Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33886 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 19/12/2019), n.33886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18851/2012 R.G. proposto da:

D.F.F.M., elettivamente domiciliato in Roma, via

Alessandro Farnese n. 7, presso lo studio degli avv.ti Claudio

Berliri e Alessandro Cogliati Dezza, che lo rappresentano e

difendono giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 200/10/11, depositata il 7 luglio 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio

2019 dal Consigliere Dott. Nonno Giacomo Maria.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 200/10/11 del 07/07/2011 la Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 34/44/09 della Commissione tributaria provinciale di Roma (di seguito CTP), che, a sua volta, aveva accolto il ricorso di D.F.F.M. (d’ora in poi solo D.F.) nei confronti del silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria con riferimento all’istanza volta ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente corrisposto a titolo di IVA in conseguenza della reimmatricolazione dell’autoveicolo dallo stesso acquistato.

1.1. Come si evince anche dalla sentenza impugnata, oltre che dagli atti di parte: a) il pagamento effettuato da D.F. in favore dell’Amministrazione finanziaria era stato richiesto dalla Motorizzazione civile, non avendo il cedente l’autovettura da lui acquistata (la concessionaria Autorevole di O.E.) versato l’IVA all’importazione; b) il ricorrente, stando a quanto da lui stesso affermato, sarebbe stato costretto al versamento in ragione del sequestro della carta di circolazione e dell’impossibilità di procedere alla nuova immatricolazione senza il versamento del tributo che, in ogni caso, non sarebbe dallo stesso dovuto; c) la CTP accoglieva la domanda di ripetizione di indebito formulata dal contribuente; c) avverso la sentenza della CTP l’Agenzia delle entrate proponeva appello.

1.2. La CTR accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate, così motivando: a) il contribuente aveva versato l’IVA al solo scopo di potere ottenere l’immatricolazione e la carta di circolazione del veicolo acquistato e, quindi, aveva pagato una imposta nel proprio interesse personale e non poteva chiederla a rimborso all’Erario, non avendo con quest’ultimo un rapporto di natura tributaria; b) invero, era lo stesso contribuente ad affermare di non essere soggetto passivo dell’IVA all’importazione e la legittimazione a richiedere la restituzione dell’imposta sorgeva unicamente in capo al titolare dell’obbligazione tributaria; c) “nel momento in cui il Sig. D.F. ha accettato di sottoporsi al pagamento dell’imposta, ha rinunciato anche ad una eventuale azione di rivalsa verso lo Stato, in quanto quel debito ha mutato la propria natura giuridica da fiscale a risarcitoria-privatistica”.

2. D.F. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso D.F. deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che, anche in materia tributaria, il pagamento non dovuto deve essere restituito e, nella specie, non vi sarebbero dubbi che il pagamento effettuato in favore dell’Amministrazione finanziaria non sia dovuto, come stabilito anche da una comunicazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 01/06/2006, avendo il contribuente corrisposto due volte l’IVA (una volta al momento dell’acquisto ed un’altra ai fini dell’immatricolazione) e non essendo coobbligato con il cedente al pagamento dell’imposta.

2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 53, comma 3, conv. con modif. nella L. 29 ottobre 1993, n. 427, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che la disposizione richiamata si riferisce esclusivamente alle operazioni di acquisto intracomunitario e non alla diversa ipotesi di acquisto interno, posta in essere da D.F., così come chiarito anche dalla nota del 22/09/2004 dell’Agenzia delle entrate, sicchè le eventuali irregolarità IVA riguardanti l’acquisto a monte non avrebbero potuto essere imputate al cessionario di buona fede.

2.1. Quest’ultimo, del resto, avrebbe la piena legittimazione a richiedere la restituzione delle somme indebitamente corrisposte, atteso che il versamento è stato effettuato a titolo di imposta e la restituzione implica l’accertamento della insussistenza dell’obbligo tributario nei confronti dell’Erario.

3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, motivazione insufficiente in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla sussistenza del rapporto tributario tra l’Erario e D.F., conseguente al pagamento indebito dell’imposta direttamente al primo, e non già al cedente.

4. I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente in ragione della loro evidente connessione, sono complessivamente infondati.

