Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3386 del 11/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 11/02/2021), n.3386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17568-2019 proposto da:

S.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO,

19, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA RUSSO, rappresentata e

difesa dall’avvocato SALVATORE BIANCA;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore

della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI, LELIO

MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1033/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 07/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Siracusa, accogliendo il ricorso di S.V., ha dichiarato illegittimo l’avviso di addebito INPS relativo ai contributi a percentuale per l’anno 2005 omessi in relazione al maggior reddito accertato dall’Agenzia delle Entrate;

2. la Corte di appello di Catania, con sentenza n. 1033 pubblicata il 7.12.2018, in accoglimento dell’appello dell’INPS e della S.C.C.I. spa e in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto l’opposizione all’avviso di addebito;

3. la Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che la definizione agevolata D.L. n. 98 del 2011, ex art. 39, comma 12, idonea a determinare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione avverso l’avviso di accertamento tributario, non può avere alcuna conseguenza sulla posizione contributiva che resta ancorata al maggior reddito imponibile oggetto dell’avviso di accertamento e che quest’ultimo deve considerarsi definitivo quanto all’aspetto contributivo; ha aggiunto che ove anche si considerasse l’ente previdenziale tenuto a dimostrare il presupposto dell’obbligo di pagamento dei contributi a percentuale o eccedenti il minimale, l’esito del giudizio non cambierebbe atteso che nel ricorso introduttivo di primo grado non era stata sollevata alcuna contestazione avverso l’avviso di accertamento sotto il profilo procedurale o sostanziale;

4. avverso tale sentenza S.V. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso l’INPS, anche quale procuratore speciale di SCCI spa;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. con il primo motivo di ricorso S.V. ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, imputando alla Corte territoriale di aver ritenuto rilevante, ai fini della prova del credito vantato dall’INPS per omessa contribuzione, il maggior reddito accertato a carico della stessa in sede fiscale e divenuto definitivo nella sua entità per essere stato il contenzioso definito con l’adesione al condono da parte della ricorrente, senza considerare, invece, che la pronunzia di cessazione della materia del contendere che definisce il giudizio di impugnazione dell’accertamento tributario a seguito dell’adesione al condono dell’interessato determina il venir meno dell’efficacia dell’atto amministrativo (avviso di accertamento) oggetto del contendere, dovendosi pertanto escludere l’idoneità del maggior reddito ivi asseverato a rilevare come base imponibile per il ricalcolo dei contributi previdenziali dovuti dall’interessato stesso;

7. col secondo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte di merito addossato all’INPS l’onere di prova della pretesa contributiva quale conseguenza della neutralità della definizione agevolata;

8. i motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente, pongono la questione degli effetti della definizione concordata della lite tributaria sull’obbligazione contributiva previdenziale e dell’esito dell’accertamento da cui è derivata la maggiore pretesa contributiva;

9. essi sono infondati atteso che la Corte d’appello ha deciso la questione in modo conforme ai principi enunciati da questa Corte con le sentenze n. 21541 del 2019 e n. 24774 del 2019, ed ai quali si intende dare continuità;

10. nelle citate pronunce si è precisato che la definizione ha ad oggetto esclusivamente, come recita il D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, convertito, con modificazioni, in L. n. 111 del 2011, “le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio” e si perfeziona “a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16”;

11. il tenore letterale delle norme in cui si inscrive l’istituto della definizione concordata delle lite fiscali (D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, e della L. n. 289 del 2002, art. 16), e la finalità espressamente indicata dal legislatore nella rubrica dell’art. 39, recante “disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria”, inducono a ravvisare nella definizione agevolata delle liti tributarie l’esclusiva natura deflattiva del contenzioso tributario – di valore inferiore a 20.000 Euro e già pendente alla data del 31 dicembre 2011 allo scopo di liberare e concentrare le risorse dell’Agenzia delle Entrate sulla proficua e spedita gestione dei procedimenti di natura precontenziosa di cui allo stesso art. 39, comma 9, attraverso il pagamento di un importo percentualmente ridotto del tributo oggetto della lite;

12. invero alla deflazione del contenzioso previdenziale il D.L. n. 98, ha dedicato l’art. 38, nel quale fin dalla rubrica, recante “disposizioni in materia di contenzioso previdenziale e assistenziale”, è chiarito l’ambito applicativo e ribadito, nel periodo di apertura del comma 1, il fine di “deflazionare il contenzioso previdenziale” (D.L. n. 98 cit., art. 38, comma 1, primo periodo);

