Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33867 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. I, 19/12/2019, (ud. 11/11/2019, dep. 19/12/2019), n.33867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PERRICONE Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34187/2018 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso

la cancelleria della prima sezione civile della Corte di cassazione

e rappresentato e difeso dall’avvocato Giulio Marabini per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e

difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, Sezione specializzata in

materia di Immigrazione, Protezione internazionale e Libera

circolazione dei cittadini UE, n. 3680/2018 del 13/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/11/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.A., originario del Senegal, ricorre in cassazione con due motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis il Tribunale di Bologna, Sezione specializzata in materia di Immigrazione, Protezione internazionale e Libera circolazione dei cittadini UE, ha rigettato il ricorso dal primo proposto avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che respingeva le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno con controricorso deduce l’inammissibilità dell’avverso mezzo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, cittadino del Senegal, di religione musulmana, di etnia (OMISSIS) e proveniente da (OMISSIS) della omonima regione – che, nel racconto reso, si era allontanato dal villaggio di provenienza temendo per la propria vita in seguito ai conflitti insorti tra la propria madre seconda moglie del padre deceduto e la prima moglie ed all’uccisione del fratello di costei in occasione dello scontro tra i parenti – denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lett. e), 4, 9, 15 e 20 della direttiva 2004/83/CE e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14 ed omesso esame di fatti in relazione al diniego della protezione sussidiaria.

Il giudizio sulla inattendibilità del racconto reso dal richiedente sarebbe stato formulato dal Tribunale di Bologna con riguardo ad aspetti irrilevanti del racconto stesso, quale il tempo in cui era intervenuta l’uccisione, o la circostanza che egli non avesse richiesto protezione presso le autorità del Senegal prima di darsi alla fuga, senza tenere conto, quale fatto decisivo, della condizione di persona priva di scolarizzazione del richiedente.

Il Tribunale avrebbe poi omesso altro fatto decisivo non valutando le condizioni del Paese di origine per la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) nell’osservanza del principio contenuto nella sentenza Elgafaji in cui il collegamento tra la situazione del Paese di origine del richiedente ed il rischio individuale dal medesimo corso al suo rientro non è diretto e specifico.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha valutato la non credibilità del racconto per aspetti non secondari dello stesso quali le circostanze in cui maturò l’episodio in cui rimase ucciso il parente della prima moglie del padre, nella diversità delle versioni rese dinanzi alla Commissione territoriale ed il giudice, e l’incoerenza delle dichiarazioni stesse nella ritenuta non plausibilità che il ricorrente all’esito di minacce ricevute dopo la morte del padre non si sia rivolto alle autorità del villaggio o a quelle di polizia.

Nella non credibilità del racconto i giudici di merito hanno ritenuto la non riconoscibilità della protezione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) (vd. Cass. n. 16925 del 27/06/2018; Cass. 7333/2015).

La protezione sussidiaria nella sua valenza oggettiva è stata poi scrutinata debitamente ex art. 14, lett. c) dal Tribunale con motivazione che si è attenuta a fonti aggiornate (sito web “Viaggiare Sicuri” del Ministero degli Esteri ed il Report COI, Country Origin Information on Human Right Practices dell’aprile 2016 e di Amnesty International degli anni 2017-2018) ed il profilo del motivo con cui se ne contesta l’accertamento è, come tale, infondato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e l’omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Nonostante la mancanza di credibilità del racconto, secondo la giurisprudenza di legittimità il Tribunale avrebbe dovuto verificare l’esistenza di situazioni di vulnerabilità del richiedente per la concessione della protezione umanitaria a fronte di una situazione di effettiva integrazione in Italia.

Il motivo è infondato.

Come da questa Corte di legittimità affermato, la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

In caso contrario, infatti, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. n. 9304 del 03/04/2019).

Il ricorso va conclusivamente rigettato ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio secondo soccombenza come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al Ministero dell’Interno le spese di lite che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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