4.1. La questione sottoposta all’attenzione della Corte attiene al diritto del cessionario nonchè consumatore finale del bene (autoveicolo), acquistato da una concessionaria italiana, a chiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA all’importazione perchè ritenuta indebitamente corrisposta; diritto al rimborso negato dalla CTR in ragione della insussistenza di un rapporto tributario tra l’Amministrazione finanziaria e il cessionario utilizzatore del bene, che non è soggetto passivo del pagamento dell’imposta.

4.2. Va prima di tutto chiarito che Cass. S.U. n. 9142 del 17/04/2009 (conf. Cass. S.U. n. 16281 del 12/07/2010 e Cass. S.U. n. 30751 del 28/11/2018) – nello stabilire che “appartiene alla giurisdizione delle commissioni tributarie la domanda proposta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria per la restituzione di somme indebitamente versate a titolo d’imposta sul valore aggiunto, una volta che ne sia rifiutato il rimborso, senza che la giurisdizione del giudice tributario possa venir meno per essere stato proposto il ricorso dal cessionario del bene o dal committente del servizio, invece che dal soggetto passivo del rapporto tributario, atteso che esulano dalla giurisdizione e sono ad essa gradate le questioni relative alla legittimazione attiva ed alla ammissibilità della domanda” – non ha escluso la necessità, per il giudice tributario, di valutare in ogni caso le questioni che esulano dalla giurisdizione e, cioè, la sussistenza della legittimazione attiva alla richiesta di rimborso da parte del cessionario e la conseguente ammissibilità della domanda proposta da quest’ultimo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

4.3. Per dare soluzione a dette questioni occorre prendere le mosse da Cass. n. 23288 del 27/09/2018, la quale ha precisato che dal compimento dell’operazione imponibile scaturiscono tre rapporti (cfr. Cass. S.U. n. 26437 del 20/07/2017): uno, tra l’Amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al pagamento dell’imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario, concernente la rivalsa; un terzo, tra l’Amministrazione e il cessionario, relativo alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa.

4.3.1. Si tratta di rapporti che, pur essendo collegati, non interferiscono tra loro e soltanto il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’Amministrazione; la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (Cass. n. 14933 del 06/07/2011; Cass. n. 17169 del 26/08/2015).

4.3.2. Al riguardo, la Corte di giustizia ha ripetutamente sottolineato (tra le tante, CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas) che, in mancanza di disciplina dell’Unione in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purchè i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi basati su norme di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (in termini, CGUE 15 marzo 2007, causa C35/05, punto 37, Reemtsma Cigarettenfabriken).

4.3.3. Peraltro, un sistema nel quale, da un lato, il venditore del bene che ha versato erroneamente alle autorità tributarie l’IVA può chiederne il rimborso e, dall’altro, l’acquirente di tale bene può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti di tale venditore, rispetta i principi di neutralità e di effettività, consentendo all’acquirente, gravato dell’imposta erroneamente fatturata, di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate (CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, cit., punti 38 e 39 e giurisprudenza ivi citata).

4.3.4. E’, dunque, compito degli Stati membri prevedere gli strumenti e le modalità procedurali necessari per consentire a detto acquirente di recuperare l’imposta indebitamente fatturata, in modo da rispettare il principio di effettività. Sicchè soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come accade pacificamente nel caso di fallimento del venditore: CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, cit.; conf., CGUE 31 maggio 2018, cause C660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 66).

4.3.5. Il fruitore dei beni o dei servizi può, dunque, ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata esperendo nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di IVA, CGUE 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42; e, in tema di accise, CGUE 20 ottobre 2011, causa C-94/10, Danfoss).

4.4. Non contraddice questa ricostruzione l’indirizzo che, in relazione ai rapporti in questione, ammette che il cessionario che sia al tempo stesso soggetto passivo d’imposta in relazione alle operazioni attive da lui realizzate possa indirizzare la propria pretesa al rimborso dell’IVA pagata in rivalsa direttamente nei confronti del fisco (Cass. S.U., n. 20752 del 31/07/2008; Cass. S.U. n. 12433 del 08/06/2011; Cass. S.U. n. 18425 del 26/10/2012).

