Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 338 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. II, 10/01/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 10/01/2011), n.338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 12561/05) proposto da:

Ing. C.B., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso dall’Avv.to De Pozzo Mario del foro di

Napoli ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to

Salemme Liliana in Roma, via Clivo di Cinna, n. 196;

– ricorrente –

contro

ISVEIMER S.p.A. in liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Martano Alfredo e Di

Stefano Francesco del foro di Napoli, in virtù di procura speciale

apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliata in

Roma, presso la Cancelleria della Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli – sezione lavoro

n. 867 depositata il 20 maggio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 16

novembre 2010 dal Consigliere relatore Dott.ssa FALASCHI Milena;

uditi gli Avv.ti Liliana Salemme, delegata dall’Avvio Mario Del

Pozzo, per parte ricorrente e Alfredo Martano per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, C.B. evocava in giudizio la ISVEIMER – Istituto per lo Sviluppo Economico dell’Italia Meridionale S.p.A. in liquidazione, e premesso di avere svolto in favore di quest’ultima attività professionale con carattere di continuità dal 1982 al 1994, chiedeva che, previo accertamento dell’illegittimità del comportamento della stessa, venisse riconosciuto il suo diritto alla corresponsione della complessiva somma di L. 838.938.327, quale differenza sui compensi maturati per l’attività professionale svolta, calcolata in base alle tariffe professionali obbligatorie o in via subordinata al pagamento della somma di L. 10.331.000 a titolo di compenso per incarichi eseguiti e non retribuiti, oltre ad interessi e svalutazione monetaria.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dell’ente convenuto, all’esito dell’istruzione della causa, il Tribunale adito respingeva la domanda attorea.

In virtù di rituale appello interposto dal C., con il quale lamentava l’erroneità della ricostruzione della dinamica dei rapporti tra le parti compiuta dal primo giudice, che aveva ritenuto l’esistenza di un accordo cui il medesimo istante avrebbe sempre aderito volontariamente, la Corte di appello di Napoli, nella resistenza dell’appellata ISVEIMER S.p.A., respingeva il gravame.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale – precisato che trattavasi di controversia che esulava dalla specifica competenza del giudice del lavoro – deduceva che il compito del C., abilitato alla professione di ingegnere, quale istruttore esterno, consisteva nell’esame di domande di mutuo presentate all’istituto dagli enti richiedenti, nonchè nella raccolta delle certificazioni e delle informazioni dirette ad eventuali sopralluoghi finalizzati all’accertamento della rispondenza della relativa documentazione alla situazione concreta; il C., quindi, redigeva relazione da sottoporre al vaglio del Direttore dell’Ufficio per il parere, a seguito del quale il Direttore Centrale proponeva la delibera alla firma del Direttore Generale, prima dell’intervento definitivo dell’organo deliberante, attività che pertanto si limitava ad accertamenti presso la ditta richiedente, che confluivano nella compilazione di una modulistica predisposta dallo stesso Istituto.

Proseguiva, inoltre, che la proposta di conferimento dell’incarico all’istruttore esterno avveniva ad opera del Direttore dell’Ufficio, cui il professionista comunicava la relativa accettazione, dal seguente tenore: “Per esso mi corrisponderete l’onorario determinato in base alla voce di tariffa a discrezione, tenuto conto della natura dell’incarico stesso di L…., oltre al rimborso delle spese, al contributo integrativo per la Cassa Ingegneri ed all’I.V.A.”, dichiarazione che precedeva il formale conferimento dell’incarico da parte della Direzione Generale, con l’indicazione dell’onorario richiesto dall’istruttore esterno. Da quanto sopra la Corte di merito faceva discendere che l’appellante era completamente libero di accettare o meno l’incarico e di conseguenza anche la determinazione del compenso era rimesso ad un accordo volontario delle parti, “scevro da ogni pressione”.

Aggiungeva che alcuna alterazione del processo formativo della volontà era stata accertata, nè poteva trovare accoglimento la tesi dell’appellante per cui la determinazione del corrispettivo avrebbe dovuto essere regolata con criteri diversi da quelli convenuti dalle parti, atteso i tenore dell’art. 2233 c.c..

Inoltre sottolineava che il limite costituito dai minimi di tariffa – fissati dalla L. n. 143 del 1949 – concerneva unicamente l’ipotesi in cui l’onorario fosse fissato a vacazione, percentuale e a quantità, e non nell’ipotesi di compenso “a discrezione”. Del pari veniva disattesa la doglianza relativa al mancato accoglimento della domanda subordinata in quanto non poteva essere riconosciuto il diritto al compenso per incarichi professionali non compiutamente svolti, essendo prassi concordare tra le parti una liquidazione inferiore in funzione dell’effettiva prestazione professionale eseguita. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione il C., che risulta articolato su tre motivi, al quale ha resistito con controricorso la ISVEIMER S.p.A. in liquidazione, anche con memoria ex art. 372 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione della L. 5 maggio 1976, n. 340, art. unico in riferimento all’art. 2233 c.c. e all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto mancante una normativa unitaria che fissi i principi regolatore dell’applicazione delle tariffe, con riferimento alle categorie professionali nella loro unitarietà e globalità. Afferma, altresì, che la decisione sul punto della Corte di merito è del tutto assiomatica e che la giurisprudenza formatasi “prima ancora di essere inficiata da vizio di incostituzionalità”, urti contro il disposto dell’art. 2233 c.c., comma 2 (per mero errore indicato l’art. 2333 c.c.).

