Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33773 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. III, 19/12/2019, (ud. 19/11/2019, dep. 19/12/2019), n.33773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30115/2017 R.G. proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Cosimo Damiano

Fabio Mastrorosa, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma,

via Nizza, n. 92;

– ricorrente –

nonchè sui ricorsi successivamente proposti da:

D.B.R., rappresentata e difesa dall’Avv. Cosimo Damiano

Fabio Mastrorosa, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma,

via Nizza, n. 92;

– ricorrente –

e da

M.G., nella qualità di amministratore di sostegno di

M.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Cosimo Damiano

Fabio Mastrorosa, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma,

via Nizza, n. 92;

– ricorrente –

contro

M.P.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 278/2017,

depositata il 18 maggio 2017;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.P. adì il Tribunale di Trani esponendo che, essendo assegnatario di immobile IACP in (OMISSIS):

– nell’anno 2007 aveva deciso di ospitarvi il fratello, unitamente al proprio nucleo familiare, composto dalla moglie, D.B.R. e da due figli minori;

– nel 2009, dopo essersi allontanato per qualche tempo da casa per prestare assistenza al figlio minore che risiedeva altrove con la madre, facendovi ritorno si era visto negato l’accesso dal fratello, che aveva anche sostituito la serratura della porta d’ingresso.

Propose quindi azione di rilascio dell’immobile a lui assegnato perchè detenuto sine titulo dal fratello.

M.A. e D.B.R., costituitisi, eccepirono che il ricorrente aveva volontariamente lasciato loro la detenzione dell’immobile ed era altresì virtualmente decaduto dall’assegnazione;

sostennero di avere diritto a permanere nella detenzione dell’immobile, avendo sempre pagato il canone di locazione ed essendo le relative utenze intestate tutte a loro nome.

Con sentenza del 20/3/2014 il Tribunale accolse la domanda condannando M.A. al rilascio dell’appartamento in favore del fratello.

2. Tale decisione è stata confermata dalla Corte d’appello che, con la sentenza in epigrafe, ha respinto le reiterate eccezioni dei coniugi M. – D.B., condannandoli, in solido, al pagamento delle spese in favore dell’appellato.

Ha infatti rilevato per quanto ancora di interesse in questa sede che:

– gli appellanti non avevano dimostrato di avere titolo alla detenzione dell’immobile, essendo in particolare irrilevanti a tal fine le circostanze dedotte, ossia il pagamento dei canoni di locazione e la voltura delle utenze;

– per contro non poteva ritenersi che il fratello fosse decaduto dall’assegnazione, essendo questo effetto riconducibile solo ad espressa dichiarazione di decadenza da parte dell’ente gestore; al riguardo ha in particolare rilevato di non poter tener conto della copia, prodotta dagli appellanti all’udienza di discussione della causa del 22/3/2017, della determina dirigenziale n. 275 del 6/3/2017, con la quale il Comune di Barletta aveva dichiarato M.P. decaduto dall’assegnazione dell’alloggio e.r.p., trattandosi di provvedimento, bensì intervenuto successivamente all’avvio del giudizio di secondo grado, ma tuttavia non ancora definitivo e suscettibile di impugnazione da parte dell’interessato davanti al giudice amministrativo.

3. Avverso tale decisione propongono separati ricorsi, tutti sulla base di quattro motivi, in ordine cronologico: M.A., D.B.R. e M.G., quest’ultimo nella qualità di amministratore di sostegno del primo, a tale ufficio nominato con provvedimento del giudice tutelare del Tribunale di Trani in data 6/12/2017.

L’intimato non svolge difese nella presente sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. I tre ricorsi propongono quattro motivi sostanzialmente identici.

2. Con il primo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., per non avere la Corte d’appello dichiarato la carenza di legittimazione attiva in capo a M.P..

Sostengono che:

a) tale legittimazione spettava semmai al Comune di Barletta, quale unico titolare del diritto all’esercizio di azioni di rilascio per occupazione sine titulo di alloggi di edilizia residenziale pubblica;

b) peraltro, dal momento dell’introduzione del giudizio di primo grado, pur non essendo intervenuto formale provvedimento di decadenza dall’assegnazione, M.P. doveva ritenersi da essa decaduto, ai sensi della L.R. Puglia 7 aprile 2014, n. 10, art. 17, comma 1, lett. c), per avere abbandonato l’immobile per un periodo superiore a tre mesi, in assenza di preventiva autorizzazione da parte dell’ente gestore.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L.R. Puglia n. 10 del 2014, art. 17, comma 1, lett. c) e comma 3, per non avere la Corte d’appello ritenuto M.P. decaduto dal diritto di detenere l’immobile.