4.4.1. Riemerge, difatti, in tale orientamento il rapporto tributario tutte le volte in cui l’IVA indebitamente versata in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati all’esercizio dell’attività economica si rifletta sulla liquidazione finale dell’imposta, esposta nella dichiarazione annuale del contribuente, e il fisco contesti, in tutto o in parte, che VIVA assolta in rivalsa potesse essere portata in detrazione (o se eccedente, potesse essere esposta a credito), perchè relativa a operazione esente o non imponibile, o perchè assoggettabile ad una aliquota inferiore rispetto a quella indicata erroneamente in fattura (sottolinea questa distinzione Cass. n. 17174 del 26/08/2015; in linea anche Cass. n. 24923 del 06/12/2016).

4.5. Nel caso di specie, deve escludersi la ricorrenza di tale ultima ipotesi, in quanto il cessionario del bene è il consumatore finale e dunque, pacificamente, un soggetto che non può procedere alla detrazione dell’imposta.

4.5.1. Con l’ulteriore conseguenza che detto soggetto, da un lato, non è debitore dell’IVA ai sensi dell’art. 53, comma 3, del D.L. 331 del 1993; e, dall’altro, non è nemmeno solidalmente obbligato al pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 60 bis del D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, nella versione applicabile ratione temporis, e del successivo D.M. n. 22 dicembre 2005. Trattasi, infatti, di disposizioni che si rivolge pacificamente ai soggetti passivi IVA.

4.5.2. La fattispecie in esame riguarda, infine, l’acquisto di un’autovettura nuova da potere di cedente interno e non comunitario, sicchè deve escludersi che il cessionario possa essere, anche se consumatore finale, ritenuto obbligato al pagamento dell’imposta (Cass. n. 1947 del 30/01/2007).

4.6. Così precisato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, deve ritenersi che D.F., in quanto non tenuto al versamento dell’imposta, abbia adempiuto un debito del cedente (art. 1180 c.c.) al fine di soddisfare un proprio interesse giuridicamente rilevante (cfr., in tema di surrogazione legale ex art. 1203 c.c., n. 3, Cass. n. 28061 del 16/12/2013), consistente nel consentire la immatricolazione del veicolo dallo stesso acquistato.

4.7. Poichè, peraltro, il cessionario è terzo rispetto al rapporto tributario con l’Amministrazione finanziaria, che intercorre tra quest’ultima e il cedente (cfr. supra, p. 4.3.1.) e non è nemmeno titolare di un diritto di detrazione dell’IVA versata, non essendo soggetto passivo IVA (cfr. supra, p.p. 4.4. ss.), spetta unicamente al cedente il diritto di richiedere l’eventuale rimborso dell’IVA, ove questa sia stata corrisposta indebitamente (per un’ipotesi di irripetibilità delle ritenute d’acconto corrisposte da soggetto non titolare del rapporto tributario in materia di interposizione fittizia nel rapporto di lavoro si veda Cass. n. 31720 del 07/12/2018).

4.8. Peraltro, il pagamento effettuato dal cessionario non si configura nemmeno come indebito oggettivo, in quanto l’imposta pagata, facente capo al cedente, è sicuramente dovuta dal cedente, il cui debito è stato adempiuto volontariamente da D.F..

4.9. Residua, pertanto, in favore del cessionario l’azione di restituzione nei confronti del cedente, sicchè egli non resta sfornito di tutela in relazione al pagamento da lui effettuato in luogo del cedente.

5. Con il quarto motivo D.F. deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione in ordine alla condanna alle spese di lite a carico del contribuente in misura superiore al doppio dei massimi tariffari.

6. Il motivo è inammisibile.

6.1. E’ vero che la CTR non ha motivato la liquidazione dei compensi professionali, ma non è dimostrato che la liquidazione, che deve ritenersi comprensiva anche delle spese del giudizio davanti alla CTP, sia superiore ai massimi previsti dalle tabelle professionali applicabili ratione temporis (Cass. n. 20289 del 09/10/2015; Cass. n. 22347 del 24/10/2007), riguardando il prospetto depositato il solo giudizio davanti alla CTR.

7. in conclusione, il ricorso va rigettato, con integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio in ragione della peculiarità delle questioni giuridiche affrontate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le

parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in cancelleria il 19 dicembre 2019

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