Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33900 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 19/12/2019), n.33900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14847-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso,

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.P., P.A., F.M.;

– intimati –

Nonchè da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIA APRICALE 31,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO VITOLO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELO MAURANTONIO giusta delega a margine;

– controricorrente incidentale –

Nonchè da:

S.J.U., P.A., elettivamente domiciliati in ROMA VIA

OVIDIO 32, presso lo studio dell’avvocato DEBORA MILILLI,

rappresentati e difesi dall’avvocato LAPO GUADALUPI giusta delega in

calce;

– controricorrente incidentale –

contro

F.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 24/2o13 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 16/04/2013;

udita la relazione a causa svolta nella pubblica udienza del

08/13/2019 dal Consigliere Dott. CAPRIOLI MAURA;

udito P.M. persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del 1^ motivo del

ricorso incidentale P.A., accoglimento del 1^ motivo ricorso

incidentale P.P., rigetto motivi 1^ 2^ 4^ e accoglimento

motivo 3^ ricorso principale nei confronti di P.A., assorbito

il 2^ motivo del ricorso incidentale condizionato proposto dal

P.P. e motivo 3^ proposto da P.A., infondato il 2^ motivo del

ricorso incidentale P.A.;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che si riporta e chiede

accoglimento.

Fatto

Con sentenza n. 122/2009 la CTP di Firenze accoglieva il ricorso proposto da P.P., da P.A. e S.J.U., quali eredi, e da F.M., quale legataria, avverso l’avviso di rettifica del 9.3.2006 emesso dall’Agenzia delle Entrate e, per l’effetto, annullava il provvedimento impugnato (avviso di liquidazione per imposta di successione in rettifica del valore di più cespiti) per carenza di motivazione.

Avverso tale pronuncia proponeva appello l’Agenzia delle Entrate.

Si costituivano F.M. contestando il fondamento dell’appello principale e proponendo appello incidentale condizionato; si costituivano altresì P.P., nonchè P.A. e S.J.U. eccependo in via preliminare l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità.

Con sentenza n. 24/2013 la CTR Toscana riteneva sufficientemente motivato l’avviso di rettifica e di liquidazione dell’imposta di successione.

In questa prospettiva, sottolineava che la stima redatta dall’Ute per conto dell’Agenzia del territorio, quantunque non avesse il valore probatorio tipico dell’atto pubblico ma quello di una mera perizia di parte, non poteva considerarsi solo per questo inattendibile in quanto logicamente legata all’ente impositore, essendo invece necessario verificare se la stima in essa contenuta fosse o meno idonea a superare le contestazioni fatte valere dai contribuenti.

Il giudice di appello rilevava che l’ambito del gravame doveva essere limitato ai soli cespiti ritenuti oggetto di contestazione in via incidentale dai contribuenti e, in particolare, a quelli contrassegnati con i nn. 1 e 8 ( P.P.) nonchè 3, 4 e 5 ( P.A. e S.J.U.) con esclusione dei cespiti nr. 11,12 e 13 per i quali l’Ufficio – appellante principale – non aveva riproposto le questioni ritenute assorbite dal primo Giudice.

Relativamente ai cespiti nr. 1 e 8 la Ctr riteneva che dovesse essere confermato il valore esposto nella dichiarazione di successione, mentre per i cespiti 3, 4 e 5, che erano stati dichiarati, ma non ancora iscritti, al catasto alla data di presentazione della dichiarazione di successione, escludeva la sussistenza delle condizioni per il ricorso alla valutazione automatica e l’applicazione della sanzione, rilevando, tuttavia, che i valori attribuiti dall’Agenzia dovevano essere ridimensionati tenuto conto della lievitazione del mercato immobiliare nel periodo intercorrente tra l’apertura della successione ed il momento della valutazione.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a 4 motivi, cui resistono con controricorso e ricorso incidentale P.P., P.A. e S.J..

Diritto

La ricorrente principale con il primo motivo (relativo ai cespiti nn. 11, 12 e 13) denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 56 e 54 e dell’art. 100 c.p.c., dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c. nonchè la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Rileva che la Ctr non avrebbe fatto buon governo dei principi processuali che regolano la materia delle impugnazioni.

