Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33919 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 19/12/2019), n.33919

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14604/2013 R.G. proposto da:

M.P., rappresentato e difeso, giusta procura in

calce al ricorso, dagli avv.ti Gianni Marongiu, Andrea Bodrito e

Francesco D’Ayala Valva, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, viale Parioli, n. 43;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 588/5/12 della Commissione Tributaria Centrale

– Sezione di Genova depositata il 17 aprile 2012

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 ottobre 2019

dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott.ssa Immacolata Zeno, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Andrea Bodrito;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. Salvatore

Foraci.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.P., secondo quanto emerge dalla sentenza in epigrafe indicata, impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva rideterminato, con metodo sintetico ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, il reddito dallo stesso dichiarato per l’anno d’imposta 1983.

La Commissione tributaria di primo grado accoglieva il ricorso con sentenza avverso la quale l’Ufficio proponeva gravame dinanzi alla Commissione tributaria di secondo grado che, in riforma della sentenza impugnata, ritenendo che la società Ita s.r.l. e i contribuenti M.P. e M.G. “erano, sul piano empirico ed economico, una cosa sola e, sul piano giuridico, i sigg. M. erano, dall’8 giugno 1981, gli unici soci, al 50% l’uno, della Ita”, affermava che la disponibilità economica della società Ita s.r.l. dovesse essere riferita ai due soci, per cui correttamente l’Amministrazione aveva rettificato il reddito dagli stessi dichiarato.

M.P. ricorreva dinanzi alla Commissione tributaria Centrale, deducendo la inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per difetto di specificità dei motivi e contestando, nel merito, le statuizioni contenute nella sentenza oggetto di impugnazione.

La Commissione tributaria Centrale – Sezione di Genova rigettava il ricorso, disattendendo l’eccezione d’inammissibilità dell’appello e confermando l’avviso di accertamento.

Rilevava, in particolare, che, in tema di accertamento induttivo, l’atto di rettifica, se sufficientemente motivato, era assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, per cui l’Ufficio null’altro era tenuto a provare, se non quanto emergeva dalle risultanze del procedimento deduttivo, mentre gravava sul contribuente l’onere di fornire prova contraria; riteneva, quindi, che, a fronte delle precise contestazioni concernenti la notevole disponibilità manifestata dal contribuente, quest’ultimo non avesse fornito idonea giustificazione per superare l’accertamento sintetico.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione M.P., affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Espone che l’accertamento fiscale di tipo sintetico operato dall’Ufficio muove dal fatto noto costituito dall’acquisto, da parte della società Itob s.r.l., nel biennio 1982-1983, delle quote delle società Portofino Vetta s.a.s. e Portofino Hotel s.a.s., con esborso della somma di Lire 3.292.000,00, e che il fatto decisivo e controverso è invece rappresentato dalla riferibilità di detta somma ai soci M.G. e M.P., come sostenuto dall’Ufficio, o piuttosto alle disponibilità della società Ita s.r.l., che svolgeva attività di allestimenti navali, controllante per circa il 99 per cento la Itob s.r.l.

Sottolinea che nei precedenti gradi del giudizio aveva dimostrato, mediante produzione dei dati risultanti dai bilanci della Ita s.r.l., che:

a) nel 1982 la Ita s.r.l. aveva acquistato dai soci M. il controllo della Itob s.r.l. nella misura del 98 per cento, tanto che i M. erano divenuti soci nella misura del 1 per cento ciascuno;

b) la Ita s.r.l. aveva ingenti disponibilità liquide in cassa, eccedenti la somma spesa per l’acquisto di dette quote, considerato che già nel 1981 aveva depositi presso le banche per Lire 3.690.568.651, che al 31 dicembre 1982 residuavano Lire 4.352.434.492 ed al 31 dicembre 1983, a seguito dell’operazione, vi erano ancora Lire 522.188.442;

c) la Ita s.r.l. aveva finanziato la Itob s.r.l., ai fini dell’acquisto, mediante aumenti di capitale, la sottoscrizione di un prestito obbligazionario convertibile e finanzamenti infruttiferi per complessive Lire 3.810.208.000, mentre la Itob s.r.l. aveva investito, per l’acquisto delle quote di Portofino Vetta s.a.s. e di Portofino Hotel s.a.s., la minor somma di Lire 3.292.000.000.

Aveva pure allegato e provato che, unitamente a M.G., aveva partecipato al primo aumento di capitale della Itob s.r.l., per sole Lire 6.000.000, dopo avere incassato, ciascuno, lire 4.800.000 per cessione delle quote Itob alla Ita s.r.l., e che con il primo aumento di capitale della Itob s.r.l., necessario per finanziare l’acquisto delle partecipazioni della Portofino Hotel s.a.s. e della Portofino Vetta s.a.s., la quota detenuta era scesa daf1 per cento allo 0,491 per cento, mentre con il secondo aumento di capitale Itob, a cui non aveva partecipato, la sua quota in Itob, come quella dell’altro socio M.G., era ulteriormente scesa allo 0,31 per cento.

