Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3386 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 11/02/2011), n.3386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.B.P.D., F.B.F., F.

B.A., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato CONTALDI

MARIO, rappresentati e difesi dagli avvocati RAGGI DECIO, SESTA

MICHELE, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

F.B.C., in proprio e quale erede di FE.

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA P. BORSIERI

20, presso lo studio dell’avvocato PISELLI MARIO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato BOLDRINI GIOVANNI, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 549/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/09/2006 R.G.N. 237/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato CONTALDI GIANLUCA per delega SESTA MICHELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilita’, in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione dell’agosto 1991 F.B.F., F. B.P.D. e F.B.A. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Rimini il loro padre Fe.

B.A. e la loro sorella F.B.M.C. per la divisione in natura del patrimonio comune formato dai beni acquisiti dal padre (o intestati alla madre) con i proventi dell’attivita’ commerciale esercitata (per la quale assumevano essersi formata prima una comunione tacita familiare e poi un’impresa familiare, sino al febbraio 1985, quando era stata costituita fra i genitori e le quattro figlie una societa’ in nome collettivo), previa rimessione al giudice del lavoro per la pronuncia in ordine alla sussistenza della comunione tacita ed alla determinazione della quota prestata o, in subordine, per il pagamento di quanto loro spettante per l’opera prestata. Il Giudice adito dichiaro’ improponibile la domanda di divisione, ravvisando la competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro per la domanda subordinata; la Corte d’Appello di Bologna, pronunciando sull’impugnazione proposta dalle attrici, in parziale riforma della sentenza di prime cure, dichiaro’ l’incompetenza del Tribunale anche per la domanda relativa all’accertamento della sussistenza della comunione tacita familiare, rimettendo le parti innanzi al giudice del lavoro per le domande inerenti i diritti dominicali sulla comunione familiare ed i diritti di credito scaturenti dalla stessa, sospendendo il giudizio sulla divisione.

Riassunta la causa innanzi al Giudice del lavoro i convenuti si costituirono eccependo anche la prescrizione dei diritti vantati ex adverso, il giudizio venne quindi interrotto per la morte di Fe.

B.A. e riassunto dalle originarie attrici nei confronti della sorella F.B.M.C., anche quale erede del defunto genitore.

Il Tribunale di Rimini, in funzione di giudice del lavoro, rigetto’ le domande attoree rilevando:

l’inammissibilita’ della domanda diretta al riconoscimento di una quota in comproprieta’ degli immobili, posto che dalla comunione tacita familiare deriva il diritto agli incrementi, ma non ai trasferimento di immobili acquistati da uno solo dei partecipanti alla comunione stessa, rispetto al quale gli altri hanno solo un’azione risarcitoria per il mancato trasferimento, decorrente dall’acquisto del bene e sottoposta all’ordinario termine di prescrizione, senza che alcun ostacolo alla medesima derivi dalla continuazione della comunione;

l’intervenuto decorso della prescrizione, stante l’epoca di avvenuto acquisto dei beni immobili de quibus;

la fondatezza dell’eccezione di prescrizione – ai sensi dell’art. 2948 c.c., nn. 4 e 5, – quanto ai diritti oggetto della domanda subordinata, sul rilievo che la comunione tacita o l’impresa familiare era venuta meno nel febbraio 1985, quando era stata costituita la ricordata societa’ in nome collettivo nella quale era stata conferita l’azienda;

la raggiunta prova di un patto tacito di distribuzione periodica degli utili conseguiti;

la parimenti raggiunta prova che le ricorrenti avevano via via ricevuto il corrispettivo maturato accettandone le modalita’ di reimpiego nell’azienda.

Con sentenza del 6.7 – 27.9.2006 la Corte d’Appello di Bologna respinse le impugnazioni principale e incidentale proposte avverso la sentenza di prime cure, osservando, per cio’ che ancora qui rileva, quanto segue:

l’intero gravame principale appariva inammissibile, non essendo stato impugnata l’affermazione secondo cui le originarie ricorrenti erano state equamente compensate per l’attivita’ prestata nell’ambito dell’impresa esercitata dal padre, dovesse la stessa essere qualificata o meno come comunione tacita familiare;

il gravame principale era peraltro altresi’ infondato poiche’:

quanto alla doglianza sulla tempestivita’ dell’eccezione di prescrizione: a) tale eccezione era stata ritualmente formulata al momento della tempestiva costituzione nel giudizio riassunto con il rito del lavoro; b) con riferimento all’originario giudizio, instaurato nelle forme ordinarie nell’agosto 1991, trovava comunque applicazione il principio secondo cui il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, ai sensi del novellato art. 345 c.p.c. era applicabile unicamente ai giudizi iniziati in primo grado successivamente al 30.4.1995; c) la gia’ intervenuta sentenza della Corte d’Appello di Bologna, avendo esaminato la sola questione della competenza, non poteva ritenersi preclusiva della rituale formulazione dell’eccezione di prescrizione con la memoria di costituzione nel giudizio successivamente attivato nel febbraio 1999 secondo il rito del lavoro;

quanto alle ulteriori doglianze: a) era condivisibile quanto ritenuto dai primo Giudice in ordine all’intervenuta prescrizione relativamente ai diritti fatti valere in ordine agli immobili asseritamente acquistati da Fe.Be.Al. con i proventi dell’impresa ed intestati a lui stesso o a sua moglie; b) parimenti prescritti dovevano ritenersi gli ulteriori diritti, retributivi o risarcitori, derivanti dalla partecipazione alla comunione tacita e all’impresa familiare, dovendo ritenersi quinquennale il relativo termine, posto che le appellanti non avevano contestato quanto ritenuto dal Tribunale circa il patto tacito raggiunto con i loro genitori per la distribuzione periodica degli utili, nonche’ in ordine all’accettazione delle modalita’ di reimpiego nell’azienda di quelli maturati in loro favore, con la conseguente applicabilita’ del disposto dell’art. 2948 c.c., nn. 4 e 5, sin dalla maturazione di detti crediti; pertanto, stante la cessazione nel 1985 dei rapporti dedotti a fondamento di tali pretese, il termine di prescrizione era ormai decorso al momento dell’instaurazione del giudizio nel 1991.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, F. B.F., F.B.P.D. e F.B. A. hanno proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi e illustrato con memoria.

