Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33883 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 19/12/2019), n.33883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19223/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– ricorrente –

– controricorrente incidentale –

contro

La Filometallica s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Luigi Luciani n. 42,

presso lo studio dell’avv. Lorenza Roberta Leone, rappresentata e

difesa dagli avv.ti Gregorio Leone e Camillo Magliucci giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria n. 32/02/13, depositata l’11 giugno 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 febbraio

2019 dal Consigliere Dott. Nonno Giacomo Maria.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 32/02/13 dell’11/06/2013 la Commissione tributaria regionale della Liguria (di seguito CTR) accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli avverso la sentenza n. 250/04/09 della Commissione tributaria provinciale di La Spezia (di seguito CTP), che aveva a sua volta accolto il ricorso della società contribuente nei confronti di un avviso di rettifica con il quale veniva richiesta la corresponsione di maggiori dazi e di dazi cd. antidumping in relazione all’importazione di lampade fluorescenti intervenuta nell’anno 2004;

1.1. come si evince dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte:

a) l’avviso di rettifica veniva emesso in relazione all’accertamento di maggiori dazi dovuti e della mancata corresponsione dei dazi antidumping per l’importazione di lampade di origine cinese (secondo quanto risultante da una relazione dell’OLAF, Ufficio Europeo per la lotta antifrode) anzichè pakistana, come dichiarato dall’importatore;

b) la CTP accoglieva il ricorso della società contribuente; c) l’Agenzia delle dogane proponeva impugnazione davanti alla CTR;

1.2. su queste premesse, la CTR accoglieva l’appello della Agenzia delle dogane solo parzialmente, con esclusivo riferimento alle violazioni previste dal D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico sulla legge doganale – TULD), art. 303, mentre lo rigettava per il resto in ragione della applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 220, p. 2, lett. b), del regolamento CEE n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (Codice doganale comunitario – CDC), con conseguente riconoscimento della buona fede di La Filometallica s.r.l.;

2. l’Agenzia delle dogane impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;

3. La Filometallica s.r.l. resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo, depositando, altresì, memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.;

4. l’Agenzia delle dogane replicava con controricorso al ricorso incidentale condizionato proposto da parte controricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane deduce omesso esame circa un fatto decisivo e controverso che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dall’accertamento, da parte dell’OLAF, del rilascio, ad opera dell’esportatore, di certificati di origine FORM A in base a false dichiarazioni e falsi documenti, sicchè non sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 220, p. 2, lett. b), CDC;

2. il motivo è inammissibile;

2.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014);

2.2. nel caso di specie, non può parlarsi di motivazione omessa da parte della CTR, avendo quest’ultima espressamente preso in considerazione il contenuto del rapporto OLAF di cui fa menzione la ricorrente ai fini della applicabilità dell’art. 220, p. 2, lett. b), CDC (“dal rapporto Olaf richiamato in atti si rileva che la Società esportatrice non -ha reso alcuna dichiarazione falsa o inesatta al momento di ottenere i certificati di origine”), sicchè il motivo si traduce in un’inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della controversia;

3. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 9 del regolamento CE n. 1073/1999 del 25 maggio 1999 e degli artt. 1363 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo il giudice di appello riconosciuto pieno valore probatorio alle risultanze della relazione OLAF e avendo fornito di quest’ultima una lettura parziale, che trascura totalmente di considerare l’esito complessivo dell’indagine in violazione dell’art. 1363 c.c., applicabile analogicamente ad ogni dichiarazione;

4. il motivo è inammissibile;

4.1. la sentenza impugnata fonda la sua decisione esclusivamente sull’applicazione dell’art. 220, p. 2, lett. b), CDC e fa riferimento, ai fini della valutazione della sussistenza dell’esimente, proprio alle risultanze del rapporto OLAF;

4.2. la ricorrente sostiene che la lettura di detto rapporto sia stata parziale e non corretta, così denunciando sostanzialmente un vizio di motivazione analogo a quello censurato con il primo motivo, vizio che nulla ha a che fare con la contestata violazione di legge;

5. con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 220, p. 2, lett. b), CDC, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi la insussistenza dei presupposti previsti dalla richiamata disposizione per l’applicazione dell’esimente, dovendosi escludere l’errore attivo dell’Autorità doganale pakistana e non potendo ritenersi la buona fede della società importatrice per il semplice fatto di non avere quest’ultima partecipato alle irregolarità o falsità delle dichiarazioni di origine FORM A, anche per il fatto che detta società ha goduto delle agevolazioni daziarie;