Su tali fatti, che afferivano al fatto controverso della riferibilità della spesa sostenuta dalla Itob s.r.l. alle disponibilità reddituali di Ita s.r.l. e non a quelle personali dei soci, la Commissione tributaria centrale non si era affatto pronunciata, avendo reso una motivazione priva di qualsiasi valutazione dei dati e degli elementi fattuali esposti; in ogni caso la valutazione espressa dai giudici della Commissione centrale, se non omessa, era palesemente insufficiente perchè non dava conto del percorso logico-giuridico mediante il quale si era pervenuti ad affermare che gli aumenti di capitale ed i finanziamenti infruttiferi sottoscritti dalla Ita s.r.l. in favore della Itob s.r.l. per complessivi Lire 3.900.000.000, a fronte della spesa accertata dall’Ufficio, da parte di Itob s.r.l., per Lire 3.200.000.000, non fossero idonei a collegare la spesa di quest’ultima ai redditi della controllante Ita s.r.l., ma piuttosto ai soci M.G. e M.P..

2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38.

Ribadisce che nel giudizio di merito aveva contestato che la spesa posta a base dell’accertamento (ossia la spesa sostenuta da Itob s.r.l. per l’acquisto delle quote delle s.a.s. Portofino Vetta e Portofino Hotel) fosse a lui riferibile ed aveva dimostrato che detta spesa fosse invece riferibile alla società controllante Ita s.r.l.

Poichè l’art. 38 cit. non pone alcuna presunzione legale in ordine alla imputazione soggettiva degli indicatori di spesa rilevati dall’Ufficio, ad avviso del ricorrente, risulta evidente che la motivazione della decisione impugnata è errata, considerato che incombeva sull’Ufficio dimostrare come dal fatto noto della spesa accertata di Itob s.r.l. si fosse giunti all’attribuzione del reddito accertato in capo ad un soggetto diverso da quello che aveva sostenuto la spesa.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità del procedimento per invalidità dell’atto di appello dell’Ufficio privo di motivi di impugnazione ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, ex artt. 15 e 22”.

Trascrivendo uno stralcio dell’atto di appello dell’Ufficio, lamenta che la decisione di secondo grado non si è pronunciata sull’eccezione preliminare di inammissibilità sollevata, mentre la Commissione centrale, rigettandola, non ha fatto buon governo del richiamato art. 22, essendo l’atto di impugnazione in appello dell’Ufficio privo dei requisiti essenziali di validità.

4. Il terzo motivo, da esaminare con priorità logica perchè concerne un error in procedendo, è inammissibile, avendo la Commissione centrale giudicato in conformità ai principi espressi in materia dalla giurisprudenza di questa Corte.

4.1. Il cit. D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 22, comma 3, applicabile ratione temporis, prevede che l’appello proposto alla commissione tributaria di secondo grado avverso una decisione della commissione di primo grado deve contenere, oltre all’indicazione della decisione impugnata, “l’esposizione sommaria dei fatti e dei motivi dell’impugnazione”.

La medesima norma – che trova perfetta rispondenza, per quel che riguarda l’impugnazione dinanzi alla Commissione centrale, nell’art. 25, comma 2 – richiama, in quanto applicabili, anche le disposizioni dettate per il contenuto del ricorso di primo grado dall’art. 15, il quale, tra i requisiti del ricorso, indica, al comma 1 lett. d), “i motivi”, precisando, al comma 2, che il ricorso è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi indicati nel comma 1.

4.2. Il tenore letterale delle disposizioni richiamate lascia intendere che l’atto di impugnazione non può prescindere dall’enunciazione dei motivi per i quali si censura la decisione emessa nel precedente grado di giudizio, per cui, se tali motivi non risultano esposti o lo sono in modo tale da renderne incerta l’identificazione, senz’altro va dichiarata l’inammissibilità del gravame.

Dalle medesime norme si trae tuttavia anche la conseguenza che l’enunciazione dei motivi di impugnazione – purchè vi sia e non determini margini di incertezza – può anche essere sommaria e non richiede un particolare livello di specificità, dato che la disposizione riguardante il processo tributario, sebbene sia modellata sull’art. 342 c.p.c., a differenza di questo, non fa cenno alla necessità che i motivi dell’impugnazione siano “specifici”.

Ciò comporta che dai motivi di gravame deve essere possibile individuare il nucleo delle censure rivolte alla pronuncia in precedenza emessa, e i motivi, per essere tali, devono essere riferibili alla precedente decisione e consentire di comprendere quali siano i punti della medesima decisione che l’impugnante vuole sottoporre a nuova valutazione da parte del giudice d’appello e quali le ragioni per le quali egli non condivide, su quei punti, la motivazione di detta decisione (Cass. n. 12037 del 21/11/1995; Cass. n. 1147 del 11/2/1999; Cass. n. 105 del 8/1/2008).

Nel caso in esame la Commissione centrale ha affermato che nell’atto di impugnazione “sono indicate specificamente le critiche rivolte contro la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., e risulta la volontà di sottoporre l’intera controversia al giudice dell’impugnazione”, per cui la censura non è idonea a superare l’accertamento compiuto dal giudice di merito.