L’intimata F.B.M.C. ha resistito con controricorso, eccependo altresi’ l’inammissibilita’ del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione dell’art. 2938 c.c., dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 167 c.p.c., comma 1, deducendo che, nell’ambito del giudizio svoltosi nelle forme ordinarie, l’eccezione di prescrizione era stata sollevata soltanto nella comparsa conclusionale d’appello, e, percio’, tardivamente anche secondo la disciplina processuale antecedente alla novella di cui alla L. n. 353 del 1990; erroneamente la Corte territoriale aveva quindi ritenuto la ritualita’ della proposizione di tale eccezione all’atto della costituzione nel giudizio riassunto innanzi al Giudice del lavoro.

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano violazione dell’art. 2934 c.c. e segg., dell’art. 167 c.p.c., comma 1, e dell’art. 2909 c.c. deducendo che: a) a fronte della sentenza della Corte d’Appello di Bologna che aveva dato disposizioni per la prosecuzione del giudizio incompatibili con l’eccepita prescrizione, l’odierna controricorrente avrebbe dovuto impugnare tale pronuncia, cosicche’, non avendolo fatto, si era formato il giudicato interno relativo al dedotto e al deducibile; onde l’eccezione di prescrizione non avrebbe potuto essere ulteriormente sollevata davanti al Giudice del lavoro;

b) poiche’ la riassunzione non determina l’instaurazione di un nuovo giudizio, bensi’ la prosecuzione di quello originario, ai fini di valutare la tempestivita’ dell’eccezione di prescrizione avrebbe dovuto farsi riferimento alle preclusioni gia’ verificatesi nelle fasi processuali svoltesi secondo il rito ordinario.

Con il terzo motivo viene dedotta violazione di norme di diritto, anche di rilievo costituzionale, deducendo che al partecipante ad una comunione tacita familiare deve essere riconosciuto il diritto di comproprieta’ sugli immobili acquistati, in costanza della comunione, da familiare imprenditore con i proventi dell’attivita’. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione di norme di diritto, anche di rilievo costituzionale, sostenendo che, in ipotesi di mancato spontaneo adempimento da parte del capo famiglia all’obbligo di ripartizione, anche per quanto concerne gli acquisti immobiliari, il termine prescrizionale avrebbe dovuto decorrere dal momento dello scioglimento della comunione, alla stregua dell’art. 2935 c.c.; non sussisteva inoltre alcuna prova, in difetto di istruttoria sul punto, che nella specie il capo famiglia si fosse obbligato ad erogare alle tre figlie collaboranti una prestazione periodica; la domanda risarcitoria era stata altresi’ sempre configurata anche sotto il profilo dell’ingiustificato arricchimento, in ordine al quale la prescrizione doveva ritenersi di durata decennale. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 117, 329, 420 e 434 c.p.c. nonche’ vizio di motivazione, deducendo che l’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado della sussistenza di un accordo per una periodica ripartizione degli utili doveva ritenersi un obiter dictum, senza necessita’ quindi di un onere di impugnazione al riguardo, rilevando peraltro che anche tale affermazione avrebbe dovuto ritenersi ricompresa nella doglianza svolta.

2. Risulta preliminare la disamina dell’eccezione di inammissibilita’ del ricorso svolta dalla controricorrente.

Come gia’ esposto nello storico di lite la Corte territoriale ha espressamente ritenuto che l’intero gravame principale era inammissibile, stante la mancata impugnazione dell’affermazione secondo cui le originarie ricorrenti erano state equamente compensate per l’attivita’ prestata nell’ambito dell’impresa esercitata dal padre, dovesse la stessa essere qualificata o meno come comunione tacita familiare.

Si tratta di affermazione ritenuta di per se’ decisiva, tanto che le ulteriori argomentazioni sono state svolte per dimostrare come il gravame medesimo fosse “comunque infondato”.

La suddetta affermazione di inammissibilita’ dell’appello principale non e’ stata pero’ oggetto di specifico motivo di ricorso (in particolare dovendo osservarsi che la stessa non costituisce oggetto del quinto motivo di ricorso, ove, come gia’ indicato, si fa riferimento alla diversa affermazione concernente la sussistenza di un accordo per una periodica ripartizione fra i partecipanti degli utili conseguiti, e, peraltro, nell’ambito di una censura inammissibile per violazione del disposto dell’art. 366 bis c.p.c. stante la genericita’ del quesito, privo di specifici riferimenti alla fattispecie di causa).

Trova quindi applicazione il principio secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralita’ di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 7948/1999; 2499/1973).

Considerato inoltre che l’affermazione della Corte territoriale non oggetto di specifica doglianza investe un profilo di ritenuta inammissibilita’ dell’appello, trova al contempo applicazione il principio secondo cui qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilita’, con la quale si e’ spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere ne’ l’interesse ad impugnare, con la conseguenza che e’ ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed e’ viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 3840/2007; Cass., n. 13997/2007).

3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 37,00 oltre ad Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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