione dell’avverbio di negazione “non”) delle argomentazioni esposte dal consulente tecnico d’ufficio per giustificare il diverso classamento del fabbricato.

Ed altrettanto deve ripetersi con riguardo alla negazione (questa volta desunta dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio) dell’inserimento del fabbricato nell’elenco ufficiale delle “Ville Venete”. Difatti, si tratta anche in questo caso di un’erronea percezione (meglio, di un’omessa percezione) dell’ausiliare giudiziario che è stata condivisa e recepita dal giudice di secondo grado, pur vertendo su un fatto incontroverso.

Non a caso, la stessa controricorrente ha evidenziato (pagina 15 del controricorso) l’assoluta inconcludenza sia dell’erronea considerazione dei lavori di rifacimento che dell’omesso apprezzamento della classificazione tra le Ville Venete nella formazione del convincimento del giudice di secondo grado, la cui valutazione finale sarebbe stata fondata “su altre considerazioni rimaste non impugnate da parte dell’Agenzia delle Entrate”.

Per cui, il motivo deve considerarsi inammissibile.

5. Ancora, la ricorrente contesta le motivazioni e le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio con riguardo al diverso classamento del fabbricato.

Secondo l’indirizzo costante di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (in termini: Cass., Sez. 1, 17 luglio 2014, n. 16368; Cass., Sez. 1, 3 giugno 2016, n. 11482; Cass., Sez. 1, 3 agosto 2017, n. 19427).

Tuttavia, non risulta che la ricorrente abbia assolto tale onere, essendosi limitata (alla pagina 8 dell’atto introduttivo) ad elencare i “principi” e i “criteri” invocati nel giudizio di secondo grado, senza illustrare come essi siano stati singolarmente declinati e esplicitati in relazione alle condizioni, allo stato ed alla consistenza del fabbricato, attraverso la formulazione di puntuali, precise e specifiche censure alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio. Onde, è stata omessa l’indicazione delle circostanze e degli elementi rispetto ai quali poter invocare il controllo di logicità.

Ne deriva che il motivo è infondato.

6. Da ultimo, la ricorrente lamenta che la pronuncia del giudice di secondo grado avrebbe ecceduto i limiti della domanda, non essendo stato mai richiesto un diverso classamento del fabbricato. Per cui, la pronuncia adottata stravolgerebbe la natura del processo tributario che è un processo di impugnazione/merito.

6.1 Anche tale motivo è infondato. Difatti, è orientamento consolidato che il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio, con la conseguenza che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (da ultime: Cass., Sez. 5, 19 novembre 2014, n. 24611; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27574).

Ne deriva che la variazione di classamento del fabbricato (dalla categoria “A/8” alla categoria “A/7”), ancorchè non corrispondente alla pretesa di parte (per l’assegnazione della categoria “A/2”), rientrava a pieno titolo nel potere decisionale del giudice di merito, traducendosi in un parziale accoglimento del petitum.

7. In ragione di quanto precede, il ricorso deve essere rigettato.

8. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese giudiziali in favore di L.M., in qualità di erede testamentaria del defunto L.F., liquidandole nella misura di Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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