Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33759 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. III, 19/12/2019, (ud. 07/06/2019, dep. 19/12/2019), n.33759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22816/2017 proposto da:

P.A., in qualità di erede di P.M., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 20, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE CERULLI IRELLI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALEXEY COLZI;

– ricorrente –

contro

M.F., D.F.C., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA TUSCOLANA 687, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

VACCA, rappresentate e difese dagli avvocati CATERINA SILVESTRI,

GIACOMO PAILLI, LORENZO MICACCHI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 175/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 24/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

7/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALEXEY COLZI;

udito l’Avvocato FILIP BERNINI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2015 M.F. e D.F.C. intimarono lo sfratto per morosità – per il mancato pagamento del canone mensile di locazione pari ad Euro 757,76 dal dicembre 2014 al maggio 2015 (in totale Euro 4.546,56) – a P.M. e lo convennero dinanzi al Tribunale di Firenze per la convalida di detto sfratto in ordine al contratto di locazione ad uso abitativo relativo all’appartamento sito in (OMISSIS).

Il P. si oppose allo sfratto e negò la morosità, eccependo, in particolare, la nullità parziale del contratto per registrazione tardiva, con imposizione del canone legale D.Lgs. n. 23 del 2011, ex art. 3, comma 8, lett. c), all’epoca ancora applicabile D.L. n. 47 del 2014, ex art. 5, comma 1-ter, eccezione venuta meno poi con la dichiarazione di incostituzionalità, in corso di causa, di tale ultima norma.

Il conduttore, inoltre, in via subordinata, eccepì la nullità totale del contratto per carenza di forma ai sensi del L. n. 431 del 1998, art. 1, comma 4 e, conseguentemente, chiese la restituzione ex art. 2033 c.c., di quanto pagato dal settembre 2005 a titolo di canone nonchè il pagamento dell’indennità per le addizioni e le migliorie apportate all’immobile durante la sua occupazione.

Le locatrici contestarono la sussistenza della nullità totale, affermando che il contratto era sorto nel 1985 nel vigore della L. n. 392 del 1978, con un precedente conduttore, al quale il P. era subentrato solo per mera novazione soggettiva; inoltre, contestarono tutte le altre opposte difese.

Il Giudice adito rigettò l’istanza di rilascio provvisorio e mutò il rito, con concessione del termine per le memorie integrative, che entrambe le parti depositarono.

Il P. rinunciò alla domanda sull’indennità per addizioni e migliorie.

Il Giudice adito decise la causa con la sentenza a verbale n. 1320/2016, con la quale dichiarò la nullità totale del contratto di locazione poichè stipulato in forma orale, condannò il conduttore a restituire il bene, rigettò le ulteriori domande attoree e le domande riconvenzionali del convenuto; rigettò, in particolare, la domanda riconvenzionale, proposta da P.M., di ripetizione ex art. 2033 c.c., dei canoni pagati, affermando che “i pagamenti effettuati dal P. costituivano, di fatto, un corrispettivo per godimento dell’immobile e, quindi, tali corresponsioni di denaro trovano la loro giustificazione quale indennità corrisposta per l’occupazione senza titolo dell’abitazione” e condannò il conduttore alle spese di lite.

Avverso tale decisione il P. propose appello, cui resistettero M.F. e D.F.F., che avanzarono, a loro volta, appello incidentale.

In particolare il P., in sede di appello, sostenne che: 1) erroneamente era stata rigettata la domanda riconvenzionale di ripetizione di indebito oggettivo, ossia dei canoni pagati senza titolo, evidenziando che: a) nessuna domanda di indennità d’occupazione per arricchimento senza causa era stata ex adverso proposta, b) la dichiarata nullità del contratto di locazione imponeva al giudice di disporre la restituzione delle somme pagate a titolo di canone in base a tale contratto, c) equiparando aprioristicamente l’indennità di occupazione al canone, il Tribunale aveva violato l’art. 1591 c.c., d) in ogni caso, tale indennità avrebbe dovuto essere calcolata a mezzo di c.t.u. e quantificata nella misura del canone concordato; 2) erroneamente era stata rigettata la domanda riconvenzionale subordinata di arricchimento senza giusta causa, così consentendo alla parte locataria di trattenere le somme corrisposte a titolo di canoni, nonostante la nullità del contratto, invece di condannarla alla restituzione della differenza con la giusta indennità di occupazione, costituente ingiustificato arricchimento; 3) andava riformato il capo della sentenza impugnata sulle spese, che al più dovevano essere compensate per soccombenza reciproca.

