Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33866 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. I, 19/12/2019, (ud. 11/11/2019, dep. 19/12/2019), n.33866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PERRICONE Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33551/2018 proposto da:

A.G. elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso

la cancelleria della prima sezione civile della Corte di cassazione

e rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Maestri per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, Sezione specializzata in

materia di Immigrazione, Protezione internazionale e Libera

circolazione dei cittadini UE, n. 3924/2018 del 27/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/11/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.G., originario del Ghana, ricorre in cassazione con tre motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis il Tribunale di Bologna, Sezione specializzata in materia di Immigrazione, Protezione internazionale e Libera circolazione dei cittadini UE, ha rigettato il ricorso dal primo proposto avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che respingeva le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, cittadino del Ghana – che nel racconto reso si era allontanato dal villaggio di provenienza perchè destinatario di angherie da parte dei capi villaggio per l’etnia di apparenza -, deduce la violazione dell’art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,14 e 17; del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2; dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, precisando di insistere sulla sola protezione sussidiaria e, in subordine, in quella umanitaria.

Si legge in ricorso che la situazione della “Nigeria” avrebbe integrato le previsioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 senza che in contrario valesse la mancanza di una personalizzazione della minaccia o del danno richiesti per l’esistenza di degradanti e disumane condizioni carcerarie, per l’uso di catene o corde finalizzate al contenimento della persona.

Si prosegue ancora nell’atto di impugnazione deducendosi che la condizione delle carceri in Ghana, la violenza delle forze dell’ordine e la scarsa possibilità di accesso alla difesa di ufficio avrebbero integrato il rischio concreto per il ricorrente di essere sottoposto a tortura o a trattamento inumano e degradante una volta fatto rientro nel proprio Paese.

1.1. Il motivo è inammissibile perchè da una parte affastella violazioni di norme perdendo così della dovuta chiarezza nel portare censura al provvedimento impugnato secondo il principio per il quale, nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 14/09/2016).

1.2. Nel resto il motivo è ancora inammissibile perchè dà del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 una lettura erronea con conseguente errata sussunzione della fattispecie nella norma che assume violata.

L’art. 14 per le ipotesi di cui alle lett. a) e b) e quindi in caso di pericolo di morte o di trattamenti inumani e degradanti vuole, di contro a quanto assunto in ricorso, la individualizzazione del rischio.

Come ritenuto da questa Corte di legittimità, in materia di riconoscimento della protezione sussidiaria allo straniero, al fine d’integrare i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), è sufficiente che risulti provato, con un certo grado di individualizzazione, che il richiedente, ove la tutela gli fosse negata, rimarrebbe esposto a rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti, senza che tale condizione debba presentare i caratteri del “fumus persecutionis”, non essendo necessario che lo straniero fornisca la prova di essere esposto ad una persecuzione diretta, grave e personale, poichè tale requisito è richiesto solo ai fini del conseguimento dello “status” di rifugiato politico.

Là dove poi ed invece in riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria la situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato, presente nel Paese in cui lo straniero dovrebbe fare ritorno, può giustificare la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale del richiedente protezione nella situazione di pericolo (Cass. n. 16275 del 20/06/2018).

Ciò posto, la mancanza di allegazione nella proposta critica di un rischio individuale, seppure non stringente come richiesto nel caso in cui si invochi il riconoscimento dello status di rifugiato, rende il motivo inammissibile perchè generico ed incapace di ricondurre il fatto alla norma, genericità peraltro confermata anche dal richiamo, contenuto in ricorso, al diverso paese della Nigeria come quello di provenienza del ricorrente.

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 oltre che dell’art. 33 Convenzione Ginevra 1951 sui rifugiati.

Il Tribunale avrebbe violato l’indicata normativa e l’obbligo di motivazione nel ritenere il periodo trascorso in Libia dal richiedente non rilevante ai fini del riconoscimento della umanitaria, perchè limitato.

Il motivo è generico perchè cumula previsioni diverse e differenti istituti quali quelli del rifugio e della protezione umanitaria, ricomprendendo altresì la deduzione di un vizio di motivazione per nulla poi sviluppato nell’atto difensivo e non capace di orientare la critica.

Il ricorso non segnala, infatti, in modo concludente, la decisività del fatto omesso nella valutazione o la carenza radicale, anche per illogicità, della motivazione ma, al più, una mera insufficienza non più deducibile nel giudizio di legittimità a seguito della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (da Cass. n. 7983 del 04/04/2014).

3. Con il terzo motivo si fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 denunciandosi il mancato esame di fatti che se non legittimanti il riconoscimento delle protezioni maggiori avrebbero consentito ai giudici di merito di accogliere la richiesta di protezione umanitaria.

Non sarebbe stato valorizzato l’inserimento sociale e lavorativo dell’istante e la impossibilità dello stesso di condurre una esistenza in cui sarebbero state soddisfatte esigenze e bisogni minimi di vita e le condizioni politico-sociali del Paese come la disoccupazione giovanile, le carestie e la situazione di povertà inemendabile.

Il motivo è inammissibile perchè reitera censura disattesa, con argomentazione che sfugge al sindacato di legittimità, dal Tribunale per richiamo al principio in forza del quale, ai fini della protezione umanitaria resta ferma l’imprescindibilità di una situazione di personale vulnerabilità del richiedente sotto lo specifico profilo della violazione e dell’impedimento nei diritti umani inalienabili nel Paese di provenienza come tale non soddisfatto dalla mera deduzione circa l’esistenza di un inserimento in Italia nel mancato raffronto con la situazione di sofferenza nello Stato di origine (Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

4. Il ricorso è via conclusiva inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo l’amministrazione intimata articolato difese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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