Il ricorrente, pur facendosi carico dell’orientamento largamente prevalente in giurisprudenza – al quale la decisione della Corte d’appello di Napoli si è uniformata -secondo il quale la pattuizione tra il committente ed il professionista, pur se in contrasto con la legge professionale, non comporta nè la nullità del contratto nè quella parziale della clausola, ritiene, tuttavia, preferibile altra interpretazione della disciplina del rapporto in contestazione, per la quale, ai fini della configurabilità di una ipotesi di nullità ex art. 1418 c.c., comma 1, non è necessaria una espressa previsione di nullità contenuta nella norma imperativa contrastante con il contratto della cui validità si dubita, discendendo detta invalidità direttamente dalla violazione ed avendo l’art. 1418 c.c. proprio la funzione di consentire la declaratoria di nullità dei patti contrari ad una norma imperativa sprovvista di autonoma ed espressa sanzione di nullità. La doglianza non può trovare accoglimento.

Costituisce principio largamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, dal quale il Collegio non intende discostarsi, quello secondo il quale il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non importa, secondo il richiamato orientamento, la nullità, ex art. 1418 c.c., comma 1 del patto in deroga in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, ma solo ad un interesse della categoria professionale (v., tra le altre, sent. Cass., 2^ Sez., n. 21235 del 5.10 2009).

Ciò precisato, non può nella specie trovare applicazione il secondo comma della norma invocata non sussistendone i presupposti, per avere accertato i giudici dei due gradi di giudizio di merito la pattuizione su base volontaristica della determinazione del compenso.

Deve, altresì, escludersi che, nel caso di specie, possa configurarsi alcun vizio della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. A tale riguardo si rileva che i giudici del merito hanno fornito un’adeguata argomentazione in ordine alla determinazione del compenso su base volontaria, come emerge evidente dal tenore testuale della documentazione prodotta – fondata su proposta contrattuale elaborata dalla ISVEIMER ed accettazione dello stesso ricorrente, all’atto del conferimento dell’incarico – che si sottrae, pertanto, da ogni censura nella presente sede. Per le medesime considerazioni non può formare oggetto di sindacato di legittimità la valutazione del giudice di merito delle risultanze probatorie al riguardo. Esclusa la natura subordinata del rapporto de quo, è agevole, infine, obiettare l’insussistenza anche di un eventuale vizio di illegittimità costituzionale adombrato dal ricorrente ai sensi dell’art. 2233 c.c.: in relazione all’art. 36 Cost..

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. 4 marzo 1958, n. 143, art. unico, integrato dalla L. 5 maggio 1976, n. 143, in riferimento alla L. 2 marzo 1949, n. 143 e all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in quanto si è incorsi nella violazione della legge che definisce i compensi a discrezione “a criterio del professionista” e non già del committente, come accadeva nella specie, dove in realtà l’accordo era solo apparente. E’ evidente che la presente censura costituisce un’articolazione del motivo precedentemente esaminato e poichè pone un problema di interpretazione del rapporto professionale dedotto, la doglianza risulta superata dalle considerazioni che precedono.

Infine con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1434 e 1435 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 c.p.c. in quanto la comune volontà delle parti “scevra da ogni pressione” discendeva dal fatto che la mancata accettazione della predeterminazione nei limiti proposti del compenso avrebbe comportato non solo il mancato conferimento dello specifico incarico, ma anche la cancellazione dall’albo dei collaboratori esterni dell’Ente, fino a far configurare l’operato dell’ISVEIMER quale violenza morale.

La Corte territoriale, al pari del giudice di prime cure, con motivazione adeguata, ha riconosciuto che il ricorrente era “completamente libero di accettare o meno l’incarico, nell’emettere la relativa fattura”. La stessa Corte, nel definire apoditticamente dedotto il vizio del volere, ha chiarito che il consenso del professionista era liberamente prestato non solo al momento del conferimento dell’incarico, ma anche all’atto della liquidazione del compenso, allorchè l’ing. C. ha rilasciato titolo della prestazione effettuata dal seguente tenore: “…per gli accertamenti tecnici da me espletati in riferimento al vostro conferimento di incarico ed alla mia nota del 13.3.91, prego codesto spettabile Istituto di voler liquidare l’onorario determinato in base alla voce di tariffa a discrezione la complessiva somma di L….”. Nè il ricorrente ha fornito la prova di un diverso iter di formazione della volontà, per cui nessuno dei caratteri di cui all’art. 1435 c.c. ricorrono nella specie.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese di questo giudizio, tenuto conto della natura della controversia, che attiene a rapporto professionale.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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