Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33820 del 12/11/2021

Cassazione civile sez. III, 12/11/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 12/11/2021), n.33820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 811-2019 proposto da:

C.E.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA

n. 14 (Studio Legale Sinagra-Sabatini- Sanci), presso lo studio

dell’avvocato FRANCO SABATINI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

DENSO MANUFACTURING ITALIA S.P.A., in persona del legale

rappresentante oro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARBERINI n. 47 (Studio Saspi-Fieldfisher), presso lo studio degli

avvocati LUCA ANTONETTO, MARCO SCALVINI, MARIALUCREZIA TURCO che la

rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 648/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/10/2018 R.G.N. 405/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza del 24 ottobre 2018, in riforma della pronuncia di primo grado pronunciata all’esito di un giudizio ex lege n. 92 del 2012, ha rigettato le domande proposte da C.E.M. nei confronti di Denso Manufacturing Italia Spa volte ad accertare l’illegittimità di un preteso licenziamento intimato dalla società, sul presupposto della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti dal 16 febbraio 1983 al 31 luglio 2015 e qualificato come di collaborazione autonoma;

2. la Corte – in sintesi – ha rivalutato il materiale istruttorio, già acquisito in prime cure, alla luce del principio secondo cui “l’elemento distintivo tra rapporto di lavoro subordinato rapporto di lavoro autonomo è l’assoggettamento del prestatore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale”; secondo la Corte “non è emerso in alcun modo che il C. fosse destinatario di direttive sia pur generiche ovvero di specifici ordini da parte dell’Azienda ai quali dovesse rispondere in forza dell’anzidetta eterodirezione – in quanto anche gli elementi che astrattamente si potrebbero ritenere emblematici della subordinazione hanno dimostrato solo l’esistenza del necessario coordinamento con la complessa realtà dello stabilimento di (OMISSIS) – e neppure che sia stato attinto da particolari controlli sulla sua attività” né che fosse soggetto a vincoli di orario, tanto che ha potuto svolgere, pacificamente, fin dall’inizio (dal 1983) l’attività di medico di base in favore della Asl in esclusivà, circostanza quest’ultima che (…) porta ad escludere la ricorrenza di un altro elemento caratterizzante la subordinazione, costituito dalla strutturale sottoposizione funzionale del lavoratore ai poteri datoriali, intesa come continuità giuridica dell’essere a disposizione del datore di lavoro secondo le specificazioni da questi provenienti che, invece, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente, tenuto conto delle stesse rassicurazioni che il C. ha ritenuto di fornire alla Asl in ordine alla libera professione strutturatà prestata per conto della Denso in un arco temporale effettivo quantificato in 18 ore settimanali che non comporta alcun pregiudizio al corretto e puntuale svolgimento degli obblighi medico professionali nello studio e a domicilio del paziente’ attraverso le quali ha riconosciuto le caratteristiche del lavoro autonomo di prestazione d’opera intellettuale, riconducibile alla fattispecie disciplinata dall’art. 2230 c.c. dando così atto dell’interesse primario allo svolgimento dell’attività di medico convenzionato con la Asl ed a pianificare le prestazioni professionali (pacificamente rese anche per altre aziende) secondo le proprie esigenze personali e patrimoniali, per l’esigenza di non essere vincolato dai rigidi obblighi correlati ad un contratto di lavoro subordinato anche dai contratti intercorsi tra le parti, succedutesi nel tempo”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 10 motivi, cui ha resistito la società con controricorso;

entrambe le- parti hanno comunicato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. i motivi possono essere come di seguito sintetizzati, secondo le rubriche articolate dalla stessa parte ricorrente;

il primo denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., anche in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 17, commi 5 e 6, e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 39, commi 2 e 4, (art. 360 c.p.c., n. 3)”; si critica la sentenza impugnata perché “l’avere escluso la subordinazione per difetto di eterodirezione ha comportato una erronea impostazione del piano dell’indagine da parte della Corte territoriale che, invece, avrebbe dovuto porre a premessa maggiore del sillogismo decisionale la generale nozione di subordinazione attenuata e quella speciale e propria del medico competente in cui riveste un ruolo centrale l’elemento della fornitura di mezzi che costituisce un indice legale di tale speciale subordinazione”;

il secondo motivo denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi (art. 360 c.p.c., n. 3)” per avere la sentenza d’appello disatteso la richiesta di assunzione della prova testimoniale erroneamente interpretando un provvedimento istruttorio reso in prime cure;

il terzo mezzo denuncia: “omesso esame, attraverso una motivazione apparente, circa un fatto decisivo per il giudizio (richiesta di prova testimoniale) che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5)”;