Osserva infatti che, alla luce della decisione assunta dalla CTP, la quale aveva annullato l’avviso di rettifica per un vizio formale (carenza di motivazione) l’interesse all’impugnazione della sentenza da parte dell’Amministrazione non poteva che essere limitato all’unica ratio decidendi posta a fondamento della sentenza il cui accoglimento avrebbe dovuto comportare la reviviscenza dell’atto impositivo nella sua interezza, e l’esame delle questioni rimaste assorbite qualora fossero state specificamente riproposte dagli appellati.

Con un secondo motivo, articolato in duplice profilo, deduce la violazione e falsa applicazione del T.U. n. 346 del 1990, artt. 12 e 13 e del D.Lgs.n. 347 del 1990, artt. 2 e 10 nonchè dell’art. 14 preleggi; violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Critica in particolare, con riferimento al cespite nr. 1, la sua esclusione dall’imponibile ai fini delle imposte ipotecarie e catastali.

Sostiene infatti che la natura di bene storico vincolato comporti l’esenzione ai soli fini dell’imposta di successione, e non anche di quella delle imposte ipotecaria e catastale.

Lamenta, inoltre, che la CTR avrebbe confermato il valore dichiarato in successione, in violazione dei principi che governano il riparto dell’onere probatorio e la non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., che era stato frainteso nella sua portata normativa.

Osserva che, nella specie, il fatto controverso del valore attribuito al bene doveva essere oggetto di prova da parte del contribuente o comunque, in mancanza, la mera allegazione della circostanza avrebbe dovuto indurre il giudice a verificarne in concreto la rilevanza.

Con un terzo motivo (relativo alle sole sanzioni sui cespiti nn. 3, 4 e 5) l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1. n. 3. Critica, in specie, l’esclusione della sanzione che la CTR avrebbe operato in relazione ad una ipotesi non contemplata dalla norma.

Evidenzia infatti che l’art. 34, comma 6, cit. è diretto a regolare il caso, diverso rispetto a quello accertato dal Giudice di appello, in cui il procedimento normativo previsto per l’attribuzione della rendita catastale con riferimento agli immobili non ancora iscritti alla data di presentazione della dichiarazione di successione venga correttamente eseguito e così portato a termine.

Con il quarto motivo la ricorrente principale lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. – relativamente alla statuizione riguardante il cespite nr. 8 – in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Contesta, in particolare, che la conferma del valore dichiarato dai contribuenti sarebbe avvenuto nell’inesatta individuazione del momento della perdita del carattere pertinenziale del fabbricato rispetto al terreno circostante, momento che non aveva formato oggetto di eccezioni da parte dei contribuenti i quali non avevano mai messo in discussione la perdita delle caratteristiche di ruralità del bene già al momento dell’apertura della successione.

P.P. e P.A. nonchè S.J.U. denunciano in via incidentale la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando, da un lato, il difetto di specificità dell’atto di gravame i cui motivi non sarebbero stati enucleati in modo specifico e dettagliato e, dall’altro, la mancata censura di merito.

Per priorità logico-giuridica vanno vagliati i profili di inammissibilità del ricorso principale fatti valere dai controricorrenti.

A tal fine va ricordato in via generale che, in tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello, delle ragioni originarie poste a fondamento della pretesa fatta valere in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito.

Tale principio è stato più volte applicato quando l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato (Cass. 2018 nr 32954 ed altre).

Ciò posto, nel caso in esame la sentenza nr 122/2007 della CTP aveva dichiarato la nullità del provvedimento impugnato (avviso di rettifica) in quanto emesso con il richiamo a criteri astratti ed a stime dell’Ufficio provinciale del territorio senza possibilità di statuire nel merito del rapporto, restando così assorbito ogni profilo afferente la fondatezza della rettifica dei vari cespiti che non era stata minimamente esaminata dal giudice di primo grado.

E’ di tutta evidenza che l’atto di appello non poteva che essere indirizzato ad ottenere una riforma della pronuncia diretta a contrastare l’affermata carenza motivazionale dell’atto impugnato.

L’amministrazione finanziaria ha nel suo atto di gravame censurato la conclusione raggiunta dalla CTP, rilevando come la sentenza si limitasse a sviluppare una motivazione in risposta alla questione della inattendibilità delle stime Ute senza tenere conto di tutte le considerazioni poste dall’Ufficio alla base della propria pretesa.

