Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33920 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 19/12/2019), n.33920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 8269-2015 preposto da:

I.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SFORZA

PALLAVICINO 18, presse lo studio dell’avvocato ROSARIO CARMINE RAO,

che rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliate in ROMA, V. DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso Lo studio

dell’avvocato DOMENICO ROSSI, che rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANTONIO CIAVARELLA, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza 2028/2014 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 01/04/2014;

udita relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il ricorrente l’Avvocato CURRIERI per delega dell’Avvocato RAO

che si riporta e chiede l’accoglimento.

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. L’avv. I.E. propone, in proprio, quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 2028/9/14 dell’1.4.2014, con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento Ici 2003/2005 notificatigli il 29 dicembre 2008 da Roma Capitale.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – gli avvisi di accertamento in questione erano basati, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 11, non già su una nuova rendita catastale ignota all’appellante, bensì su rendite catastali in atti dal 1992 all’esito di rivalutazione legale della tariffa, ma di fatto rimaste immutate fin dal 1987; – conseguentemente, non si trattava di rendite suscettibili di applicazione solo per il periodo successivo alla loro notificazione contestualmente agli avvisi di accertamento medesimi; – inammissibile, per divieto di novità in appello, era la domanda subordinata del contribuente (assistita dalla produzione nel grado di una perizia di parte) avente ad oggetto un asserito errore di calcolo nel conteggio del dovuto (mai precedentemente dedotto).

Resiste con controricorso Roma Capitale.

Il ricorrente ha depositato memoria insistendo, tra l’altro, sull’ammissibilità di nuove produzioni in appello ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58, comma 2.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso il contribuente lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale dato conto delle sue tesi difensive in ordine alla notificazione, nella specie, di nuova rendita maggiorata del 5%, con conseguente sua validità unicamente per gli anni successivi alla notificazione stessa; per contro, la Commissione Tributaria Regionale si era limitata a recepire passivamente la tesi del Comune.

p. 2.2 Il motivo è infondato.

Va premesso (Cass. SSUU n. 642/15) che: “Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano div- so rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato”.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale (sent. p. 1.2) ha sì recepito totalmente la tesi dell’amministrazione comunale, ma ciò all’esito di un vaglio critico ed autonomamente argomentato, incentrato – per quanto qui interessa – sull’avvenuto controllo del fatto che, nella specie, non di nuova rendita si trattava (effettivamente suscettibile di valere solo per gli anni successivi alla sua notificazione), bensì di rendita pregressa (agli atti catastali quantomeno dal 1987) già nota al contribuente e fatta unicamente oggetto, non già di rettifica o revisione, quanto di mero aggiornamento tariffario rivalutativo ex lege.

E’ dunque evidente che, nel caso concreto, la Commissione Tributaria Regionale ha mostrato di considerare nella loro completezza le contrapposte argomentazioni e difese di parte, salvo infine convincersi della fondatezza della tesi dell’amministrazione comunale; e ciò all’esito di un controllo fattuale, ancorchè succintamente motivato, sulla ‘tipologià di rendita oggetto concreto di lite.

Il che basta ad escludere il vizio denunciato.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 e della L. n. 342 del 2000, art. 74. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale rilevato la violazione normativa da parte del Comune, il quale non aveva fondato l’accertamento Ici sulla corretta base imponibile, nè aveva notificato gli avvisi di accertamento in questione nel rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 11 cit. (31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia).

p. 3.2 II motivo è infondato sotto tutti i profili nei quali si articola.

Per quanto concerne (primo profilo) l’asserita violazione del criterio legale di determinazione della base imponibile ai fini Ici, rileva quanto in proposito stabilito dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, secondo cui (comma 2): “Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore è costituito da quello che risulta applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1 gennaio dell’anno di imposizione, i moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità previsti dal primo periodo del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, art. 52, u.c., approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Con decreti del ministro delle finanze le rendite catastali sono rivalutate, ai fini dell’applicazione dell’imposta di cui all’art. 1, periodicamente in base a parametri che tengono conto dell’effettivo andamento del mercato immobiliare”. Nel caso di specie il giudice di merito ha appunto fatto riferimento a questo criterio determinativo, assumendo a tal fine – come si è detto – la rendita catastale già agli atti (ancor prima dell’introduzione del tributo), ex lege “moltiplicata” e “rivalutata”.

Per quanto concerne (secondo profilo) l’affermata decadenza dell’amministrazione comunale dall’attività di accertamento, la doglianza appare finanche inammissibile, atteso che tale eccezione non risulta opposta nei precedenti gradi di giudizio, nè si specifica se ed in quale momento e sede processuale essa sia stata, al contrario, effettivamente dedotta. In ogni caso, essa sarebbe comunque infondata, stante il maggior termine decadenziale di cinque anni di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, applicabile anche ai rapporti di imposta ancora pendenti (come nella specie) alla data di entrata in vigore della legge (comma 171).

p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – violazione e falsa applicazione di norme sostanziali e processuali (anche ex art. 111 Cost.), dal momento che nella specie si trattava di nuova rendita notificata dopo il 1 gennaio 2000 (L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 3) e, come tale, insuscettibile di valere per il passato; in ogni caso, l’Ici era stata corrisposta, nell’annualità in questione, applicando la maggiorazione del 5%, con conseguente erroneo conteggio da parte dell’amministrazione comunale, come anche appurato dalla perizia di parte prodotta in appello.

p. 4.2 Il motivo è infondato.

