Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33901 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 19/12/2019), n.33901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25458-2013 proposto da:

V.F., domiciliato in ROMA PIZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato NICOLETTA AUSTONI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato ih ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che o rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 33/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 05/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/10/2019 dal Consigliere Dott. RUSSO RITA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato VALENZANO che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- V.F. ha impugnato l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro sul provvedimento emesso dal Tribunale civile di Sondrio n. 250/2007, che, a conclusione del procedimento di divisione di beni comuni tra i signori V., ha assegnato il lotto di beni individuato con la lettera A agli attori V.F., C. e C. e il lotto individuato con la lettera B ai convenuti Ve.Fa. ed E.. Deduce la carenza di motivazione dell’avviso e la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, ritenendo (in via presuntiva) che sia stata applicata per errore l’imposta sui trasferimenti (7%) anzichè quella sulla registrazione delle sentenze (1%). L’Agenzia, costituendosi nel giudizio di primo grado, precisa di avere applicato l’aliquota dell’1% sul valore complessivo dei beni stimato in Euro 176.850,00 comunicato alla Agenzia in data 30.10.2008 dal CTU della causa di divisione, geom. D.. Il contribuente lamenta di avere appreso solo in quest’occasione che la determinazione dell’importo era avvenuta con una richiesta diretta al CTU della causa, al di fuori da qualsivoglia contraddittorio, e solleva eccezione di violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 2 e 2 bis, per non avere l’Agenzia precisato nell’avviso di liquidazione nè il valore attributo, nè gli elementi in base al quale è stato indicato, nè le aliquote applicate. La CTP rigetta il ricorso ritenendo che l’Agenzia abbia effettuato la tassazione sulla base di quanto accertato dall’autorità giudiziaria.

2.-. Il contribuente propone appello e il giudice di secondo grado, con sentenza n. 33/30/2013, conferma la sentenza di primo grado, osservando che già dall’esame della sentenza n. 250/2007 prodotta dall’Agenzia in sede di appello, si può verificare che sono indicati (ultima pagina) i valori dei due lotti: lotto A del valore di Euro 86.300,00 assegnato agli attori V.F., C. e C. e lotto B del valore di Euro 90.550,00 assegnato ai convenuti Ve.Fa. ed E.. In particolare il giudice d’appello osserva che “la copia della sentenza del Tribunale di Sondrio r.g.n. 250/2007 a firma del Giudice Licitra Barbara, rep. 456/08/B prodotta sub all. 2 dall’appellato ufficio con le proprie controdeduzioni, non solo si riferisce alla perizia del CTU depositata in cancelleria il 9.10.2007 ed alla ulteriore documentazione depositata in data 5/6/08, ma altresì che l’ultima pagina della stessa, munita di bollo del Tribunale e del visto del depositato in cancelleria indica esplicitamente i valori sui quali è stata eseguita la tassazione, ovvero di Euro 86.300,00 per il lotto A e di Euro 90.550,00 per il lotto B” Osserva inoltre che non è pertinente il riferimento al TUR, art. 52, posto che alla fattispecie si applicano invece gli artt. 37 e 54, comma 5.

3. Avverso la predetta sentenza la parte ha proposto sia ricorso per revocazione che ricorso per cassazione. L’odierno ricorso per cassazione è affidato a tre motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 e 2 bis, perchè l’avviso di liquidazione non indica il valore attribuito alle unità immobiliari, le aliquote, i relativi conteggi.

Il motivo è inammissibile perchè l’avviso de quo non è stato trascritto. La parte si limita a trascrivere solo una parte dell’avviso, quella in cui si indicano gli estremi delle sentenze cui si riferisce l’avviso e a indicare gli importi, estrapolando questi elementi dal contesto dell’atto.

Come da giurisprudenza consolidata di questa Corte, il principio di specificità del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., richiede che il ricorso contenga tutti gli elementi necessari a consentirne il controllo di legittimità del giudice, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative. I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza. Specificamente, nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. 16147/2017; Cass. 3596/2013; Cass. 29093/2018). In questo caso la parte avrebbe dovuto trascrivere l’avviso per intero, al fine di consentire la valutazione delle censure di motivazione carente.