Lamentano che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto di non poter tener conto della determina dirigenziale n. 275 del 6/3/2017 con la quale controparte era stata dichiarata decaduta dall’assegnazione dell’alloggio.

Sostengono che tale provvedimento aveva immediata efficacia esecutiva comportando conseguentemente, ai sensi del comma 3 della citata disposizione di legge regionale, la risoluzione di diritto del contratto di locazione stipulato da controparte con l’ente gestore, senza necessità di alcuna pronuncia giudiziale costitutiva.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza per error in procedendo ed omessa motivazione, in relazione all’art. 112 c.p.c., principio della corrispondenza tra il chiesto il pronunciato”.

Lamentano omessa pronuncia sulla eccezione di difetto di legittimazione attiva opposta nel giudizio di appello e, segnatamente, nell’atto di costituzione di nuova amministratrice di sostegno depositato in data 9/2/2016.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano infine, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per non avere la Corte d’appello individuato correttamente il soggetto tenuto al pagamento delle spese processuali.

Sostengono che la relativa condanna avrebbe dovuto essere diretta nei confronti di colei ( Ma.An.) che, al momento della pronuncia di secondo grado, era amministratrice di sostegno del predetto e che, ciò non essendo avvenuto:

a) la condanna doveva ritenersi priva di effetti in quanto emessa nei confronti direttamente del rappresentato, M.A., privo della capacità di agire;

b) la stessa doveva ritenersi altresì erronea in quanto diretta nei confronti di D.B.R., per essere essa presente in giudizio non in proprio ma quale rappresentante legale di M.A..

5. Il primo motivo è manifestamente infondato, con riferimento ad entrambi i profili di doglianza con esso dedotti.

5.1. Quanto al primo – pretesa spettanza in via esclusiva all’ente gestore della legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di rilascio – premesso che esso pone in realtà non una questione di legittimazione ad agire ma di titolarità sostanziale del diritto (al rilascio dell’immobile) (v. Cass. Sez. U. n. 2951 del 2016), va osservato che, in dipendenza dell’assegnazione dell’alloggio di e.r.p., sorge tra l’ente gestore e l’assegnatario un rapporto di locazione che attribuisce a quest’ultimo il potere, proprio di ogni conduttore, di agire contro qualunque terzo che ostacoli o pregiudichi in via di fatto – come nella specie – il suo diritto di godimento (v. in tal senso già Cass. n. 5607 del 26/10/1979: “L’assegnatario di un alloggio dell’istituto case popolari, fino al momento dell’attribuzione della proprietà, ha l’identica posizione del conduttore e, pertanto, di fronte ad atti di molestia che precludano o, comunque, incidano sull’uso o sul godimento dello immobile assegnatogli, è legittimato ad agire contro il terzo; qualora, invece, la molestia si sostanzi nella pretesa di diritti sulla cosa, ha la legittimazione a resistere al terzo che agisca in via giudiziaria, ma non è legittimato ad agire nei confronti del terzo molestante e deve dare pronto avviso della molestia al locatore” (v. anche Cass. n. 2116 del 1974; Cass. n. 3295 del 1973)).

5.2. Nella seconda parte (e dunque con riferimento alla prospettata tesi della decadenza ipso iure dall’assegnazione per effetto dell’allontanamento dall’alloggio) il motivo si appalesa parimenti infondato.

Ciò deve affermarsi in virtù del principio, già in passato affermato dalla giurisprudenza di legittimità, e al quale si intende qui dare continuità, secondo cui “con riguardo ad un alloggio di edilizia residenziale pubblica, assegnato in locazione secondo la disciplina del D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, deve escludersi che l’occupante senza titolo, convenuto dall’assegnatario con azione di rilascio, possa contrastare la domanda deducendo la decadenza dell’istante dall’assegnazione e la sua facoltà di ottenere la regolarizzazione dell’occupazione di fatto in rapporto locativo, a norma dell’art. 25 del citato decreto, tenuto conto che il suddetto godimento di fatto dell’immobile, ancorchè accompagnato dalla corresponsione del canone, non costituisce di per sè titolo idoneo ad estinguere il diritto dell’assegnatario, e che inoltre esula dai poteri del giudice ordinario il sindacato, sia pure incidentale, sugli atti amministrativi attinenti all’eventuale decadenza del precedente assegnatario in relazione alla regolarizzazione prevista dal menzionato art. 25, vertendosi in tema di interventi discrezionali dei competenti organi dell’ente assegnante, a fronte dei quali non sono ravvisabili posizioni di diritto soggettivo dell’occupante medesimo” (v. Cass. n. 1214 del 1983; n. 4996 del 1979; n. 3754 del 1985).