il quarto motivo denuncia: “falsa applicazione degli artt. 2222 e ss c.c. in relazione agli art. 2094 c.c., D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 3 e art. 17, comma 5, (art. 360 c.p.c., n. 3)”; si sostiene che “i giudici dell’appello avrebbero dovuto concludere nel senso che il ricorrente era gravato da un ben definito orario e, pertanto, vincolato all’osservanza di un orario di lavoro”;

il quinto motivo denuncia: “falsa applicazione degli artt. 2222 e 2223 c.c. in relazione agli art. 2094 e 2099 c.c. e art. 36 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3)”; si sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato a ritenere che il C. non percepisse un corrispettivo avente natura retributiva;

il sesto motivo denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss.; falsa applicazione degli artt. 2222 e ss. c.c., art. 409 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 2094 e 2019 c.c., D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 e art. 36 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3)”; si deduce che se la Corte di Appello avesse rettamente interpretato la relativa clausola contenuta nel contratto del 1983 avrebbe dovuto concludere nel senso dell’attribuzione al ricorrente “del diritto al godimento di un periodo di ferie annuali”;

il settimo motivo denuncia: “falsa applicazione del D.P.R. n. 303 del 1956, D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 16,D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 41, lett. m), L. n. 300 del 1970, art. 5 e art. 2103 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”; si criticano taluni aspetti delle “motivazioni” della sentenza impugnata che “si svolgono sì sul piano delle valutazioni di fatto, ma attraverso la riconduzione delle singole situazioni di fatto considerate all’adempimento degli obblighi di sorveglianza sanitaria oggetto del contratto di pseudo-consulenza che sarebbe stato stipulato proprio per adempiere a detti obblighi”;

l’ottavo motivo denuncia: “falsa applicazione degli artt. 2222 e ss. c.c., art. 409 c.p.c., n. 3, in relazione agli art. 2094 c.c. e al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 17, comma 5 (art. 360 c.p.c., n. 3)”; si sostiene che la fornitura di mezzi da parte della società per lo svolgimento dell’opera del medico competente, ai sensi della disposizione da ultimo citata, costituirebbe, per espressa previsione legale, una presunzione di subordinazione che è onere del datore di lavoro vincere;

il nono motivo denuncia: “falsa applicazione degli artt. 2222 e ss. c.c. e art. 409 n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 2094 c.c. e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 25 (art. 360 c.p.c., n. 3)”; si eccepisce che “la responsabilità di un servizio aziendale risulta… non riconducibile ai compiti che la legge assegna al medico competente”;

il decimo mezzo denuncia: “falsa applicazione degli artt. 2222 e ss. c.c., art. 409 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 2086,2094 e 2104 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”; si deduce che un “lavoratore autonomo” non potrebbe mai “gestire i rapporti di lavoro del personale dipendente”, così come invece faceva il C.;

2. il ricorso, in tutte le censure in cui è articolato, non può trovare accoglimento;

per esse è opportuno premettere taluni consolidati orientamenti giurisprudenziali circa i limiti del sindacato di legittimità su sentenze di merito che accertino, ovvero neghino, l’esistenza in concreto della fattispecie disegnata in astratto dall’art. 2094 c.c.;

2.1. secondo principi pacifici di questa Corte la valutazione delle risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere un rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto, per cui è censurabile in Cassazione solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (Cass. n. 13202 del 2019; Cass. n. 5436 del 2019; Cass. n. 332 del 2018; Cass. n. 17533 del 2017; Cass. n. 14434 del 2015; Cass. n. 4346 del 2015; Cass. n. 9808 del 2011; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 26896 del 2009);

in particolare, qualora l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa del concreto atteggiarsi del rapporto, può farsi ricorso ad elementi dal carattere sussidiario e funzione indiziaria (per tutte: Cass. SS.UU. n. 379 del 1999, con la risalente giurisprudenza ivi richiamata) che, lungi dal prescindere dall’essenzialità della subordinazione, ne accertano in via indiretta l’esistenza quali evidenze sintomatiche di un vincolo non rintracciabile aliunde; chiaro che la mera applicazione dei singoli indici rivelatori rimane muta o può essere addirittura fuorviante se non si accompagna ad una globale visione di insieme che attribuisca maggiore o minor valore ad alcuni di essi a seconda delle peculiarità della prestazione di cui si discute; vale, cioè, il paradigma logico secondo cui gli indizi, proprio perché tali, vanno letti congiuntamente affinché il processo inferenziale conduca a risultati univoci; ancora le Sezioni unite di questa Corte (n. 379/99 cit.) insegnano come “ciò che deve negarsi è soltanto l’autonoma idoneità di ciascuno di questi elementi, considerato singolarmente, a fondare la riconduzione del rapporto in contestazione ail’uno o all’altro tipo contrattuale (id est, a costituire il criterio, generale ed astratto, preordinato a siffatto risultato specifico), non anche la possibilità che, in una valutazione globale dei medesimi, funzionale alla suddetta indagine prioritaria e decisiva sulla sussistenza del requisito della subordinazione, essi vengano assunti, come concordanti, gravi e precisi indici rivelatori dell’effettività di tale sussistenza”;