13. la definizione concordata non incide in alcun modo sul contenuto dell’atto di accertamento dell’Agenzia e non importa definitività, propriamente detta, dell’accertamento compiuto dall’Agenzia ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 1, la cui efficacia, ai fini extrafiscali del calcolo dei contributi INPS a percentuale sul maggiore reddito, rimane impregiudicata;

14. ciò nondimeno, l’accertamento conserva valore probatorio che può essere resistito da prove di segno contrario senza che ciò incida sul riparto dell’onere probatorio;

15. questa Corte (v., fra le altre, Cass. n. 13463 del 2017 e n. 19640 del 2018) ha già avuto modo di affermare che tale accertamento costituisce, anche in riferimento all’obbligazione contributiva, un atto amministrativo di ricognizione dell’avveramento del fatto giuridicamente rilevante (id est: la produzione di un certo reddito da parte del lavoratore autonomo);

16. come altresì chiarito da questa Corte (v. Cass. n. 17769 del 2015), ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, è compito dell’Agenzia delle Entrate in sede di liquidazione delle imposte, contributi e premi dovuti in base alle dichiarazioni dei redditi, provvedere al controllo formale e sostanziale dei dati in esse contenuti; il D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 1, emanato in attuazione della L. delega n. 662 del 1996, al fine di attuare l’unificazione dei criteri di determinazione delle basi imponibili fiscali e di queste con quelle contributive e delle relative procedure di liquidazione, riscossione, accertamento e contenzioso (L. n. 662 del 1996, art. 3 comma 134, lett. b)), ha disposto che: “Per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che (…)devono essere determinati nelle dichiarazioni dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi”;

17. ciò significa che, a partire dalla dichiarazione 1999 (per i redditi 1998), l’Agenzia delle Entrate svolge un’attività di controllo, effettuando accertamenti formali e sostanziali sui dati denunciati dai contribuenti, richiedendo il pagamento dei contributi e premi omessi e/o evasi da trasmettere successivamente all’Inps e, in caso di mancato pagamento, l’Inps procede, sulla base dei dati forniti dalla Agenzia delle entrate, alla iscrizione a ruolo dei contributi totalmente o parzialmente insoluti (ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997);

18 si è, dunque, in presenza di un sistema di accertamento, liquidazione e riscossione comune ai due rapporti, previdenziale e tributario, in cui gli atti di accertamento disposti dall’Agenzia delle entrate costituiscono atti di esercizio anche del rapporto previdenziale, rispondendo al fine di semplificare ed uniformare le procedure di iscrizione a ruolo delle somme a qualunque titolo dovute all’INPS, nonchè di assicurare l’unitarietà nella gestione operativa della riscossione coattiva di tutte le somme dovute all’Istituto (cfr. anche D.L. n. 70 del 2011, conv., con modificazioni, in L. n. 106 del 2011, art. 7, comma 2, lett. t);

19. del resto, già con Cass. n. 8379 del 2014, questa Corte aveva chiarito che in materia di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali (D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3), l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’Agenzia delle entrate;

20. la giurisprudenza di questa Corte ha, inoltre, affermato, in ordine alla valenza probatoria degli accertamenti tributari (v., fra le tante, Cass. n. 14237 del 2017), che in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, (richiamato dal successivo art. 40, per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti;

21. in definitiva, dalla portata presuntiva dell’accertamento tributario si desume la necessità che lo stesso venga resistito da colui che intenda, invece, evitare il consolidamento dell’accertamento stesso (id est: dei fatti oggetto dell’accertamento stesso);

22. in mancanza di tale resistenza di segno negativo offerta dall’obbligato, evidentemente, l’atto di accertamento dovrà ritenersi idoneo a rendere definitivo l’accertamento del fatto nello stesso contenuto;

23. nel caso di specie, la ricorrente ha del tutto trascurato di contestare l’idoneità degli apprezzamenti posti a base dell’atto di accertamento tributario che ha fondato l’avviso di addebito notificato dall’INPS, limitandosi ad invocare a proprio favore la regola di riparto dell’onere probatorio, quale conseguenza della irrilevanza, ai fini contributivi, della definizione agevolata ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12; ne consegue che i fatti, oggetto dell’accertamento, devono ritenersi definitivi, con ogni consequenziale riflesso sull’obbligazione contributiva;

24. il ricorso va dunque respinto;

25. la regolazione delle spese di lite segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

26. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021

 

 

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