Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3390 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 12/02/2020), n.3390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3358/2012 R.G. proposto da

F.F., F.C.S., I.G.M.A.,

rappresentati e difesi dall’avv. Carlo Sebastiano Foti, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Felice Grossi

Gondi, n. 62.

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

– intimato –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

sezione n. 21, n. 228/21/10, pronunciata il 9/11/2010, depositata il

16/12/2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 dicembre 2019

dal Consigliere Dott. Guida Riccardo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. De Matteis Stanislao che ha depositato requisitoria

scritta in forma di memoria, senza rilievi delle parti costituite, e

ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avv. Carlo Sebastiano Foti;

udito l’avv. Barbara Tidore per l’Avvocatura Generale dello Stato;

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.F., nata il (OMISSIS), e i genitori F.C.S. e I.G.M.A. impugnarono, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, sia l’avviso di accertamento IRPEF (emesso il 26/06/2006) che determinava, per il periodo d’imposta 1999, con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 5, il reddito di F.F., all’epoca minorenne, quantificandolo in Lire 138.576.000, sia gli atti di contestazione di sanzioni, per omessa presentazione della dichiarazione per il 1999, diretti a ciascuno dei genitori.

L’accertamento fiscale era scaturito dall’acquisto a titolo oneroso, da parte di F.F., rispettivamente il 28/12/1998 e il 02/04/1999, di un immobile al prezzo di Lire 163.337.000, e di una quota di una società di capitali per Lire 665.118.000, dall’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e dal fatto che, in fase di verifica, non erano state fornite giustificazioni attendibili dell’incremento patrimoniale.

Il giudice di prima istanza rigettò il ricorso e tale decisione è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rilevato che: (a) non aveva fondamento la censura degli appellanti circa l’inesistenza/nullità dell’avviso di accertamento perchè rivolto ad un minore, privo della capacità di agire in quanto l’ufficio, correttamente, aveva notificato l’avviso, diretto ad un soggetto minorenne ( F.F.), a ciascuno dei genitori, in qualità di esercenti la potestà genitoriale; (b) l’Amministrazione finanziaria aveva bene applicato la presunzione legale, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, che ricorre nel caso di “spesa per incrementi patrimoniali”; (c) la ricostruzione con metodo sintetico del reddito della minore poggiava su elementi e circostanze di fatto certi, quali i predetti acquisti di un immobile e di una quota societaria, ferma la constatazione che, in assenza della dichiarazione fiscale, l’accertamento presuntivo del reddito può avvenire anche tramite presunzioni semplici, prive dei caratteri della gravità, precisione e concordanza; (d) nonostante l’invito dell’Amministrazione finanziaria, i ricorrenti, in fase endoprocedimentale, non avevano provato il nesso tra detti incrementi patrimoniali e le asserite “regalie da parte di parenti ed amici”, le quali non erano mai state documentate.

I contribuenti ricorrono per la cassazione, con quattro motivi, illustrati con una memoria; l’Agenzia resiste con controricorso.

Con dichiarazione depositata in cancelleria il 15/12/2019, F.C.S. e I.G.M.A. hanno rinunciato al ricorso limitatamente agli atti di irrogazione delle sanzioni, per essersi avvalsi della definizione agevolata (c.d. rottamazione-ter).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

a. E’ preliminare la declaratoria d’inammissibilità del ricorso proposto contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, quale soggetto carente di legittimazione sostanziale e processuale.

Con l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 01/01/2001, essa è succeduta a titolo particolare, al Ministero, nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per cui le spetta, in via esclusiva, la legittimazione ad causam e ad processum nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data (Cass. sez. un. 3116 e n. 3118 del 2006); da ciò discende l’inammissibilità del ricorso contro il MEF, soggetto ormai privo di legittimazione passiva e processuale, il quale nemmeno ha il ruolo di contraddittore necessario nel giudizio di merito.

b. Si deve dichiarare l’estinzione del giudizio, con riferimento al ricorso di F.C.S. e I.G.M.A. avverso l’atto di contestazione (OMISSIS), in conseguenza della rinuncia alla domanda, accettata dall’Agenzia con dichiarazione resa in udienza.

c. E’ inammissibile, perchè estranea al perimetro del giudizio di legittimità, la domanda di ripetizione delle somme pagate (Euro 47.979,58) irritualmente formulata dai ricorrenti nella memoria ex art. 378, c.p.c..