Sul presupposto fattuale – accertato dal giudice di merito – che si trattava nella specie non di attribuzione o rettifica di rendita, bensì di rendita già nota al contribuente perchè messa agli atti fin dagli anni ‘80, e semplicemente sottoposta nel ‘92 a rivalutazione ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, correttamente la Commissione Tributaria Regionale ne ha ravvisato l’applicabilità e rilevanza ai fini Ici anche per le annualità antecedenti alla notificazione.

Ricorre, in proposito, l’indirizzo di legittimità (Cass. n. 12320/16, in tema di sanzioni ed interessi, ma sulla base di un principio a fortiori valevole per il tributo) secondo cui: “In tema d’ICI, non può escludersi il pagamento di sanzioni e interessi in relazione all’accertamento di una maggiore obbligazione tributaria, a titolo d’imposta, per immobili la cui iscrizione in catasto, con relativa attribuzione di rendita, sia anteriore all’istituzione del tributo, anche ove tale rendita non risulti notificata precedentemente all’emissione degli avvisi di accertamento e rettifica, essendo inapplicabile in tal caso la L. n. 342 del 2000, art. 74, che esclude, in linea generale, sanzioni ed interessi per gli atti attributivi o modificativi di rendita adottati entro il 31 dicembre 1999, e non ancora definitivi a quella data, in quanto il D.Lgs. n. 504 del 1992, nell’introdurre l’ICI, ha fissato per i contribuenti, negli artt. 5 e 10, l’obbligo di dichiarare gli immobili e di pagare l’imposta calcolandone correttamente l’importo, previo accertamento dei presupposti, e quindi dell’iscrizione in catasto e dell’ammontare dell’eventuale rendita per ciascun cespite, senza alcuna correlazione con un corrispondente obbligo del Comune di procedere alla notifica dei dati catastali”.

p. 5.1 Con il quarto motivo di ricorso il contribuente lamenta nullità della sentenza per erronea affermazione di novità in appello, dal momento che egli non aveva inteso dimostrare, con la produzione della perizia di parte, l’erroneità della rendita, bensì il calcolo matematico-aritmetico in cui era incorso il comune di Roma e che attribuiva al contribuente la maggiorazione di imposta di Euro 3720,48 in luogo di quella ancora dovuta e pari ad Euro 388,00′ (ric.pag.9). Neppure, la Commissione Tributaria Regionale si era pronunciata sulla richiesta di accertamento della colpa del comune di Roma per risarcimento del danno con riguardo ad un ulteriore avviso di accertamento Ici relativo ad un immobile già pacificamente venduto del 1999, e fatto conseguentemente oggetto di annullamento in autotutela.

p. 5.2 II motivo è destituito di fondamento sotto entrambi i profili nei quali si articola.

Per quanto concerne l’asseritamente erronea affermazione di novità in appello, basta considerare come la Commissione Tributaria Regionale abbia riferito tale carattere proprio all’errore di calcolo nel quale sarebbe incorsa l’amministrazione comunale. Ora, la presente doglianza non censura affatto questa affermazione (di cui non coglie la ratio), anzi ribadendo essa stessa come l’eccezione (ed allegazione della perizia tecnica sul punto) avessero riguardo non all’erroneità della rendita ma, appunto, all’errore nel calcolo matematico-aritmetico nel quale era asseritamene incorso il Comune. Il che non fa che confermare che si trattava di motivo di opposizione agli avvisi di accertamento inammissibile, perchè dedotto per la prima volta (come osservato, con valutazione non censurata, dal giudice regionale) in sede di gravame. E’ del resto evidente, su questo presupposto, come il mancato ingresso nel processo della relazione tecnica di parte sia dipeso, non da un’erronea applicazione della norma processuale sulle produzioni in appello (di per sè non precluse ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58, comma 2), ma proprio dalla strumentalità di tale produzione al sostegno di un motivo di opposizione (errore di calcolo) ritenuto invece inammissibile ai sensi del D.Lgs. cit., ex art. 57.

Per quanto concerne la domanda di accertamento della responsabilità risarcitoria del Comune di Roma in ordine ad un diverso avviso di accertamento Ici (poi annullato in sede di autotutela), giova ricordare che non può sussistere vizio di omessa pronuncia con riguardo ad una domanda inammissibile e sulla quale il giudice non abbia il dovere (nè, come nella specie, il potere) di provvedere.

Ricorre, in proposito, il pacifico orientamento già segnato da Cass. Sez. U, Sentenza n. 15/07, più volte ribadito ed applicato (SSUU nn. 20323/12; 14506/13; 15593/14), secondo cui: “qualora la domanda di risarcimento dei danni sia basata comportamenti illeciti tenuti dall’Amministrazione Finanziaria dello Stato o di altri enti impositori, la controversia, avendo ad oggetto una posizione sostanziale di diritto soggettivo del tutto indipendente dal rapporto tributario, è devoluta alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, non potendo sussumersi in una delle fattispecie tipizzate che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, rientrano nella giurisdizione esclusiva delle Commissioni Tributarie; infatti, anche nel campo tributario, l’attività della P.A. deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge ma anche dalla norma primaria del “neminem laedere”, per cui è consentito al giudice ordinario – al quale è pur sempre vietato stabilire se il potere discrezionale sia stato, o meno, opportunamente esercitato – accertare se vi sia stato, da parte dell’Amministrazione, un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo”.

Ne segue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1400,00, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello stabilito per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nelle Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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