Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33926 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 19/12/2019), n.33926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 9379 del ruolo generale dell’anno 2015,

proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

Circolo Cittadino Guastallese, in persona del Presidente pro tempore,

G.A. e C.G., nella qualità di coobbligato per

sè e per il Circolo Cittadino Guastallese, rappresentati e difesi,

giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv.to Eva

Castaglioli di Luzzara e dall’avv.to Luca Monticelli, elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’avv.to Egidio Romagna, in Roma,

alla Via Savini n. 7;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Emilia-Romagna, n. 1961/09/2014, depositata il 17

novembre 2014, notificata il 4 febbraio 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17 aprile 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza 1961/09/2014, depositata il 17 novembre 2014, notificata il 4 febbraio 2015, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto dal Circolo Cittadino Guastallese, da G.A., in proprio e nella qualità di Presidente e legale rappresentante dell’associazione, nonchè da C.G., che aveva rivestito la medesima carica sino al 2010, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Parma n. 170/4/2013 che aveva accolto parzialmente -riducendo l’ammontare delle sanzioni- il ricorso proposto dai suddetti contribuenti avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), n. (OMISSIS), n. (OMISSIS), n. (OMISSIS) con i quali l’Agenzia delle dogane – Direzione territoriale dell’Emilia-Romagna, sezione distaccata di Parma, aveva recuperato nei loro confronti, ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 39 – quater, comma 2, il prelievo erariale unico (PREU) evaso dal 2007 al 2010 oltre a interessi, e irrogato le sanzioni, essendo risultato il Circolo titolare dei locali nel quale erano stati installati sei apparecchi di intrattenimento e divertimento di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS risultati privi del prescritto nulla osta e non collegati alla rete telematica;

-la CTR, nell’accogliere l’appello dei contribuenti, ha affermato, per quanto di interesse, che: 1) gli atti impositivi erano nulli in quanto l’Ufficio di Parma non era territorialmente competente ad emetterli, posto che ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 24, comma 14, convertito dalla L. n. 111 del 2011, la competenza ad emettere l’atto impositivo finalizzato al recupero dell’imposta in materia di giochi pubblici spetta all'”l’Ufficio territoriale nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del soggetto alla data in cui è stata commessa la violazione o è stato compiuto l’atto illegittimo” e che, pertanto, competente all’emissione era l’Ufficio di Reggio Emilia, nella cui circoscrizione erano i domicili fiscali del Circolo, di G.A. e di C.G.; 2) la competenza territoriale non poteva essere derogata dal decreto del direttore dell’AAMS 220/CGV del 14 febbraio 2011; 3) nel merito, era risultata insufficiente la prova del reddito imputabile, mancando la verifica dell’anno di costruzione degli apparecchi da gioco;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui resistono, con controricorso, il Circolo Cittadino Guastallese, G.A. e C.G.;

– i controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa insistendo per il rigetto del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e dell’art. 380 – bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 – bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 21 septies e 21 octies, per avere la CTR erroneamente dichiarato nulli gli avvisi di rettifica in questione, ancorchè, ai sensi dell’art. 21 octies cit., il difetto di competenza territoriale comporti la mera annullabilità dell’atto impositivo che, nella specie, non era stata eccepita dai contribuenti, i quali si erano limitati ad eccepire la nullità degli avvisi;

– il motivo è manifestamente infondato in quanto la nullità, quale forma più grave di invalidità, comprende, nell’ambito del “petitum”, anche le ragioni dell’annullamento: nel caso, quale quello di specie, in cui la domanda (o l’eccezione) di nullità dell’atto si fondi sui medesimi fatti che, più correttamente, dovrebbero condurre al suo annullamento, il giudice può dunque dichiarare l’atto annullato, anzichè radicalmente nullo, senza per questo incorrere nel vizio di ultrapetizione (Cass. Sez. L, n. 15981 del 2007);

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR, incorrendo in un error in procedendo che aveva inficiato l’iter logico-giuridico seguito, ritenuto incompetente l’Ufficio territoriale di Parma senza considerare che quest’ultimo era – in ossequio anche al D.L. n. 98 del 2011 cit., art. 24, comma 14, – quello competente, nel periodo della contestata violazione tributaria (2007-2010), nella circoscrizione di Reggio – Emilia dove, all’epoca, avevano il domicilio fiscale il Circolo, G.A. e C.G., essendo stato l’Ufficio di Reggio-Emilia istituito successivamente dal decreto direttoriale n. 220/CGV del 14 febbraio 2011;

– il motivo è inammissibile;

– in primo luogo, va rilevato che la ricorrente deduce in sostanza un error in procedendo della CTR – quanto alla rilevata incompetenza territoriale dell’Ufficio di Parma per essere competente quello di Reggio-Emilia – che non risponde quindi all’archetipo del vizio denunciato di omesso esame di un fatto decisivo e controverso;

– peraltro, premesso che “qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di delibere comunali, decreti sindacali e regolamenti comunali, è necessario – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso – che il testo di tali atti sia interamente trascritto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza” (Cass. Sez. 6 – 3, Ord. n. 1391de123/01/2014), la ricorrente non ha, nella specie, in difetto del principio di specificità, assolto a tale onere di trascrizione in ricorso del testo del decreto direttoriale n. 220/CGV del 14 febbraio 2011 (atto interno) che avrebbe istituito, solo a tale data, l’Ufficio di Reggio-Emilia, con ciò impedendo a questa Corte di verificare la fondatezza della proposta censura;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, per avere la CTR, decidendo anche nel merito, apoditticamente affermato che “la ricerca della prova risulta insufficiente di elementi e circostanze per provare il reddito da imputare”;

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, in ordine ai medesimi profili di cui sopra;

– i motivi terzo e quarto sono inammissibili, in quanto afferenti ad argomentazioni della sentenza non costituenti ratio decidendi della medesima; ciò in ossequio al principio per cui “è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam”, e pertanto non costituente una “ratio decidendi” della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse” (Cass., sez. 1, Ord. n. 8755de110/04/2018);

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle dogane e dei monopoli al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in favore dei contro ricorrenti in via fra loro solidale, in Euro 5.600,00 oltre rimborso forfettario nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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