1. Con il primo motivo del ricorso (1. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Roma merita censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione dell’art. 2 del codice i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere ritenuto legittima l’emissione dell’avviso direttamente nei confronti di F.F. (la quale era minorenne all’epoca della verifica fiscale e perciò era priva di capacità d’agire), sia pure con l’apposizione, sull’atto medesimo, della formula “e per essa a” e con la notifica dell’avviso (anche) ad entrambi i genitori (ciascuno dei quali, in effetti, aveva ricevuto il medesimo atto che – in sostanza – era stato notificato tre volte: alla destinataria F.F. e ai genitori), senza considerare che l’avviso di accertamento è equiparabile ad un atto giudiziario (per esempio: un decreto ingiuntivo) e realizza una vocatio in ius che non può essere rivolta direttamente a un minore, quale soggetto privo della capacità di agire, ma deve avere come destinatario il genitore esercente la “patria potestà sulla minore”.

2. Con il secondo motivo (2. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Roma merita censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione dell’art. 324 c.c..), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere trascurato che gli eventuali percettori dei redditi della minore sarebbero stati comunque i genitori, i quali, ai sensi dell’art. 324, c.c., hanno l’usufrutto legale sui beni del figlio (fatta eccezione per alcune specifiche categorie di beni previste dalla medesima norma, diverse da quelli acquistati da F.F. nel 1998 e nel 1999).

3. Con il terzo motivo (3. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Roma merita censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5. Merita altresì censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudiziol, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non avere tenuto conto della giovane età di F.F., all’epoca degli acquisti, e del fatto che essa, nel 1999, all’età di 10 anni, aveva acquistato dal padre un pacchetto azionario, con valore nominale di lire 665.118.000, sicchè era presumibile che il relativo prezzo non fosse mai stato pagato.

Rimarcano che la tesi contraria dell’Amministrazione finanziaria (e cioè che la minorenne avesse prodotto redditi non dichiarati) è illogica in quanto essa muove dal fallace presupposto che, alla tenera età di quattro o cinque anni, F.F. disponesse di un patrimonio capace di garantirle, per sei annualità e fino al 1998, 1999, un reddito annuo (assoggettabile a IRPEF) di lire 138.576.000 (a tanto ammontando il reddito, annuo, ricostruito con metodo sintetico, secondo il criterio previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, vigente ratione temporis, in base al quale la spesa per incrementi patrimoniali si presume sostenuta, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque anni precedenti).

Un simile ragionamento, infatti, collide con la considerazione che un minore di quell’età non ha redditi di lavoro e neppure redditi di capitali (se – come nella specie – non è titolare di immobili o di partecipazioni sociali).

4. Con il quarto motivo (4. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Roma merita censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5. Merita altresì censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudiziol, i ricorrenti assumono che sia illegittimo il criterio adottato dall’ufficio che, con riferimento alla spesa del 28/12/1998 (acquisto di una porzione immobiliare), ha presunto – in modo illogico – che essa sia stata sostenuta con redditi conseguiti nell’anno successivo (1999), quale anno dell’accertamento, laddove la contribuente (in applicazione della presunzione del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5), non avrebbe potuto pagare – nel 1998 – qualcosa con i redditi (presunti) del 1999.

Ascrivono alla CTR di non avere stabilito nulla su tale specifico motivo d’impugnazione della sentenza di primo grado.

5. Il primo motivo è infondato.

5.1. Il fulcro giuridico della censura non riguarda la regolarità o meno della notifica dell’atto impositivo, destinato a F.F., all’epoca minorenne, essendo pacifico che detta notifica si è perfezionata, ma consiste nello stabilire se costei, in quanto priva della capacità d’agire, potesse essere destinataria di un avviso di accertamento.

La quaestio iuris è risolta, in senso contrario alla tesi negativa dei ricorrenti, sulla base del combinato disposto dell’art. 1 c.c., comma 1 – che afferma che la capacità giuridica si acquista al momento della nascita – t.u.i.r., art. 2, comma 1, secondo cui soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche.

In altri termini, ogni persona fisica, a prescindere dall’età, è soggetto passivo d’imposta, con la conseguenza che, abbia essa raggiunto o meno la maggiore età, può essere sottoposta a verifica fiscale, all’esito della quale può essere raggiunta da un atto impositivo.

La sentenza impugnata – pur essendosi soffermata su un aspetto non essenziale, quale quello della notifica dell’atto impositivo ai genitori della minore, e nonostante l’erronea affermazione, che necessita d’emenda, che la stessa minore fosse priva di “soggettività tributaria” – si appalesa però conforme a diritto laddove, in definitiva, riconosce la legittimità dell’avviso.