Aggiungeva altresì che la sentenza “oltre che non esaustiva fosse non condivisibile in quanto fondata sull’erroneo convincimento che la stima Ute fosse un mero documento di parte, quindi sol per quello inattendibile, senza tener conto o verificare se la stima medesima fosse o meno idonea a superare le contestazioni peraltro non poste o poste senza riserva dagli interessati”.

L’Agenzia delle Entrate, attraverso la riproposizione delle ragioni poste a fondamento della legittimità dell’accertamento (in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado) ha assolto pertanto l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, giacchè dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, si evincono i motivi di censura in termini inequivoci.

Venendo ora alla prima questione introdotta dalla agenzia delle entrate, va ricordato che è regola costante che: “In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento – come il corrispondente art. 346 c.p.c. – all’appellato, e non all’appellante; pertanto, avuto riguardo al carattere impugnatorio del giudizio, alla qualità di attore in senso sostanziale rivestita dall’Ufficio ed all’indisponibilità della pretesa, alla quale l’Amministrazione non può rinunciare se non nei limiti di esercizio di autotutela, qualora l’Amministrazione sia soccombente in primo grado per un profilo preliminare di legittimità formale dell’atto, dalla circostanza che l’appello proposto abbia per oggetto solo la suddetta statuizione non può desumersi la rinuncia a far valere la pretesa tributaria.” (Cass. 12.6.2009, n. 13695; Cass. 30.12.2009, n. 28018; Cass.n. 7702/13, n. 14534/18 ed altre).

Da quanto sopra discende che l’Amministrazione che impugni la sentenza sulla sola questione preliminare non può dirsi che abbia rinunciato a far valere nel merito la pretesa tributaria, non applicandosi il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, che invece va riferito all’appellato, vittorioso in primo grado, e non all’appellante (Cass. 2016 nr. 8332).

L’Amministrazione, qualora in primo grado le questioni di merito poste a fondamento dell’atto impugnato non siano esaminate in quanto ritenute assorbite dall’accoglimento di altre questioni preliminari proposte dal contribuente, non ha l’onere di riproporle nell’atto di appello, potendo esse ritenersi sottratte al dibattitto processuale soltanto a seguito di univoca volontà di rinuncia manifestata dalla parte (Cass. 2013 nr. 26741).

La riconosciuta legittimità da parte della CTR dell’avviso di rettifica sotto il profilo della motivazione ha pertanto comportato la reviviscenza dell’atto anche in relazione agli aspetti non esaminati, e quindi con riferimento ai cespiti nr 11, 12 e 13, sicchè era onere esclusivo delle parti appellate riproporre, anche senza ricorrere alle forme dell’impugnativa incidentale, le questioni di merito con riferimento ai vari cespiti.

Onere, questo, che nel caso di specie non può dirsi assolto da parte del contribuente P.P. che nulla ha contestato in ordine al valore indicato nel provvedimento di rettifica dei suddetti cespiti mentre, con riguardo agli altri due contribuenti, il rimprovero che si muove alla CTR di una omessa pronuncia in merito alle questioni introdotte in via di appello incidentale relativamente ai cespiti immobiliari nr. 8, 13, 3, 4, 5, 1, 12 e 11, muove da una lacuna non sussistente.

A tal fine è bene rammentare che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si è verificato nel caso in esame, dove il giudice di appello ha valutato in termini di genericità la formulazione dell’appello incidentale, come del resto danno atto gli stessi controricorrenti (cfr. pag. 10 del ricorso), ed ha pertanto reso una statuizione in rito in relazione alla quale non sono stati dedotti elementi per disattenderla.

Le critiche riportate nel controricorso, infatti, si risolvono nel contrapporre alle stime dell’Ute mere allegazioni insuscettibili di fondare il richiesto controllo di legittimità.

In particolare, con riferimento al cespite nr 8 entrami i contribuenti contestano la rettifica di valore operata dall’Ufficio sostenendo che lo stesso non avrebbe considerato alcune situazioni quali, ad esempio, lo stato di degrado e di manutenzione del manufatto ed i valori definiti nel triennio, senza però offrire in proposito alcun elemento idoneo a corroborare l’assunto.

Relativamente al cespite nr 13, lamentano che il valore accertato dall’Ufficio si sarebbe basato sulla perdita della vocazione a terreno agricolo dell’area che invece, ad avviso dei ricorrenti, ne avrebbe rispecchiato le caratteristiche, come sarebbe stato dimostrato nel giudizio di primo grado; senza però riportare i dati probatori onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza.