Le appellate si costituirono eccependo l’inammissibilità del gravame? del quale chiesero, comunque, il rigetto; con appello incidentale chiesero la modifica della sentenza appellata nella parte in cui era stata dichiarata la nullità del contratto, ribadendo che vi era stata novazione soggettiva di un contratto di locazione già intercorrente con tale C. e che il contratto doveva, pertanto, essere dichiarato valido ed efficace e andava risolto per grave inadempimento del conduttore, con condanna di quest’ultimo al pagamento di Euro 12.881,92; che fondata era la domanda avanzata in via subordinata di pagamento della medesima somma a titolo di indennità di occupazione per il periodo dicembre 2014 aprile 2016 (precisando che il P. aveva liberato l’immobile in data 26 aprile 2016) e che la domanda proposta al riguardo non era tardiva perchè avanzata nella memoria integrativa, da interpretarsi in senso sostanziale.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 175/2017, pubblicata il 24 febbraio 2017, rigettò l’appello incidentale e accolse quello principale solo in parte e limitatamente alle spese del primo grado, che compensò per 1/4 tra le parti e pose per i residui 3/4 a carico di P.M.; compensò interamente le spese del grado di appello.

Avverso la sentenza della Corte di merito P.A., in qualità di erede del padre P.M., deceduto il (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due molto articolati motivi (in realtà nove motivi).

Hanno resistito con controricorso M.F. e D.F.C..

Sia il ricorrente che le controricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha precisato di censurare la sentenza impugnata nella parte in cui rigetta la domanda, proposta dal conduttore, di ripetizione dei canoni e accoglie, invece, l’eccezione di compensazione delle locatrici e ha, quindi, articolato i motivi appresso indicati.

2. Con un primo gruppo di motivi, dei quali si ripete la numerazione riportata in ricorso, si deduce quanto pure appresso indicato, tenendo conto della sintesi degli stessi mezzi operata proprio dal ricorrente.

A) Con il motivo rubricato “1.1) Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di proposizione delle eccezioni non rilevabili

d’ufficio, dell’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c. e loro combinato disposto; violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (pagine 12-15)”, si deduce la “mancanza di proposizione di un’eccezione per omessa indicazione dello specifico titolo di compensazione”, sostenendosi che “non è sufficiente eccepire in compensazione un generico diritto all’indennità d’occupazione poichè nel nostro ordinamento con tale termine si fa riferimento alle diverse ed incompatibili discipline contrattuale ex art. 1591 c.c., extracontrattuale ex art. 2043 c.c. e di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.”.

b) Con il motivo rubricato “1.2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. e loro combinato disposto; violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, si denuncia la “mancanza di espressa e specifica proposizione di un’eccezione di compensazione per arricchimento ex art. 2041 c.c.”.

C) Con il motivo rubricato “1.3) Vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per motivazione apparente; violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4″, si lamenta l'”assoluta mancanza in sentenza di qualificazione dell’eccezione di compensazione assunta come proposta da controparte, mancando totalmente qualsiasi riferimento all’indicazione di un titolo compensativo” e la “motivazione apparente”.

D) Con il motivo rubricato “1.4) Vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo; violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4″, si deduce l'”omesso esame integrale dell’eccezione di compensazione per indennità di occupazione avanzata dalle Locatrici in memoria integrativa ex 667 c.p.c., esame che invece avrebbe rilevato che quest’ultime non avevano opposto in compensazione il diritto all’indennizzo ex art. 2041 c.c., bensì solo quello ex art. 1591 c.c., infondato in presenza di contratto nullo”.

3. Il primo gruppo di motivi risulta infondato, evidenziandosi che le censure con lo stesso sollevate ben possono essere congiuntamente esaminate, essendo strettamente connesse.

3.1. Ed invero la Corte di merito ha correttamente evidenziato che le locatrici, nella memoria integrativa ex artt. 667 e 426 c.p.c., avevano tempestivamente proposto l’eccezione di “compensazione” volta a paralizzare la richiesta di restituzione dei canoni versati; nè può ritenersi che tale eccezione sia inammissibile perchè non specifica, come sostenuto dal ricorrente, atteso che la stessa va contestualizzata e le ricorrenti, nel proporla, hanno espressamente fatto riferimento alla detenzione sine titulo del bene immobile, sicchè l’eccezione in parola non può essere considerata generica.

