Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3383 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 11/02/2011), n.3383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RICASOLI N. 7,

presso lo studio dell’avvocato MUGGIA ROBERTO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

UNICALCESTRUZZI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20,

presso lo studio dell’avvocato CAROLEO FRANCESCO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LUPANO FULVIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1468/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 04/10/2006 R.G.N. 640/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato CAROLEO FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilita’, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata in data 4 ottobre 2006 e notificata il 10 novembre successivo, la Corte d’appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto le domande svolte da A.N. nei confronti di Unicalcestruzzi s.p.a., di pagamento della somma di L. 410.641.286 per retribuzioni non corrisposte dal 1982 al 13 novembre 2001 e di annullamento di un preteso licenziamento intervenuto in quest’ultima data e aveva accolto la domanda proposta in via riconvenzionale dalla societa’, di condanna al pagamento dei canoni dal 13 novembre 2001 e al rilascio dell’alloggio fin da tale data goduto illecitamente dalla A..

In proposito, i giudici di merito hanno anzitutto escluso qualsivoglia rapporto tra le parti fino al decesso nell’aprile del 1996 del coniuge della A. sig. P. – autista dipendente della societa’ che godeva altresi’ di un alloggio sopra gli uffici dell’impianto di betonaggio di questa in (OMISSIS), in cambio dell’apertura la mattina e chiusura la sera del cancello dell’impianto medesimo e la pulizia dei piccoli uffici della societa’ -, la quale era poi subentrata al marito, deceduto nell’aprile 1996, nel godimento del suddetto alloggio, senza pagare le relative utenze, in cambio delle prestazioni di pulizia e di apertura e chiusura dei cancelli.

Con riguardo a tale ultimo periodo, la Corte territoriale ha ritenuto prevalente la finzione locatizia del rapporto, in cui pertanto la prestazione lavorativa di pulizia e di apertura e chiusura dei cancelli rappresentava la controprestazione rispetto al godimento dell’alloggio.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione A.N., affidandolo a quattro motivi.

Resiste alle domande la societa’ con controricorso, col quale denuncia la tardivita’ della notifica del ricorso che sarebbe avvenuta solo in data 18 gennaio 2007 (68 giorno dalla notifica della sentenza), dopo un tentativo operato con consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario il precedente 8 gennaio 2007, da ritenere peraltro inesistente, in quanto nella richiesta all’ufficiale giudiziario non sarebbe stata indicata la citta’ del destinatario e pertanto la notifica non aveva potuto avere luogo in tale occasione.

Nel merito, la societa’ sostiene l’infondatezza manifesta del ricorso.

La ricorrente ha infine depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo di ricorso la difesa della A. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. in quanto la Corte territoriale, nel qualificare il rapporto di collaborazione tra le parti, non avrebbe tenuto conto dell’inserimento organico nella struttura aziendale della lavoratrice, priva di una qualsivoglia capacita’ e struttura imprenditoriale, dando viceversa rilevo a fatti che sarebbero del tutto irrilevanti ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo, quali la modestia quantitativa delle prestazioni, la mancata richiesta di una retribuzione nei venti anni di durata del rapporto e la possibilita’ di farsi sostituire nell’espletamento della prestazione lavorativa.

2 — Col secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c. e segg. nella interpretazione dell’art. 6 del C.C.N.L. dell’industria edile, il quale prevede, come lavoratore subordinato la figura del custode con alloggio nello stabilimento, perfettamente aderente alla posizione della A. in azienda.

3 – Col terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1322 e 2094 c.c. e del CCNL industria edile, in quanto la Corte territoriale avrebbe dato per scontato che il rapporto fosse atipico, contrassegnato dalla prevalenza della componente locatizia su quella lavorativa, senza considerare come ogni lavoro subordinato e’ oneroso e va pertanto retribuito, mentre l’uso gratuito dell’alloggio si pone in alcune ipotesi, considerate anche dalla contrattazione collettiva di settore, quale mezzo necessario per rendere possibile la prestazione lavorativa subordinata, che nel caso di specie sarebbe riconoscibile alla luce dei consueti indici elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte.

4 – Con l’ultimo motivo, la difesa della ricorrente denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella valutazione delle prove, che condurrebbero chiaramente alla qualificazione del rapporto come subordinato.

Va preliminarmente respinta l’eccezione di tardivita’ del ricorso per cassazione, formulata dalla difesa della societa’ sul presupposto che il primo tentativo di notifica dello stesso dovrebbe qualificarsi come inesistente, in ragione del fatto che sarebbe mancata nella consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario l’indicazione della citta’ del destinatario, per cui tale notifica non avrebbe potuto essere portata a compimento e il successivo tentativo (riuscito) sarebbe avvenuto oltre il termine di legge.

In proposito – e a parte il fatto che la predisposizione della relazione di notifica in cui nel caso in esame non e’ indicata la citta’ costituisce compito precipuo dell’ufficiale giudiziario (cfr.

art. 149 c.p.c., comma 2) -, va rilevato dagli atti che l’errore che non ha consentito all’atto di raggiungere tempestivamente il destinatario e’ stato un altro.

