Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33862 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. I, 19/12/2019, (ud. 11/11/2019, dep. 19/12/2019), n.33862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PERRICONE Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 30658/2018 proposto da:

M.I., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la cancelleria della prima sezione civile della Corte di

cassazione, e rappresentato e difeso dall’avvocato Francesca Orfei

Di Nardo per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona dei Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI

BOLOGNA;

– intimato –

PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, Sezione specializzata in

materia di Immigrazione, Protezione internazionale e Libera

circolazione dei cittadini UE, n. /2018 del 18/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/11/2019 dal Cons. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.I., originario del Pakistan, della Regione del (OMISSIS), ricorre in cassazione con quattro motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis il Tribunale di Bologna, Sezione specializzata in materia di Immigrazione, Protezione internazionale e Libera circolazione dei cittadini UE, ha rigettato il ricorso dal primo proposto avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che respingeva le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato “Atto di costituzione” tardivo con ci ha dichiarato di costituirsi al fine dell'”eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1″.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, cittadino del Pakistan, della Regione del (OMISSIS) – che aveva dichiarato di essere fuggito dal Paese di origine perchè, all’esito di un sinistro stradale da lui provocato ed in cui rimaneva ucciso un ragazzo, veniva ricercato dai parenti della vittima, componenti di una potente famiglia locale che per l’occorso avevano assassinato il padre e che avrebbero esercitato pressione anche sulla polizia, incapace di dare protezione al richiedente – denuncia la violazione di legge sostanziale e processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1-bis,; artt. 35-bis commi 10 e 11, come inserito dal D.L. n. 13 del 2017 conv. con modificazioni in L. n. 46 del 2017; art. 117 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 4), in cui sarebbe incorso il Tribunale di Bologna con l’impugnato decreto.

I giudici di merito, inosservanti dei principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, avevano ritenuto non credibile il racconto dell’istante apprezzandone contraddizioni e discordanze su aspetti secondari e tanto nel rapporto tra quanto dichiarato dinanzi al giudice rispetto a quanto riferito in precedenza.

Il Tribunale avrebbe quindi mancato di attivarsi in adempimento dell’onere di collaborazione istruttoria accertando l’esistenza in (OMISSIS) delle denunciate pratiche corruttive; il richiedente era stato circostanziato nell’evidenziare la capacità della famiglia dell’ucciso di condizionare la polizia locale ed aveva prodotto a sostegno di quanto dichiarato la denuncia sporta alla polizia da persona coinvolta nello scontro.

L’indicazione resa dal richiedente al Tribunale sulla circostanza che oltre al padre era stato ucciso, dalla famiglia della vittima, anche il proprio fratello sarebbe valsa solo a circostanziare l’avvenimento.

Il fatto poi che il ricorrente avesse dichiarato al Tribunale, e non prima, che la madre era stata testimone dell’incidente sarebbe stato dovuto all’iniziale intento del primo di non esporla a rischi; i giudici di merito avrebbero potuto richiedere chiarimenti.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha formulato il giudizio sulla non credibilità del racconto del richiedente valorizzandone discrasie nel rapporto tra dichiarazioni iniziali e successive, per aspetti non secondari.

Si puntualizza invero dai giudici di merito che inizialmente il richiedente aveva indicato non solo come diverse le persone attinte dalla vendetta privata posta in atto dalla famiglia della vittima, ma diverse anche le circostanze in cui la morte dei congiunti sarebbe intervenuta.

Quanto poi ai documenti giustificativi del racconto, essi sono menzionati nel decreto impugnato per evidenziare il dubbio dei giudici sulla loro autenticità e tanto per un complessivo giudizio di merito non scalfito dalla portata critica sulla omessa istruttoria circa le pratiche corruttive in (OMISSIS) e l’assenza di effettiva protezione contro vendette private.

La denuncia di nullità del decreto impugnato per istruttoria omessa non coglie della decisione il logico sviluppo argomentativo che con la inattendibilità del racconto assorbe ogni successiva valutazione ed ogni ulteriore adempimento istruttorio.

2. Con il secondo motivo si fa valere violazione di legge anche processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 3, lett. a) e c), art. 14, lett. c), art. 35-bis, comma 9 (inserito dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6 conv. con modif. in L. n. 47 del 2017); art. 115 c.p.c. tutti nel testo ante D.L. n. 113 del 2018. Il Tribunale avrebbe escluso le condizioni sulla protezione sussidiaria ragionando su fonti non più attuali risalenti al (OMISSIS) ed a fatti più risalenti.

La documentazione sulla situazione sociale e politico-economica del Paese di provenienza era stata utilizzata senza uno specifico scrutinio dei suoi contenuti e senza essere stata sottoposta al contraddittorio delle parti.