Inoltre, tale eccezione risulta essere stata, pertanto, sia pure implicitamente, correttamente qualificata dalla Corte territoriale ex art. 2041 c.c., laddove si fa riferimento “all’obbligo di pagamento di una indennità di occupazione da parte del P., sorgente dalla prestazione di cui ha comunque beneficiato” (v. sentenza impugnata p. 6), con motivazione che, pur estremamente sintetica, non può ritenersi apparente, soprattutto se considerata nel suo complesso.

Peraltro, è lo stesso ricorrente a sostenere che l’eccezione ex art. 2041 c.c. sarebbe “l’unica accoglibile in astratto” (v. ricorso p.17); nè, contrariamente all’assunto di P.A., può ritenersi che le parole “salvo il maggior danno”, contenute nella memoria integrativa già richiamata delle locatrici e non riportate nella sentenza impugnata, siano incompatibili con un’eccezione sollevata ex art. 2041 c.c., non sussistendo ragioni idonee a suffragare una siffatta tesi, sicchè non sussiste, comunque, la decisività del “fatto” il cui esame si assume omesso, evidenziandosi, del resto, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. 14/06/2017, n. 14802) o di richieste delle parti, che, in sostanza, costituiscono il “fatto” di cui si lamenta l’omesso esame nel caso in scrutinio.

A quanto precede va aggiunto che questa Corte ha già avuto da tempo modo di affermare e ha di recente ribadito che “Qualora un contratto di locazione sia dichiarato nullo, pur conseguendo in linea di principio a detta dichiarazione il diritto per ciascuna delle parti di ripetere la prestazione effettuata, tuttavia la parte che abbia usufruito del godimento dell’immobile non può pretendere la restituzione di quanto versato a titolo di corrispettivo per tale godimento, in quanto ciò importerebbe un inammissibile arricchimento senza causa in danno del locatore (nella specie dichiarato nullo, per mancanza delle prescritte autorizzazioni, il contratto di locazione di un alloggio di cooperativa edilizia a contributo statale, stipulato tra il socio assegnatario ed un terzo, il giudice del merito accoglieva la domanda di quest’ultimo di ripetizione dei canoni erogati. La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio detta sentenza affermando il suesteso principio)” (Cass. 3/05/1991, n. 4849; v. anche Cass. 6/05/1966, n. 1168 e di recente Cass., ord., 12/02/2019 n. 3971).

Inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 17/09/2015, n. 18214, hanno pure precisato in motivazione (v. p. 8.1.) che, in caso di nullità del contratto di locazione ad uso abitativo, “il locatore potrà agire in giudizio per il rilascio dell’immobile occupato senza alcun titolo, e il conduttore potrà ottenere la (parziale) restituzione delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone “concordato” – poichè la restituzione dell’intero canone percepito dal locatore costituirebbe un ingiustificato arricchimento dell’occupante”.

4. Con il secondo gruppo di motivi, riportati di seguito con le modalità già indicate nel p. 2, si lamenta quanto segue.

A) Con il motivo rubricato “2.1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 c.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. e dei principi generali in materia di nullità contrattuale, violazione e falsa applicazione del combinato disposto delle suindicate norme”, si deduce che “qualora fosse ritenuta formulata idonea eccezione di compensazione per indennità d’occupazione ex art. 1591 c.c., è errata la sentenza per palese infondatezza dell’eccezione in quanto, per regolare gli effetti del contratto nullo di locazione, non può chiedersi l’indennità in base ad una norma contrattuale quale quella dell’art. 1591”.

B) Con il motivo rubricato “2.2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi e dei principi in materia di analogia; violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. e dei principi generali in materia di nullità contrattuale; violazione e falsa applicazione del combinato disposto delle suindicate norme”, si assume che, “qualora fosse ritenuta formulata idonea eccezione di compensazione per indennità d’occupazione ex art. 2041 c.c. (…) risulta errato applicare in via analogica i criteri di quantificazione dell’indennità ai sensi art. 1591 c.c.; in primis perchè non vi è lacuna normativa essendo indicati nello stesso art. 2041 c.c., i criteri di quantificazione ed inoltre poichè non può ritenersi simile od analoga la materia contrattuale rispetto a quella dell’arricchimento senza causa, essendo la seconda disciplina residuale e quindi incompatibile con la prima. Palese dunque anche la violazione dell’art. 2042 c.c., così come dei principi della nullità negoziale poichè indirettamente si regolerebbero gli effetti di un contratto nullo con una norma contrattuale”.

