Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3385 del 08/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 08/02/2017, (ud. 06/12/2016, dep.08/02/2017),  n. 3385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2794/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTIGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5915/7/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, emessa il 23/05/2014 e depositata il

13/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di P.M. (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 5915/07/2014, depositata in data 13/06/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per maggiori IRPEF ed addizionali, regionali e comunali, dovute in relazione all’anno d’imposta 9006, a seguito di rideterminazione del reddito imponibile, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere sua il gravame principale dell’Agenzia delle Entrate sia quello incidentale (in punto di compensazione delle spese processuali operata dai giudici della C.T.P.), hanno sostenuto che andava condivisa la motivazione espressa dai giudici di primo grado, sotto il profilo giuridico, in quanto ha esaminato la questione ed ha argomentato in ordine ai motivi proposti nel ricorso presentato dal contribuente in tale grado di giudizio”, essendo, per contro, i motivi proposti dall’Ufficio “provi di pregio e non suscettibili di modificare la motivazione della decisione impugnata”; inoltre, ad avviso della C.T.R., le argomentazioni e le prove offerte dall’appellato, in quel grado di giudizio, erano “ampiamente ostative alla rettifica della determinazione reddituale operata dall’Ufficio”, non avendo quest’ultimo “offerto prova certa per accertare un maggior reddito, così come motivato nella decisione impugnata”.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, art. 112 c.p.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, lamentando che i giudici della C.T.R. non hanno correttamente individuato il thema decidendum della controversia, affermando che oggetto di impugnazione era un accertamento analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), laddove invece si trattava di un accertamento sintetico, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, con rettifica del reddito imponibile, sulla base della contestazione di una presunta maggiore capacità di spesa rispetto a quella dichiarata, fondata dall’Ufficio su importi erogati dal contribuente (a titolo di finanziamento e di aumento di capitale) ad una società di cui lo stesso era socio. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta poi la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per difetto assoluto di motivazione, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 36, in combinato disposto con l’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c..

2. La seconda censura è fondata, con assorbimento della prima.

Questa Corte (Cass. 28113/2013) ha, da ultimo, ribadito che “in tema di processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata, mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individiazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione della infondatezza dei motivi di gravame.

Con riferimento alla tecnica della motivazione delle sentenze “per relationem” questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. 7347/12), che “la motivazione della sentenza “per relationem” è ammissibile, purchè il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio”.

In sostanza, la sentenza d’appello deve essere cassata allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata, ad esempio, in termini di mera adesione alla sentenza appellata, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 2268/06, 15483/08).

Alla stregua di tali premesse, la sentenza gravata va giudicata nulla per difetto del requisito di forma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1932, art. 36, n. 4 (applicabile alla sentenza di secondo grado per il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61), perchè risulta completamente priva della illustrazione dei motivi della decisione e, precisamente, dell’illustrazione, a fronte delle specifiche critiche (avendo tra l’altro la C.T.R. respinto eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dall’appellato) mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado, delle considerazioni che hanno indotto la Commissione Tributaria Regionale a disattendere tali lagnanze, con conseguente impossibilità di individuazione delle ragioni poste a fondamento del dispositivo.

Invero, la C.T.R. ha respinto il gravante dell’Agenzia delle Entrate con una motivazione del tutto avulsa dalla fattispecie concreta ed espressa con il richiamo a principi generali di diritto ed a massime giurisprudenziali, concernenti l’accertamento analitico induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, ed i suoi requisiti (in particolare con riferimento al riparto dell’onere probatorio tra amministrazione finanziaria e contribuente), non calati tuttavia nella controversia in esame e che rimangono dunque mere astratte enunciazioni.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo motivo del ricorso, assorbito il primo, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla CTR della Campania.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2017

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