2.2. l’accertamento in ordine alla ricostruzione dei fatti, principali e secondari, che concretano gli indici sintomatici della subordinazione e del come si siano verificati nella vicenda storica che dà origine alla controversia compete ai giudici di merito, così come a costoro spetta anche la valutazione di detti fatti, al fine di esprimere un giudizio complessivo dei medesimi che sintetizzi le ragioni per cui da essi si sia tratto il convincimento circa la sussistenza o meno della subordinazione medesima; trattandosi di giudizi di fatto questa Corte può sottoporli a sindacato nei limiti consentiti da una prospettazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione tempo per tempo vigente; inoltre il giudice di legittimità può sindacare la sussunzione operata dall’impugnata sentenza, sempre nei limiti di una censura appropriata, negando – per dirla con la decisione delle SS.UU. n. 379/99 già citata – che un singolo elemento sintomatico possa fondare la riconduzione del rapporto in contestazione all’uno o all’altro tipo contrattuale, dovendo invece essere praticata una valutazione globale dei medesimi, quali “concordanti, gravi e precisi indici rivelatori” dell’effettività della sussistenza della subordinazione;

2.3. tuttavia chi ricorre per cassazione non può limitarsi ad opporre un diverso convincimento, criticando la sentenza impugnata per aver dato credito a talune circostanze, che si assumono prive di valore significativo, piuttosto che ad altre, ritenute al contrario più rilevanti, con ciò assumendo erroneamente di avere individuato vizi idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata; come noto, infatti, al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, essendo del tutto estranea allo scrutinio di legittimità la funzione di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie; in particolare, tanto più in giudizi nei quali la decisione è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, tutti concorrenti a supportare la prova del fatto principale, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poiché è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (per tutte, sui limiti del sindacato di legittimità in tema di subordinazione, v. Cass. n. 11015 del 2016; successive conformi: v. Cass. n. 9157 del 2017; Cass. n. 9401 del 2017; Cass. n. 25383 del 2017; più di recente: Cass. n. 32385 del 2019; Cass. n. 2526 del 2020; Cass. n. 14376 del 2020; da ultimo: Cass. n. 4037 del 2021);

3. alla stregua degli esposti principi i motivi di ricorso non possono che essere respinti;

parte ricorrente, evidentemente consapevole dei limiti che incontra il sindacato di legittimità su di una sentenza di merito che nega l’esistenza in concreto della fattispecie disegnata in astratto dall’art. 2094 c.c., tenta di accreditare la tesi che le plurime censure proposte denuncino una “falsa applicazione di legge intesa quale errore di sussunzione del fatto nell’ipotesi normativa”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

tuttavia è noto che Verror in iudicando di cui alla disposizione invocata ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo,, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007), sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto del tutto incontestata perché è quella che è stata operata dai giudici del merito;

nella specie, invece, nonostante la premessa formale, si criticano diffusamente molti degli apprezzamenti delle circostanze fattuali così come operati dalla Corte territoriale, e, soprattutto, si rimettono in discussione gran parte degli elementi di fatto che il giudice, cui compete il dominio del merito, ha esaminato per dare agli stessi un rilievo diverso da quello atteso o patrocinato da parte ricorrente; ma si è prima ricordato che al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, essendo del tutto estranea al sindacato di legittimità la funzione di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie; in particolare, tanto più in giudizi nei quali la decisione è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, tutti concorrenti a supportare la prova del fatto principale, va ribadito che il ricorrente non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, poiché è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile;

all’opposto parte ricorrente trascura di considerare il rilievo decisivo che la Corte di Appello, nell’esplicitare il proprio convincimento, ha attribuito alle circostanze che il C. non fosse “destinatario di direttive sia pur generiche ovvero di specifici ordini da parte dell’Azienda”, ma che piuttosto regolasse la sua attività in forma di “coordinamento”; che non era sottoposto a “particolari controlli” né “a vincoli di orario”, tanto da poter svolgere “l’attività di medico di base in favore della ASL in esclusiva”, così escludendosi la sua “strutturale sottoposizione funzionale… ai poteri datoriali”; che più volte il C. aveva fornito rassicurazioni alla ASL circa la “libera professione” esercitata in favore della Denso, manifestando un chiaro intento di riconoscere “le caratteristiche del lavoro autonomo di prestazione d’opera intellettuale”;

