Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3379 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2010, (ud. 13/10/2009, dep. 12/02/2010), n.3379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore e Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici in Roma via dei Portoghesi n. 12 sono domiciliati;

contro

F.R.E. domiciliato in Lomaso (TN), frazione Ponte

Arche via Cesare Battisti n. 24/1 presso il difensore Trentini Gian

Marco;

avverso la sentenza 21.12.2004 n. 46/2004 notificata

all’Amministrazione il 26.01.2005

udita la relazione del Consigliere Dr. Renato Polichetti;

Sentite le conclusioni del difensore Gentili Paolo che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

sentite le conclusioni del P.G. dott. Wladimiro De Nunzio che ha

chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso assorbiti gli

altri.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO

quanto segue:

Con ricorso depositato il 23 gennaio 2002 F.R.E. impugnava il silenzio rifiuto sull’istanza degli acconti IRPEF per l’anno 1993 versati per complessive L. 7.535.000 (pari ad Euro 3.851,51) oltre gli interessi di legge.

Il ricorso si fondava sulla circostanza che gli acconti suddetti, risultati a credito in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi 1993, riportato come eccedenze nel modello 730 dell’anno successivo e rimborsati in busta paga secondo la procedura prevista per i modelli 730, non venivano poi riconosciuti da parte dell’Ufficio per il mancato rinvenimento della dichiarazione modello 740/1994 relativa all’anno 1993. Il che ad avviso del contribuente avrebbe costituito un illeciti arricchimento dell’Erario per la cui restituzione si rendeva applicabile il termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c..

I primi giudici rigettavano il ricorso sulla base delle considerazioni che: 1) la mancanza del modello 740/1994 di cui il contribuente affermava la presentazione, senza peraltro fornirne la ricevuta, impediva all’Ufficio di potere procedere alla liquidazione della stessa e alla verifica delle somme portate a credito nel successivo modello 730/1995; 2) in ogni caso le somme versate per errore materiale o per inesistenza dell’obbligo di versamento doveva essere proposta, a pena di decadenza, entro diciotto mesi dalla data di versamento, in quanto nel caso di specie trovava applicazione il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, e non l’art. 2946 c.c. che si riferiva ad altre fattispecie.

Contro detta sentenza proponeva appello il contribuente, che veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale, in base alla considerazione che nel caso di specie non si sarebbe posto il problema dell’applicabilità o meno del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 in quanto nel caso di specie dove essere posta in risalto la ritenuta “anomalia” dei provvedimenti antecedenti all’istanza di rimborso, in base ai quali al più poteva essere irrogata una sanzione al contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 46 ma non cancellare il credito dello stesso;in ogni caso incombeva all’Ufficio il dovere, di informare il contribuente della sussistenza di una circostanza dalla quale poteva derivare il mancato riconoscimento di un credito (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 2).

Avverso la suddetta sentenza è stato proposto ricorso innanzi a questa Corte per i seguenti motivi.

Violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Come è pacifico, il ricorrente proponeva in data 6 giugno 2001 istanza di rimborso delle somme versate in data 18 giugno e 30 novembre 1993 a titolo di acconti IRPEF per il 1993.

In materia di rimborsi delle imposte sui redditi, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 nel testo originario applicabile ratione temporis alla presente controversia, sancisce il termine decadenziale di diciotto mesi, a decorrere dalla data di effettuazione del versamento, per la presentazione dell’istanza di rimborso dei versamenti diretti, nell’ipotesi di errore materiale, duplicazione ed inesistenza, totale o parziale, dell’obbligo di versamento.

Con tale articolo, il legislatore tributario ha inteso regolamentare in maniera espressa l’intera materia dei rimborsi di versamenti diretti delle imposte sui redditi, ed in tale senso è il consolidato orientamento di codesta Corte di Cassazione.

Con sentenza n. 198/2004, affermando l’applicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 e del conseguente termine decadenziale ivi sancito, anche in ipotesi di eccedenza di versamenti in acconto, codesta Corte ha stabilito che in tal caso la decorrenza del termine è spostata al momento in cui è stato versato, o avrebbe dovuto essere versato, il saldo d’imposta.

La generale applicabilità dell’articolo citato ad ogni tipologia d’indebito tributario, è stata ribadita con la sentenza 1040/2004, ove, affermando che l’art. 38 ha portata generale in materia di rimborsi di versamenti diretti” i giudici di legittimità si è precisato che il termine di diciotto mesi si applica anche ai versamenti diretti mediante delega agli istituti di credito fin dall’origine non dovuti, senza distinzione tra inesistenza dell’obbligo di versamento ed inesistenza dell’obbligazione tributaria.

Nel caso di specie, a fronte dell’evidente decorso di tale termine, i Giudici del gravame hanno erroneamente aderito all’interpretazione prospettata dal contribuente.

Essi hanno ritenuto le prescrizioni contenute nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 superabili da un asserito principio di collaborazione e buona fede che avrebbe dovuto impedire all’Amministrazione Finanziaria di recuperare quanto indebitamente dalla stessa rimborsato al contribuente il quale, prima, aveva contravvenuto ad un esplicito obbligo di legge non presentando la dichiarazione dei redditi dell’anno di imposta 1993 e, successivamente, aveva proposto un’istanza di rimborso delle somme a credito risultanti da quella dichiarazione, infondata oltre che intempestiva perchè prodotta decorso il termine di decadenza sancito dalla norma tributaria.

Occorre anzitutto dichiarare inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze non essendo stato lo stesso parte nelle precedenti fasi processuali.

Il primo motivo del ricorso è fondato.

Come stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte: “In tema di rimborso di somme versate per tributi non dovuti, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, nel testo anteriore alla novellazione, disposta con la L. 13 maggio 1999, n. 133, e il D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, commi 1 e 7, e del D.Lgs. 12 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 1, lett. G), nel testo applicabile “ratione temporis”, contenenti la previsione dei rimedi giurisdizionali contro la reiezione dell’istanza volta ad ottenere la restituzione delle somme, versate in regime di autotassazione, in base ad una dichiarazione dei redditi che risulti inficiata da errore, consentono al contribuente, nel termine della norma stessa stabilito, di richiedere la ripetizione delle imposte pagate in adempimento di tali obblighi – in tutto o in parte – inesistenti”. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 15063 del 25/10/2002 Rv. 558051; conforme Cass. 19.12.2008 n. 29738 Rv.

606025).

Nel caso di specie risulta del tutto pacifico che la normativa applicabile fosse ratione temporis quella suddetta nel testo all’epoca vigente, e, conseguentemente, che il termine di decadenza fosse ampiamente trascorso.

Ne consegue la cassazione della sentenza di primo grado e non essendovi ulteriori accertamenti da effettuare, il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, sono a carico della parte soccombente, equo si ritiene compensarle con riferimento al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso cassa la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Trento e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo, e condanna il ricorrente alle spese delle varie fasi del giudizio che liquida in complessivi Euro 2.200,00 oltre diritti. Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze compensando le relative spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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