5.- Con il secondo motivo si lamenta il vizio di cui all’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, vizio rilevato già con riferimento al giudizio di primo grado ed erroneamente – secondo la parte – respinto dalla CTR. Il ricorrente lamenta di avere dedotto in primo grado la nullità dell’avviso perchè (in via presuntiva) riteneva che l’Agenzia avesse applicato l’aliquota del 7% invece di quella dell’1%. Le difese dell’Agenzia, che afferma di avere calcolato 111% sul valore complessivo dei beni divisi, secondo la parte sarebbero tardive ed inammissibili. La CTP si sarebbe pronunciata con motivazione non pertinente, affermando che l’avviso è stato emesso in forza di una sentenza pronunciata dal giudice civile e che l’ufficio ha svolto la sua attività di tassazione su quanto già accertato dalla Autorità giudiziaria. La CTR sarebbe incorsa nello stesso errore, per non aver tenuto conto che il CTU nominato dal giudice nella causa di scioglimento comunione non ha attribuito alcun valore agli immobili.

Il motivo è infondato.

Si lamenta qui, da un lato, il mancato accoglimento della tesi difensiva del contribuente, dall’altro la motivazione (asseritamente) carente o illogica e non pertinente. In verità il primo giudice si è pronunciato esattamente sul petitum e cioè la dedotta illegittimità dell’avviso e incongrua tassazione dell’atto, ed ha ritenuto che l’atto impositivo fosse regolare e la pretesa fondata. La CTR ha confermato la sentenza, esplicitando ulteriormente le ragioni per cui l’avviso si deve ritenere legittimo e la pretesa impositiva fondata, nei termini sopra espressi, e cioè respingendo la tesi del contribuente e ritenendo corretta quella dell’Ufficio. Non sussiste quindi il vizio di omessa pronuncia, atteso che non ricorre questa ipotesi ogni qualvolta la decisione adottata comporti il rigetto, anche implicito, delle domande ed eccezioni di una parte (Cass. 20718/2018; Cass. 15255/2019).

Si deve inoltre aggiungere che al processo de quo si applica l’art. 360 c.p.c., n. 5 nella sua attuale formulazione che non consente di denunciare la illogicità della motivazione resa dal giudice di appello.

6.- Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1996, artt. 57 e 58.

Il contribuente lamenta che il giudice d’appello non avrebbe dovuto dare ingresso all’eccezione, comunque infondata e non veritiera, in base alla quale i valori erano stati determinati già nel corso nella causa di divisione. Il giudice non avrebbe dovuto inoltre dare ingresso ad una nuova prova (che la parte dichiara essere falsa, o artefatta) e cioè il documentazione prodotto in secondo grado dalla Agenzia. La parte evidenzia una contraddizione nella difesa dell’Agenzia laddove in primo grado assume di avere tassato l’atto in base a una nota inviata (dopo la pubblicazione della sentenza) dal CTU, e invece in secondo grado produce copia degli atti del processo, fondando la difesa su questa documentazione.

Il motivo è infondato.

Si deve premettere che il ricorrere a più ragioni di difesa, anche eventualmente subordinate tra di loro, non è causa di nullità e non crea vulnus al contraddittorio se la controparte è in condizione, come nel caso di specie, di prendere contezza delle difese dell’avversario. Quale che sia la pretesa “contraddizione” difensiva dell’Agenzia, qui peraltro non esaustivamente verificabile perchè parte ricorrente non trascrive gli atti difensivi della controparte, dal ricorso e dalla lettura della sentenza impugnata si desume che tanto il primo che il secondo giudice hanno ritenuto corretta la tassazione perchè basata su quanto accertato nel corso del giudizio e non – come lamenta la parte – a giudizio concluso, tramite richiesta di chiarimenti al CTU. Lo stesso ricorrente peraltro riferisce che nel corso della pubblica udienza di discussione in primo grado il funzionario della Agenzia ha illustrato la deduzione che i valori risultavano già nella sentenza n. 250/2007. L’affermazione di avere fondato la tassazione sul valore degli immobili è stata sin dal primo momento la difesa dell’Agenzia e la specificazione di avere desunto questo valore dalla sentenza non è una eccezione, ma una mera difesa, per contrastare la affermazione del contribuente il quale sostiene che “la divisione è avvenuta senza determinazione di valore”, il che invece – secondo quanto rileva il giudice d’appello – è smentito dalla documentazione prodotta dalla Agenzia. Non vi è stata quindi l’introduzione nel giudizio di appello di una nuova eccezione, in violazione dell’art. 57 cit., ma è stata soltanto specificata e documentata una mera difesa già illustrata in primo grado. Si deve qui ricordare che soltanto per l’eccezione in senso stretto vale il divieto di proposizione per la prima volta in appello e non anche per la mera difesa, consistente nella contestazione dei fatti posti dall’altra parte a fondamento del suo diritto (v. Cass. 14515/2019; con specifico riferimento al processo tributario v. Cass. 8313/2018 e Cass. 22105/2017)