6. Il secondo motivo è inammissibile.

L’inammissibilità discende, invero, con carattere assorbente, dal fatto che la presunta decadenza dell’assegnazione deriva, in tesi, da un provvedimento (determina dirigenziale) che si dice anche in sentenza per vero essere prodotto in copia, ma di cui i ricorrenti omettono di trascrivere, sia pure per sintesi, il contenuto e che gli stessi mancano comunque di localizzare nel fascicolo processuale, in patente violazione dell’onere di specifica indicazione imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Per le stesse ragioni esposte con riferimento al primo motivo, la doglianza si rivela comunque anche manifestamente infondata.

7. Non è poi certamente ravvisabile il vizio di omessa pronuncia dedotto con il terzo motivo, atteso che, con la conferma dell’accoglimento nel merito della domanda di rilascio, la Corte ha implicitamente disatteso l’eccezione di difetto di legittimazione ad agire e/o di titolarità del diritto azionato (v. Cass. n. 5351 del 2007; n. 10636 del 2007).

8. Le censure poste con il quarto motivo sono infine inammissibili per aspecificità e comunque infondate.

L’aspecificità è apprezzabile anzitutto in ragione del fatto che le censure non si confrontano con la sentenza, in nessuna parte della quale è detto che M.A. fosse sottoposto ad amministrazione di sostegno e fosse presente in giudizio in quanto rappresentato o assistito da amministratore di sostegno. Si dice, ben diversamente, che a costituirsi in primo grado fossero i coniugi M.A. – D.B. e che furono questi ultimi, entrambi, a proporre appello.

Nemmeno vi è menzione, nella sentenza, di una successiva costituzione, in appello, di altro soggetto (la nuova amministratrice di sostegno) in sostituzione della D.B..

Pur trattandosi, in tesi, di error in procedendo per il quale la Cassazione è giudice del fatto, restava l’onere per i ricorrenti (non assolto) di indicare specificamente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, l’atto o gli atti dai quali l’affermata diversa identificazione della parte risultava, trascrivendone il contenuto e indicandone la precisa localizzazione nel fascicolo processuale trasmesso a questa Corte (v. ex multis Cass. n. 8077 del 2012; Cass. n. 13546 del 2014).

9. Pur prescindendo dall’esposto preliminare rilievo, appare evidente comunque la speciosità della doglianza svolta da M.A..

Questi infatti, anche ammesso che, come dedotto, fosse rappresentato in giudizio da amministratore di sostegno, restava comunque la parte sostanziale della controversia e corretta dovrebbe quindi anche in tal caso considerarsi la sua identificazione quale soccombente tenuto al pagamento delle spese, non potendosi certamente considerare ragione di “inefficacia” della statuizione di condanna la mancata precisazione, in dispositivo, che si trattava di parte presente in giudizio per mezzo di rappresentante legale, nè tale omissione potendo considerarsi fonte di pregiudizi di sorta ai diritti della parte (per vero neppure dedotti).

10. In tale prospettiva, fermo l’assorbente rilievo che si è sopra premesso circa l’aspecificità della doglianza, non può nemmeno considerarsi ingiustificata la condanna in solido, alle spese, di D.B.R..

Posto che non viene nemmeno dedotto che, dopo la nomina del nuovo amministratore di sostegno, la stessa non abbia più svolto attività processuale, la sua condanna in solido alle spese troverebbe comunque giustificazione nel principio di causalità.

Come questa Corte ha infatti affermato in ipotesi analoga, in base al principio di causalità è legittima la condanna alle spese della parte che si sia costituita e abbia svolto la conseguente attività processuale malgrado la sopravvenuta perdita della legitimatio ad processum, non potendosi la stessa, in base a quest’ultima circostanza e senza che la stessa sia stata rappresentata alla parte avversa, considerare estranea alle spese che, anche con la sua resistenza, abbia causato all’altra parte, ove questa risulti vittoriosa (così Cass. n. 7625 del 30/03/2010, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto legittima la condanna alle spese pronunciata nei confronti di un genitore, convenuto in riconvenzionale nella qualità di legale rappresentante del figlio minore, il quale, a seguito del rigetto della domanda riconvenzionale in primo grado, si era costituito in appello unitamente al figlio, divenuto maggiorenne nelle more del giudizio di primo grado, resistendo all’impugnazione della controparte).

11. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese, non avendo l’intimato svolto difese.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente D.B., ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

L’attuale condizione degli altri ricorrenti ( M.A. e M.G., nella qualità) di ammessi al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza del raddoppio del contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

Tanto reputa il Collegio di dover affermare in continuità con l’indirizzo al riguardo espresso dalla giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte (v. da ultimo Cass. 11/09/2019, n. 22646; ma v. anche ex aliis cass. 22/03/2017, n. 7368; Cass. 02/09/2014, n. 18523; contra, isolata allo stato a quanto consta, Cass. n. 9660 del 2019).

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della sola D.B.R., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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