Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33871 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. I, 19/12/2019, (ud. 11/11/2019, dep. 19/12/2019), n.33871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SCALLA Laura – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 33658/2018 R.G. proposto da:

Sunday Uk, rappresentato e difeso dall’avv. Augusta Massima Cucina,

con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, via

Falconieri, 55;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, n. 3839/2018, depositato

il 19 ottobre 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 novembre

2019 dal Consigliere CATALLOZZI Paolo.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

– Sunday Uk propone ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale di Bologna, depositato il 19 ottobre 2018, di reiezione dell’opposizione dal medesimo proposta avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato di Bologna, sezione Forlì-Cesena, che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria;

– dall’esame del decreto impugnato emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato che era originario della Nigeria e che era fuggito a seguito del timore di essere ucciso dalla matrigna per ragioni di eredità;

– aveva aggiunto che si era rivolto alla polizia locale, la quale, tuttavia, gli aveva comunicato che non poteva occuparsi della vicenda quanto avente carattere familiare;

– ha, infine, riferito di essersi dapprima recato in Libia e che, dopo sette mesi, era giunto in Italia per mezzo di un gommone;

– il giudice ha disatteso l’opposizione evidenziando che non sussistevano delle condizioni per il riconoscimento delle protezioni internazionale e umanitarie richieste;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

– con il primo motivo del ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1A, Convenzione di Ginevra del 1951, e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, comma 1, lett. e), nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria;

– il motivo è inammissibile, in quanto prospetta una pluralità di questioni, illustrate in modo non ordinato e relative alle diverse forme di protezione internazionale invocate, consistenti, principalmente, nella errata valutazione del grado di violenza che caratterizza i metodi tribali di risoluzione delle controversie attinenti alla sfera familiare in Nigeria e del rischio di vita che il coinvolgimento in tali conflitti determina;

– una siffatta articolazione della censura è inammissibile in quanto, da un lato, costituisce una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiede un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (così, Cass. 14 settembre 2016, n. 18021);

– in ogni caso, può osservarsi che le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello status di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i cd. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b), (cfr. Cass., ord., 1 aprile 2019, n. 9043);

– con il secondo motivo la parte deduce la “illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria”;

– il motivo è infondato;

– occorre rilevare che il Tribunale ha condiviso espressamente la argomentata valutazione operata dalla Commissione territoriale in ordine alla non credibilità del racconto del richiedente;

– orbene, in tema di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (cfr. Cass., ord., 12 giugno 2019, n. 15794);

– tale impostazione, riferita alla protezione internazionale nel suo complesso, si attaglia come tale tanto alla domanda volta al conseguimento dello status di rifugiato, quanto a quella diretta ad ottenere la protezione sussidiaria in ciascuna delle tre ipotesi contemplate dallo stesso D.Lgs. art. 14;

– ne consegue che, anche in relazione alla protezione sussidiaria, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (così, Cass., ord., 20 dicembre 2018, n. 33096);

– pertanto, la decisione del Tribunale di non attivare i poteri istruttori ufficiosi si sottrae alla censura prospettata;

– con l’ultimo motivo di ricorso il ricorrente si duole della violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), per aver il decreto impugnato escluso la ricorrenza degli estremi per il riconoscimento della protezione sussidiaria;

– il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non contenendo l’illustrazione delle ragioni per cui il provvedimento impugnato sarebbe viziato;

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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