Per quanto attiene ai cespiti nr. 3, 4 e 5, tali beni sono stati oggetto di rideterminazione da parte della CTR, ed in merito a tale statuizione i ricorrenti non possono, in sede di legittimità, richiamarsi alle contestazioni sollevate in “primo” grado, ricadendo su di essi l’onere di puntualmente criticare la valutazione espressa dal giudice di gravame spiegandone le ragioni.

Con riferimento al cespite nr. 1, la decisione impugnata ha confermato la valutazione contenuta nella dichiarazione sicchè, in relazione ad essa, manca l’interesse dei contribuenti a contestare.

Con riferimento al cespite nr. 12, viene criticata la valutazione dell’Ufficio che non avrebbe tenuto conto della qualità agricola dell’area per la quale, invece, sarebbe stata fornita nel corso del giudizio di primo grado da parte dei ricorrenti la relativa prova.

Anche in questo caso, in ossequio al principio di autosufficienza e specificità del ricorso per cassazione ed al carattere non libero del mezzo di impugnazione, la parte che ritiene che non sia stata correttamente valutata la prova fornita ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali essa invoca il controllo di logicità, riportando almeno gli elementi salienti e non condivisi dalla CTR, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione sulla decisione.

Parimenti generica è la critica sollevata in relazione al cespite n. 11, con la quale si censura l’accertamento dell’Ufficio solo perchè fondato su di una stima dell’Agenzia del territorio perchè ritenuta di parte, senza però contrapporre le ragioni per le quali detta stima, valutata nel merito dal giudice di appello, non sia ritenuta congrua.

Per quanto attiene all’ulteriore profilo del secondo motivo del ricorso principale, relativo al cespite nr 1, le censure dell’Amministrazione non consentono di pervenire ad una valutazione diversa da quella raggiunta dal Giudice di appello relativamente al valore riportato nella dichiarazione di successione, in quanto bene di interesse storico in stato di cattive condizioni.

Lo stato del bene è risultato attestato da produzioni documentali (doc. 4) che, trasfuse nel controricorso di P.P. in ossequio al principio dell’autosufficienza, non sono state in alcun modo criticate e contestate dall’Amministrazione, sicchè condivisibilmente poste a base del suo convincimento da parte della CTR la quale ha fatto corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c.

I contribuenti avevano tra l’altro allegato documento tecnico di integrazione della CTU ing. C. attestante il degrado effettivo dell’immobile; è dunque da ritenere che anche su questo si sia basato il convincimento prettamente valutativo del giudice di merito, qui non rivedibile.

Quanto poi al prospettato errore in cui sarebbe incorso il giudice di appello per aver escluso il predetto immobile sottoposto a vincolo storico dall’imponibile ai fini delle imposte ipotecarie e catastale perchè l’esenzione riguarderebbe solo l’imposta di successione, occorre rilevare che, “in tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione dei beni culturali dall’imposta sulle successioni, prevista dal D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, artt. 12 e 13, non si comunica anche alle imposte ipotecaria e catastale, diversi essendo il fondamento dei tributi in questione e le ragioni dell’esenzione. Sebbene, infatti, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, artt. 2 e 10, individuino la base imponibile dell’imposta ipotecaria e catastale mediante rinvio alla disciplina dell’imposta di registro o dell’imposta sulle successioni, l’art. 2 cit., comma 2, mostra di voler assoggettare comunque a tassazione il trasferimento (inter vivos o mortis causa) dei beni, facendo alternativo ricorso, in ipotesi di esenzione da una delle imposte parametro (o di sua determinazione in misura fissa), al valore virtuale che i beni vengono ad assumere nell’ambito dell’imposta parametro, indipendentemente dall’esenzione o dalla sua determinazione in maniera fissa” (Cass. n. 8977 del 2007; nello stesso senso Cass. n. 5765 del 2010 e n. 4026 del 2012).

L’immobile in questione deve pertanto essere incluso nella base imponibile ai fini dell’imposta ipotecaria e catastale.