5. Il primo motivo, con il quale si chiede di verificare se sia valida la motivazione con la quale la Commissione centrale ha giustificato il giudizio secondo il quale l’Ufficio avrebbe fornito prova della sua pretesa tributaria, mentre il contribuente non avrebbe offerto idonea prova contraria, è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo motivo.

5.1. L’assunto del ricorrente muove dall’esatto rilievo che, a fronte delle presunzioni di reddito scaturenti dall’accertamento sintetico, il contribuente può fornire la prova contraria, che deve essere sottoposta a verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti.

Ciò comporta che il materiale probatorio deve essere adeguatamente apprezzato nella sua complessità, senza ricorrere ad affermazioni generiche, sommarie o cumulative.

Tale accertamento spetta esclusivamente al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se risulti sufficientemente motivato.

5.2. Nel caso in oggetto, il ricorrente sostiene di avere allegato nel giudizio di merito documentazione comprovante che la spesa rilevata dall’Ufficio, ossia l’acquisto, da parte della Itob s.r.l., delle partecipazioni nelle società Portofino Vetta s.a.s. e Portofino Hotel s.a.s., dovesse essere collegata alle disponibilità finanziarie della società controllante Ita s.r.l., e non ai soci M.G. e M.P., come invece contestato dall’Agenzia delle Entrate, con conseguente illegittimità dell’avviso di accertamento che poggia sul presupposto che il finanziamento necessario per dette operazioni di acquisto sia stato “effettuato dai due contribuenti in parte mediante aumento di capitale e in parte mediante versamento dei soci in conto futuro aumento di capitale sociale”.

5.3. Nella sentenza impugnata la Commissione Centrale, dopo avere precisato che “secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di accertamento induttivo, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere della prova contraria”, afferma in maniera apodittica che, nella fattispecie in esame, in presenza di precise contestazioni in ordine alla notevole disponibilità (evidenziata nella decisione impugnata), manifestata dal contribuente, lo stesso non ha in alcun modo fornito idonea giustificazione, per contestare l’accertamento sintetico.

Ciò assume, tuttavia, senza alcun riferimento al concreto atteggiarsi dei fatti di causa, la cui evoluzione ed i cui riscontri fattuali sono del tutto pretermessi e non certamente autonomamente ricostruibili dal giudice di legittimità, essendo la ricostruzione del fatto devoluta al monopolio del giudice di merito.

Tutto ciò comporta che il contenuto decisorio risulta inidoneo a individuare il percorso argomentativo seguito dalla Commissione Centrale per la formazione del suo convincimento e, di conseguenza, non consente di effettuare un controllo sull’operato dei giudici (Cass. Sez. U, n. 16599 del 5/8/2016).

Ed infatti l’accertamento delle prove fornite e la loro valutazione devono essere sorretti, in sentenza, da una motivazione immune da vizi e, in particolare, da una motivazione sufficiente e, al fine di verificare la sufficienza della motivazione, è necessario accertare se, in relazione ad un determinato oggetto, la sentenza sia fornita, oltre che del contenuo di specie statico, cioè del giudizio come risultato dell’attività dell’acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto, di un adeguato contenuto di specie dinamico, cioè della narrazione del passaggio del giudice dalla condizione iniziale di ignoranza alla condizione finale di conoscenza espressa nel giudizio.

In altri termini, il giudice tributario non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perchè questo è il solo contenuto “statico” della decisione, ma deve anche descrivere il processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione d’iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della decisione stessa (Cass. 23 gennaio 2006, n. 1236).

Con riguardo alla sentenza in esame, la Commissione centrale, partendo da considerazioni estremamente generiche, conclude, con un salto logico-giuridico assoluto, per l’infondatezza della tesi difensiva del contribuente omettendo di esplicitare qualsiasi riferimento ai riscontri offerti, che vengono in modo autosufficiente richiamati nel ricorso per cassazione.

Inoltre, tralasciando di esternare il procedimento inferenziale, i giudici della Commissione centrale operano un collegamento, del tutto arbitrario, tra il fatto noto rilevato dall’Ufficio – ossia la spesa sostenuta dalla Itob s.r.l. per l’acquisto delle partecipazioni nelle società Portofino Hotel s.a.s. e Portofino Vetta s.r.l. – e la riferibilità di detta spesa all’odierno ricorrente, addivenendo ad un giudizio, negativo, di insufficienza della prova contraria fornita dal contribuente, che non è stata tuttavia presa in considerazione illustrando il percorso logico seguito per la formazione del processo cognitivo.

Ne discende che, essendo la motivazione sufficiente solo se è munita sia di contenuto di specie dinamico sia di contenuto di specie statico, quella formulata dalla Commissione centrale nella sentenza in questa sede impugnata è sicuramente insufficiente, risultando pretermesso l’esame di diversi decisivi elementi di fatto, individuati in modo puntuale dal ricorrente in seno al mezzo di impugnazione (quali i dati risultanti dai bilanci della Ita s.r.l. e dalla ulteriore documentazione allegata).

6. In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo e rigettato il terzo, la sentenza va, dunque, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, la quale provvederà a nuovo esame fornendo congrua motivazione, nonchè al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo motivo e rigetta il terzo motivo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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