I giudici di merito, in violazione degli artt. 117 e 115 c.p.c., avrebbero deciso ritenendo erroneamente come notori i fatti dai documenti acquisiti o comunque in ragione della propria scienza personale.

Il motivo è infondato.

L’informazione che si vuole veicolata in giudizio attraverso un percorso ufficioso non rispettoso del principio del contraddittorio e quindi del diritto di difesa è relativa alla circostanza dello stato di corruzione in cui verserebbero le forze di polizia in Pakistan, incapaci di dare protezione alla popolazione rispetto a vendette private.

Avendo il Tribunale escluso la verosimiglianza del racconto del richiedente protezione per gli aspetti principali relativi alla sussistenza stessa della vendetta attuata ai danni dei congiunti del ricorrente dalla potente famiglia della persona rimasta uccisa in esito al sinistro stradale e quindi, in via derivativa, del rischio circostanziato di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria sfuggito alla vendetta, ogni ulteriore accertamento, a cui sarebbero stati chiamati altrimenti i giudici di merito, sulla condizione di violenza generalizzata derivante da un conflitto armato nel Paese di origine e rientro.

Resta assorbito, in mancanza dell’indicato presupposto di credibilità sul nucleo minimo dei fatti narrati, il rilievo di ogni mancato assolvimento dell’onere di collaborazione da parte del giudice nell’accertamento della capacità di soggetti non statuali di portare minaccia ove lo Stato ed i suoi apparati, anche di polizia investiti dal diritto interno dell’esercizio di prerogative proprie di un’autorità pubblica, non vogliono, in quanto tollerano o coadiuvano l’azione dell’agente responsabile della persecuzione e del grave danno, o non possono, a causa delle gravi carenze del sistema statuale e giuridico del Paese, garantire protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6, comma 2, contro persecuzioni o danni gravi.

Là dove l’inattendibilità del racconto e l’inverosimiglianza della domanda sia tale da inficiare il nucleo essenziali dei fatti integranti minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, viene meno l’attenuazione dell’onere della prova gravante sul richiedente ed il giudice del merito non è tenuto ad attivarsi, in adempimento dell’onere di collaborazione istruttoria, nell’accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale con l’acquisire, anche d’ufficio, le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese d’origine (Cass. n. 16925 del 27/06/2018; Cass. n. 28862 del 12/11/2018; Cass. n. 27503 del 30/10/2018).

Il giudice del merito nell’accertamento della situazione suscettibile di protezione internazionale deve valutare tutti gli elementi a disposizione posti a sostegno della domanda e quando non sia possibile avere la sicurezza del danno grave, egli, ritenuto verosimile che la situazione narrata corrisponda a verità, e quindi il timore della persecuzione, avvalendosi a tal fine delle circostanze specifiche dedotte dal richiedente, dovrà poi spingere il proprio accertamento alle condizioni generali nel Paese d’origine ed a casi analoghi di persecuzione.

La mancanza della verosimiglianza del racconto nei termini sopra indicati assorbe, nella specie per il profilo di critica dedotto, il rilievo di ogni accertamento ufficioso quanto a contenuti e modalità di apprensione agli atti del giudizio.

3. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il Tribunale non avrebbe tenuto conto della situazione del (OMISSIS) come descritta dal ricorrente e quindi del timore della popolazione rispetto alle famiglie più ricche e dai ruoli sociali più importanti nè del fatto decisivo per la controversia rappresentato dalla inesistenza di un’adeguata protezione da parte della polizia locale.

Il motivo è inammissibile perchè denuncia, negli effetti, un non corretto governo degli esiti istruttori da parte del giudice del merito, che quale tipica valutazione rimessa a quest’ultimo resta, per ciò stesso sottratta al sindacato di legittimità.

4. Con il quarto motivo il ricorrente fa valere la violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, quanto: al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19; alla L. n. 110 del 2017, art. 28, lett. d); all’art. 3, comma 1, che ha introdotto il comma 1.1. nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19; alla direttiva comunitaria n. 115/2008, tutti nel testo vigente ante D.L. n. 113 del 2018.

Il Tribunale avrebbe negato la protezione umanitaria dopo aver ritenuto inattendibile il racconto senza valutare il grado di integrazione raggiunto in Italia dal ricorrente e, in comparazione, la situazione del Pakistan che avrebbe esposto il richiedente, al suo rientro, al pericolo di uccisione per mano della potente famiglia della persona rimasta uccisa dopo l’incidente stradale.

Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio sottesa alla decisione in cui il difetto di situazioni di vulnerabilità resta sostenuto dalla non credibilità del racconto nel suo nucleo essenziale, ogni ogni altro profilo assorbito.

Il ricorso è in via conclusiva infondato.

Nulla sulle spese avendo l’amministrazione intimata depositato atto di costituzione tardiva con deduzioni inconsistenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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