Per quanto attiene ai cespiti nr. 3, 4 e 5 per i quali la CTR ha escluso l’istituto della valutazione automatica, la sola questione introdotta dall’Amministrazione finanziaria attiene non alla determinazione dei valori riconosciuta dal giudice di appello per la quale ha prestato acquiescenza, ma all’esclusione delle sanzioni. I contribuenti P.A. e S.J.U., dal canto loro, reiterano in via di ricorso incidentale le censure relative alla mancata applicazione dell’istituto della valutazione automatica, a loro dire illegittimamente negata dall’Amministrazione, senza tuttavia svolgere alcuna critica alla sentenza di appello che aveva puntualmente spiegato le ragioni per le quali l’istituto in questione non era invocabile.

Il rilievo pertanto, proprio perchè non rivolto alla sentenza, non può essere preso in considerazione e deve ritenersi inammissibile.

Va comunque osservato che il giudice di merito ha accertato che i cespiti, alla data della dichiarazione di successione, erano stati “dichiarati in catasto, ma non iscritti”, sicchè in assenza di una effettiva iscrizione ed attribuzione di una rendita non era possibile far ricorso al criterio di stima automatica previsto dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34.

Per quanto attiene alla sanzione, occorre sottolineare che la P. aveva invece richiesto l’attribuzione di rendita all’UTE, a nulla rilevando che non l’avesse poi trasmessa per conoscenza all’ufficio del registro per la successione.

Correttamente la CTR, in applicazione del principio della buona fede e di acquisizione documentale da parte della PA (Statuto del contribuente, art. 6), ha ritenuto di escludere l’applicazione della sanzione imputando alla condotta dell’Amministrazione la mancata iscrizione dell’immobile regolarmente dichiarato. E ciò in conformità all’art. 34, comma 6 bis, che testualmente prevede: L’ufficio tecnico erariale, entro dieci mesi dalla presentazione dell’istanza di attribuzione della rendita, invia all’ufficio del registro un certificato attestante l’avvenuta iscrizione in catasto del fabbricato e la rendita attribuita; se l’imposta era già stata liquidata in base al valore indicato nella dichiarazione della successione e tale valore risulta inferiore a cento volte la rendita così attribuita e debitamente aggiornata, o al corrispondente valore della nuda proprietà o del diritto reale di godimento, l’ufficio del registro, nel termine di decadenza di cui all’art. 27, comma 3, liquida la maggiore imposta corrispondente alla differenza, con gli interessi di cui al comma 1 dalla data di notificazione della precedente liquidazione e senza applicazione di sanzioni.

Relativamente all’ultima censura del ricorso principale dell’agenzia, va accolta l’eccezione di inammissibilità del motivo sollevata dai controricorrenti ( P.A. e S.J.U.) in relazione all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

La valutazione probatoria espressa dalla CTR circa l’incertezza del dato temporale è sottratta al sindacato di legittimità; infatti, non di omesso esame si è trattato, ma di delibazione fattuale discrezionale.

La censura, così come formulata con il mezzo in esame, tende in realtà ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede; sicchè il motivo in parola è del tutto inammissibile.

L’esito sfavorevole del giudizio per il controricorrente P.P. impone di esaminare la questione introdotta in via di ricorso incidentale condizionato relativa alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 35, in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta infatti il P. che il disposto del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 35, troverebbe applicazione solo in presenza di una comunione ereditaria e non anche in situazione di concorso fra soggetti quali eredi e legatari, tra i quali non si sarebbe formata alcuna comunione

Il motivo è infondato.

Va infatti rilevato che la sentenza impugnata ha accertato in capo a P.P. la qualità di coerede e non di legatario, ed in base al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 36, la solidarietà nel pagamento dell’imposta viene esclusa unicamente per i legatari.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale (primo e secondo motivo, quest’ultimo limitatamente al profilo della imponibilità ipocatastale), con il rigetto di quelli incidentali; si impone il rinvio alla CTR Toscana in diversa composizione che provvederà al ricalcolo delle imposte ed alla liquidazione delle spese anche per la fase di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie il primo ed il secondo motivo (quest’ultimo limitatamente al profilo della imponibilità ipocatastale) del ricorso principale dell’Agenzia delle entrate, respinti gli altri motivi;

rigetta i ricorsi incidentali proposti da P.P. e da P.A. e S.J.U.;

si dà atto dell’esistenza dei presupposti del versamento (N.d.r.:testo originale non comprensibile);

– cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla CTR Toscana, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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