C) Con il motivo rubricato “2.3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.; vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per mancanza assoluta di motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. e dei principi generali in materia di nullità contrattuale; violazione e falsa applicazione del combinato disposto delle suindicate norme”, si sostiene che, “qualora fosse ritenuta formulata idonea eccezione di compensazione per indennità d’occupazione ex art. 2043 c.c. (…) è errata la sentenza per palese infondatezza dell’eccezione non sussistendo e comunque non risultando in alcun modo dalla sentenza, nessuno degli elementi costituitivi la responsabilità aquiliana. Comunque il danno extracontrattuale deve essere provato e non può utilizzarsi il criterio, presuntivo della disposizione contrattuale dell’art. 1591 c.c.”.

D) Con il motivo rubricato “2.4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. e l’eccezione di compensazione per indennità d’occupazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4” si deduce che, “qualora fosse ritenuta formulata idonea eccezione di compensazione per indennità d’occupazione (…) risultano comunque errat(e) la presuntiva quantificazione dell’indennità ex art. 1591 c.c., pari al canone pagato e l’attribuzione dell’onere della controprova al Conduttore di una diversa quantificazione dell’indennità poichè violato l’art. 2697 c.c., che impone l’onere probatorio a chi eccepisce un fatto impeditivo (come appunto un diritto in compensazione)”.

E) Con il motivo rubricato “2.5) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 194 c.p.c. e dei principi in materia di consulenza tecnica d’ufficio, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4″, si lamenta l'”errata quantificazione dell’indennità d’occupazione, poichè l’indennità di occupazione a fronte di contratto nullo è stata indicata dalle Sezioni Unite (sent. n, 18214 del 2015) pari al canone legale c.d. concordato L. n. 431 del 1998, ex art. 2; ingiusto il diniego all’istanza di CTU poichè la richiesta non esplorativa essendo la stima di un canone legale o comunque di un effettivo valore locatizio valutazioni tecniche non provabili dalle parti”.

5. Anche le censure proposte con il secondo gruppo di motivi, essendo strettamente connesse, ben possono essere congiuntamente esaminate e sono infondate.

5.1. Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha evidenziato che il P. – cui spettava il relativo onere probatorio – non ha indicato alcun elemento da cui ricavare che la somma versata mensilmente non potesse essere equiparabile alla giusta indennità di occupazione ed ha ritenuto di far riferimento per la quantificazione di detta indennità ai criteri di cui all’art. 1591 c.c..

Risulta evidente che quella Corte ha correttamente fatto riferimento all’art. 1591 c.c., come mero criterio equitativo per procedere alla quantificazione dell’indennità di occupazione sine titulo, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, e ha, quindi, ritenuto di determinare tale indennità equiparandola al canone di locazione astrattamente ricavabile dal bene oggetto dell’occupazione, sottolineando, in base ad un giudizio di fatto incensurabile in questa sede, che “il P., il quale ha pagato dal 2006 al 2014 la medesima somma senza alcun incremento per svalutazione, non indica alcun elemento dal quale ricavare che la somma versata mensilmente non possa essere equiparabile alla giusta indennità di occupazione”.

Quella Corte ha, altresì, motivatamente escluso di dover disporre al riguardo ad una consulenza tecnica, così facendo corretta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte sul punto (Cass., ord., 8/02/2011, n. 3130; Cass., ord., 15/12/2017, n. 30218), evidenziando che, “in assenza di qualsiasi allegazione sulla

sproporzione oggettiva tra quanto versato e quanto attribuibile equitativamente a titolo di indennità di occupazione, il Giudice non può supplire alla attività assertiva mediante l’ammissione di una ctu che si presenterebbe come del tutto esplorativa”.

Neppure sussistono le lamentate violazioni di legge per non aver quantificato la Corte di merito l’indennità di occupazione nella misura del canone legale cd. “concordato” ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 2, commi 3, 4 e 5, come pure sostenuto dal ricorrente, atteso che, nella specie, neppure risulta essere stata dedotta dal conduttore – cui incombeva il relativo onere probatorio – l’esistenza di accordi territoriali e neppure sono stati indicati dal predetto i criteri e i parametri in tali accordi previsti onde poter stabilire, in concreto, l’entità di un eventuale “canone concordato”.

6. L’esame di ogni ulteriore questione pure proposta dalle parti resta assorbito da quanto precede.

7. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

8. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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