Dal ricorso e’ infatti agevolmente rilevabile la citta’ in cui l’atto andava notificato (Torino), chiaramente indicata nella prima pagina del ricorso, tanto e’ vero che nella busta contenente l’atto, infine restituita al mittente, e’ chiaramente indicata la destinazione in tale citta’.

L’errore commesso riguarda viceversa il soggetto destinatario del plico, indicato nella busta nella persona dell’avv. L.F., codifensore della societa’, mentre dall’atto risultava chiaramente che il domiciliatario era l’altro difensore, avv. Casamassima Gianna, con studio nel luogo in cui e’ stata operata la prima tentata notifica.

In ogni caso, anche questo errore non e’ imputabile alla parte ricorrente, dato che anche l’apposizione sulla busta della indicazione del nome del destinatario costituisce compito dell’ufficiale giudiziario, a norma della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 3.

In proposito, va qui ribadito che ove la notifica dell’atto di impugnazione tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario non si perfezioni per cause non imputabili al notificante, questi non incorre in alcuna decadenza se provveda con sollecitudine a rinnovare o a riattivare la notificazione (cfr. da ultimo Cass. S.U. 24 luglio 2009 n. 17352, cui si e’ adeguata la giurisprudenza successiva di questa Corte: ades. Cass. nn. 6846/10 e 9046/10).

Alla luce di tale principio, nel caso in esame la notifica del ricorso per cassazione deve ritenersi tempestiva, in quanto l’atto e’ stato consegnato l’8 gennaio 2007 (59 giorno successivo alla notifica della sentenza) dal notificante all’ufficiale giudiziario, il quale l’ha spedito a mezzo servizio postale al giusto indirizzo, ma ad un destinatario diverso dal soggetto indicato nell’atto come domiciliatario, che pertanto non l’ha ricevuto e, alla conoscenza di tale situazione, e’ tempestivamente seguita, su impulso della ricorrente, una nuova notifica il 18 gennaio successivo.

Il ricorso e’ infondato.

I quattro motivi vanno trattati congiuntamente in quanto investono in realta’ la motivazione della sentenza impugnata, anche quanto alla valutazione delle prove mentre i principi di diritto evocati non appaiono pertinenti rispetto al contenuto della sentenza, presupponendo un accertamento di fatto diverso da quello operato dai giudici.

Con tale sentenza la Corte territoriale da per scontato che, dato il tipo di compiti affidati alla ricorrente, la subordinazione va misurata sulla base di parametri attenuati (cfr., da ultimo, Cass. 19 aprile 2010 n. 9251), ma sostanzialmente rileva che, proprio sulla base di tali indicatori, nel rapporto dedotto appare prevalente l’aspetto relativo al godimento del locale utilizzato come abitazione dalla A. di cui l’attivita’ lavorativa di quest’ultima costituiva mero corrispettivo (cfr., per la distinzione dal lavoro subordinato compensato anche con il godimento di un alloggio Cass. 29 dicembre 1998 n. 12871).

La Corte esclude infatti che i compiti della A. attenessero alla custodia dell’impianto, avendo accertato, con valutazione di fatto delle risultanze istruttorie di sua esclusiva competenza – e che il ricorso tenta di contrastare attraverso una inammissibile rivisitazione dell’intero materiale istruttorio, per proporne in questa sede di legittimita’ una rivalutazione nell’ambito di un giudizio di merito -, che l’unico incarico riguardava la pulizia dei piccoli uffici situati presso l’impianto e l’apertura la mattina e la chiusura la sera (alle 19 e occasionalmente piu’ tardi) dei cancelli dell’impianto. Per cui le considerazioni in diritto che la difesa della ricorrente ritiene di trarre dall’affidamento a questa di compiti di custodia appaiono non pertinenti rispetto alla realta’ accertata in giudizio.

Ma anche per cio’ che riguarda il preteso inserimento dell’opera della A. nella organizzazione aziendale (inserimento che, per essere significativo sul piano considerato, deve comunque avvenire mediante subordinazione), la descrizione dei modesti compiti una volta per tutte ad essa affidati (e con ampia liberta’ di orario quanto a quelli di pulizia) finisce per rendere evanescente nella motivazione della sentenza la stessa percepibilita’ di siffatto elemento, come di ogni altro riferibile al tipo di rapporto rivendicato.

Ne’ d’altronde emergono dal ricorso indicazioni di fatti significativi trascurati o male interpretati dalla Corte territoriale e in grado di rimettere in discussione la decisione.

In conclusione appare quindi non censurabile la qualificazione operata dalla Corte territoriale di un rapporto in cui la prestazione lavorativa autonoma rappresenta il mero corrispettivo del godimento di un immobile, in corrispondenza della funzione propria assegnata dalle parti al rapporto medesimo.

Il ricorso va pertanto respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, operato in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla societa’ le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 29,00 per esborsi ed Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, per onorari.

Cosi’ deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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