si tratta di un percorso motivazionale del tutto plausibile che, tra l’altro, evidenzia il mancato incardinamento del C. nella struttura organizzativa assoggettata al potere unilaterale dell’imprenditore, di modo che il medico non perdesse autonomia nell’attività di consulente estraneo al fattore umano dell’azienda, onde consentirgli l’esercizio di altra attività che aveva connotati di esclusività, ed è coerente con il risalente principio che, pur non attribuendo valore preclusivo alla formale qualificazione delle parti in sede di conclusione del contratto individuale, non ostacola un iter interpretativo che, partendo dal dato volontaristico, si curi di accertare se il contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento siano conformi alle pattuizioni stipulate ovvero siano piuttosto proprie del rapporto di lavoro subordinato (cfr. Cass. n. 12926 del 1999; Cass. n. 5665 del 2001), in particolare laddove non si ravvisi una situazione di chiara debolezza contrattuale del lavoratore (cfr. Cass. n. 12085 del 2003; Cass. n. 15001 del 2000; Cass. n. 7796 del 1993; Cass. n. 3170 del 1990) o quando le concrete modalità di svolgimento dello stesso lascino margini di ambiguità e’/o di incertezze (v. Cass. n. 11207 del 2009; Cass. n. 13884 del 2004; Cass. n. 17549 del 2003; Cass. n. 12364 del 2003; Cass. n. 6673 del 2003; Cass. n. 7931 del 2000);

del resto proprio la Corte Costituzionale ha espresso l’avviso che “il nomen furis adoperato dai contraenti, sfornito di un valore assoluto e dirimente, non può essere del tutto pretermesso e rileva come elemento sussidiario, quando si riveli difficile tracciare il discrimine tra l’autonomia e la subordinazione” (Corte Cost. n. 76 del 2015; v. pure Corte Cost. n. 121 del 1976);

sulla scorta di tale rilievo del Giudice delle leggi, le Sezioni Unite di questa Corte, proprio a proposito dell’attività svolta da medici penitenziari, nonostante “l’organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni e l’obbligo di attenersi alle direttive impartite dal direttore del carcere e dal dirigente sanitario” hanno ritenuto non integrati gli indici della subordinazione, in quanto gli stessi “sono espressione del necessario coordinamento con l’attività dell’amministrazione” (Cass. SS.UU. n. 7929 del 2019; Cass. n. 10189 del 2017);

4. ciò posto in generale per tutti i motivi di ricorso, in particolare per essi può ulteriormente aggiungersi quanto segue;

il primo motivo, lungi dall’enucleare un errore di diritto, pone a premessa del sillogismo giudiziale una nozione di “subordinazione attenuata” come se la stessa fosse nozione autonoma e diversa da quella prefigurata dall’art. 2094 c.c. che resta comunque il parametro normativo correttamente applicato – per quanto innanzi detto – dalla Corte territoriale;

il secondo e terzo mezzo presentano profili di inammissibilità perché l’uno offre una diversa interpretazione di un atto processuale che invece spetta al giudice del merito, mentre l’altro invoca l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), impropriamente riferendosi ad un “fatto processuale” (la non ammissione di una prova testimoniale) mancando, invece, di identificare il singolo “fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere realmente decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”, considerato altresì che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”;

tutti i restanti motivi, nonostante l’invocazione eminentemente formale del vizio della falsa applicazione di norme di diritto, riguardano nella sostanza questiones facti (quali indubitabilmente sono l’orario di lavoro, il corrispettivo dell’opera prestata, l’interpretazione di una clausola contrattuale, le ferie, il contenuto dell’opera prestata, la fornitura dei mezzi, la responsabilità del servizio, il rapporto con gli altri dipendenti), non suscettibili di rivalutazione in questa sede, tanto più in una pretesa di parcellizzazione atomistica dei singoli aspetti del rapporto, comunque non idonea a minare l’assunto della Corte territoriale frutto di un giudizio complessivo che ha sintetizzato plausibilmente le ragioni per cui si sia tratto il convincimento circa l’insussistenza della subordinazione nella fattispecie concreta;

5. conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 7.000,00, oltre esborsi pari ad Euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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