6. Passando agli altri rilievi critici, va premesso che il terzo motivo, implicante la verifica della legittimità del metodo sintetico di determinazione del reddito della minore, deve essere esaminato prioritariamente, rispetto al secondo “mezzo” che, invece, ha come presupposto l’esistenza di un reddito della minore (che l’Amministrazione assume non essere stato dichiarato), il quale – secondo la linea difensiva dei ricorrenti – spetterebbe ai genitori a titolo di usufrutto legale.

Così delineato l’ordine logico-giuridico di esame delle censure, il terzo motivo, nel quale s’inscrivono i due distinti e autonomi rilievi critici della violazione o falsa applicazione di una norma di diritto e del vizio di motivazione, è fondato nei termini che seguono.

Occorre prendere le mosse dall’esame del vizio di motivazione.

E’ fermo indirizzo di questa Corte (Cass. 16/05/2017, n. 12207; 20/05/2017, n. 1510; 06/02/2019, n. 3403), al quale il Collegio intende dare continuità, che la norma di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 5 – a mente della quale, secondo il testo applicabile ratione temporis, “qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque anni precedenti” – detti una presunzione (iuris tantum) di favore per il contribuente: quella, cioè, che la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’ufficio sia sostenuta dal contribuente con redditi conseguiti non nel solo anno in cui la spesa risulta effettuata (e in misura pari al suo intero ammontare), ma già a partire dai cinque anni precedenti in misura costante (e ovviamente minore) pari ad una frazione dell’esborso per ciascuno degli anni contemplati dalla norma. Come puntualmente osservato da Cass. n. 1510/17, cit., “tale disciplina implica necessariamente che, per ciascuno dei detti anni, la spesa per incremento patrimoniale autorizza bensì la determinazione sintetica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, di maggior reddito (…) ma lascia intatti – per ciascun anno – la facoltà e l’onere per il contribuente di dimostrare “che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”, con documentazione idonea a comprovare “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso””.

Svolta questa premessa sui principi di diritto, venendo alla fattispecie concreta, la Commissione regionale ha negato che i ricorrenti abbiano fornito la prova contraria rispetto alla ricostruzione sintetica del reddito della minore, ma non si è confrontata con una circostanza fondamentale, e cioè che, utilizzando tale metodo di accertamento del reddito, dai citati incrementi patrimoniali si doveva inferire (per effetto d’una presunzione legale turis tantum) l’improbabile circostanza di fatto che F.F. avesse prodotto, annualmente, per quanto adesso rileva, a partire dall’età di quattro anni (1993) e fino all’età di nove anni (1998), un reddito annuo di lire 138.576.000.

La sentenza impugnata non si sofferma su questo argomento – sul quale poggiava il ragionamento difensivo degli appellanti – e tanto basta a integrare il prospettato vizio di motivazione.

L’accoglimento di questo profilo critico è assorbente sia rispetto alla violazione di legge, dedotta con lo stesso mezzo, che rispetto al secondo motivo.

7. Il quarto motivo, nella sua complessa articolazione (s’invocano i parametri dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), è inammissibile.

E’ dedotta, in sostanza, l’omessa pronuncia su un motivo d’appello; un simile vizio, però, esula sia dal parametro della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) sia da quello dell’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), contra legem invocati dalla ricorrente, è va invece rapportato al diverso parametro della nullità della sentenza per error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4).

Va ribadito l’indirizzo della Corte, secondo cui: “L’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicchè, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile.” (Cass. 16/03/2017, n. 6835).

Sotto altro aspetto, la doglianza non rispetta il principio d’autosufficienza in quanto, non essendo stato riprodotto, nel testo del ricorso per cassazione, il contenuto dell’atto di gravame, la Corte non è posta nella condizione di verificare se gli appellanti avessero o meno proposto lo specifico motivo d’appello che essi assumono non essere stato esaminato dalla Commissione regionale o se la doglianza sia proposta, in modo non consentito, per la prima volta, nel giudizio di legittimità, senza essere stata dedotta nei precedenti gradi di merito.

8. Ne consegue che, accolto il terzo motivo, nei precisati termini, rigettato il primo, assorbito il secondo e inammissibile il quarto, la sentenza è cassata, in relazione al terzo motivo, con rinvio alla CTR di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero

dell’Economia e delle Finanze; dichiara estinto il giudizio limitatamente al ricorso di F.C.S. e I.G.M.A. avverso l’atto di contestazione (OMISSIS); accoglie il terzo motivo, rigetta il primo, dichiara assorbito il secondo e inammissibile il quarto, cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto, rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 12 febbraio 2020

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