Il giudice d’appello sul punto ha reso una motivazione molto dettagliata rilevando che “la copia della sentenza del Tribunale di Sondrio r.g.n. 250/2007 a firma del Giudice Licitra Barbara, rep. 456/08/8 prodotta sub all. 2 dall’appellato ufficio con le proprie controdeduzioni, non solo si riferisce alla perizia del CTU depositata in cancelleria il 9.10.2007 ed alla ulteriore documentazione depositata in data 5/6/08, ma altresì che l’ultima pagina della stessa, munita di bollo del Tribunale e del visto del depositato in cancelleria indica esplicitamente i valori sui quali è stata eseguita la tassazione, ovvero di C 86.300,00 per il lotto A e di Euro 90.550,00 per il lotto 8”.

Secondo il contribuente la CTR non avrebbe dovuto dare ingresso in appello a nuove prove e comunque la copia del documento depositato dall’Agenzia sarebbe artefatto e non corrispondente all’originale.

Si tratta di censure infondate, perchè il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, consente la produzione di nuovi documenti in appello (Cass. 29087/2018; Cass.3615/2019), facoltà di cui si è avvalsa l’Agenzia producendo la documentazione cui fa riferimento il giudice d’appello, che non risulta tempestivamente disconosciuta. E’ infatti principio consolidato che la copia fotostatica non autentica di una scrittura si ha per riconosciuta conforme all’originale ai sensi dell’art. 215 c.p.c., n. 2, se la parte comparsa contro cui è stata prodotta non la disconosce in modo formale e nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass. 15856/2004; v. anche Cass. 18074/2019; Cass. civ. n. 5077/2017).

La parte lamenta che il nuovo documento prodotto dall’Agenzia non è stato allegato anche alla copia delle controdeduzioni ad essa destinate e di essere stata tratta in inganno dal tenore delle difese contenute nelle controdeduzioni. La circostanza che i documenti prodotti in uno con la costituzione non siano allegati alla copia scambio è irrilevante. La parte è tenuta solo ad indicarli nell’atto di costituzione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 54 (e non si contesta che abbia omesso di farlo) e di depositare presso la cancelleria i documenti. La controparte deve avere cura di visionare i documenti e di estrarne copia, al fine di avere contezza completa degli argomenti a difesa e anche al fine, eventualmente, di disconoscerli. Non operato il disconoscimento di un documento (legittimamente) depositato in grado di appello, ben poteva la CTR utilizzarlo per fondare il suo convincimento.

7.- Con il quarto motivo di appello la parte lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo cioè che la CTR avrebbe omesso di esaminare il fatto che l’Agenzia ha emesso l’avviso in assoluta carenza di motivazione, in assenza di contraddittorio e su un valore comunicato dopo la chiusura del giudizio dal CTU nonchè sul fatto che nè l’ordinanza di assegnazione lotti nè la perizia ne riportavano il valore.

Il motivo è infondato. Il fatto è stato esaminato dalla CTR ed è stato ritenuto sufficiente che i valori fossero riportati nella documentazione depositata dall’Agenzia nei termini di cui si è detto; una volta accertato che l’ufficio ha tassato l’atto sulla base di quanto risulta dal provvedimento giudiziale, la circostanza che l’ufficio abbia (anche) chiesto chiarimenti al CTU a causa conclusa e fuori dal contraddittorio, non costituisce più un fatto decisivo. Quanto alla censura che nè l’ordinanza di assegnazione lotti nè la perizia riportavano il valore dei beni assegnati, si deve osservare la CTR ha esaminato il documento depositato dall’Agenzia, di cui ha riportato il contenuto in sentenza, ed ha concluso, con giudizio in fatto non sindacabile questa sede, che esso fosse idoneo a dimostrare che il valore dei lotti era stato chiaramente indicato già nel provvedimento di assegnazione. Come sopra si è detto, la parte non può in questa sede dedurre la falsità (o non rispondenza all’originale) dei documenti depositati dalla Agenzia, documenti che non risultano, come sopra si è detto, disconosciuti nei termini previsti dagli artt. 214 e 215 c.p.c..

Ne consegue il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, camera di consiglio, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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