6. il motivo è inammissibile;

6.1. occorre partire dal fondamentale arresto della S.C., secondo il quale “in tema di tributi doganali, l’applicazione del regime di esenzione o riduzione daziaria presuppone la regolarità formale e sostanziale della documentazione relativa all’origine e/o alla provenienza della merce, intendendosi per “origine” il luogo dove la merce è stata realizzata e per “provenienza” il luogo dal quale essa giunge o dove è stata oggetto di lavorazione o trasformazione (a tal fine non essendo sufficienti le operazioni di spolveratura, lavaggio, verniciatura, selezione, riduzione a pezzi, ecc.); pertanto, considerato che un certificato di origine “ignota” va considerato come “inesatto”, le Autorità doganali, qualora constatino la falsità dei certificati di origine e provenienza, devono procedere alla contabilizzazione “a posteriori” dei dazi doganali, salve le deroghe nei seguenti casi tipizzati che devono concorrere cumulativamente: riscossione dovuta ad errore delle autorità competenti (sia di quella alla quale spetta procedere al recupero sia di quella di rilascio del certificato preferenziale di esportazione); errore tale da non poter essere ragionevolmente riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza professionale e diligenza, provocato da un comportamento “attivo” delle autorità che rilasciarono il certificato, non rientrandovi l’errore indotto da dichiarazioni inesatte rese dall’esportatore, salvo che le autorità di quel paese fossero informate o dovessero sapere dell’inoperatività dell’esenzione; osservanza di tutte le disposizioni previste dalla normativa vigente per la dichiarazione in dogana” (Cass. n. 4997 del 02/03/2009);

6.1.1. la deroga al recupero a posteriori è appunto quella prevista dall’art. 220, p. 2, lett. b), CDC, ammessa al cospetto delle tre condizioni che la norma contemporaneamente richiede, ossia che il rilascio irregolare dei certificati FORM A sia dovuto ad un errore delle autorità competenti, che l’errore commesso dalle autorità sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato dal debitore di buona fede e, infine, che quest’ultimo abbia osservato tutte le prescrizioni della normativa in vigore (vedi CGUE 14 maggio 1996, cause C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e altri; CGUE 3 marzo 2005, causa C-499/03 P, Biegi Nahrungsmittel e Commonfood; CGUE 18 ottobre 2007, causa C-173/06, Agrover; CGUE 15 dicembre 2011, C-409/10, Afasia Knits);

6.2. nel caso di specie, la sentenza impugnata afferma che la società esportatrice non ha reso alcuna dichiarazione falsa o inesatta al momento di ottenere i certificati di origine, che l’errore è stato compiuto dall’Autorità doganale pakistana, ritenendo che il trenta per cento di valore aggiunto fosse sufficiente a conferire l’origine pakistana alle lampadine, che l’errore non avrebbe potuto ragionevolmente essere scoperto dalla società importatrice e che quest’ultima ha agito in buona fede e nel rispetto delle disposizioni previste dalla normativa vigente;

6.3. la CTR dimostra, pertanto, di avere fatto corretta applicazione della menzionata disposizione del CDC, mentre le contestazioni della ricorrente attengono, piuttosto, al fatto storico per come ricostruito dal giudice d’appello, sicchè la censura involge non già la violazione di legge, ma la motivazione della sentenza impugnata;

7. l’acclarata inammissibilità dei motivi di ricorso principale rende superfluo l’esame del ricorso incidentale, espressamente condizionato all’accoglimento del ricorso principale;

8. in conclusione, va rigettato il ricorso principale e dichiarato assorbito il ricorso incidentale;

8.1. quanto alle spese, la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di Euro 51.321,36.

8.2. il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1 bis, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. n. 5955 del 14/03/2014; Cass. n. 23514 del 05/11/2014; Cass. n. 1778 del 29/01/2016);

8.3. neppure detto pagamento può essere posto a carico del ricorrente incidentale il cui ricorso non è stato esaminato in quanto ritenuto assorbito, trattandosi di una sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione (cfr. Cass. n. 18348 del 25/07/2017; Cass. n. 1343 del 18/01/2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del quindici per cento e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2019.

Depositato in cancelleria il 19 dicembre 2019

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