Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33755 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 18/12/2019), n.33755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7929-2016 proposto da:

HOTEL LUCY DI S.G. & C SNC, in persona del

rappresentante legale, con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli Avvocati ALESSANDRO TOMMASEO PONZETTA, GIOVANNI PAOLO

BALLARIANO, VIA DELLA VALVERDE 25 (ex art. 135), giusta procura in

calce;

– ricorrente –

contro

VERITAS SPA, in persona del Presidente del C.d.A., elettivamente

domiciliata in ROMA VIA UGO DE CAROLIS 34B, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANDREA PASQUALIN, giusta procura a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2869/2015 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata

il 09/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2019 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del primo e del

secondo motivo, inammissibilità del terzo e quarto motivo;

udito per il controricorrente l’Avvocato PASQUALIN che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. La società Hotel Lucy di S.G. & C. s.nc.c. impugnava la fattura n. (OMISSIS) del 18.07.2011 emessa dalla società V.E.R.I.T.AS., società concessionaria designata per la riscossione dal Comune di Venezia, al fine di accertare la correttezza della tariffazione applicata ai fini T.I.A., chiedendo di accertare che le superfici dei locali ascrivibili all’esercizio alberghiero assommavano complessivamente a mq. 356,00, con esclusione delle aree scoperte e delle aree destinate a magazzini, ed anche di disapplicare l’art. 10 del regolamento comunale rispetto al dettato del D.P.R. n. 158 del 1999, art. 6, che prescrive l’applicazione di una unica categoria tariffaria alle utenze non domestiche.

Il Giudice di pace di Venezia accoglieva parzialmente il ricorso, accertando che la superficie tassabile assommava a mq. 451,10, al netto delle mura perimetrali e affermando l’applicabilità della tariffa per l’unica utenza, tenuto conto dell’attività principale espletata.

Impugnavano la prima decisione entrambe le parti.

Il Tribunale di Venezia riformava la sentenza di primo graso statuendo la legittimità della parametrazione della tariffa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa e delle tariffe applicate ai locali magazzini e alle scoperte.

Aggiungeva che la domanda attorea in primo grado concerneva esclusivamente la questione delle aree da non includere nella tariffazione e, precisamente, faceva riferimento alle aree coperte ed ai magazzini, mentre non censurava la misurazione della superficie, escludendo dunque qualsiasi rilievo ai rilevamenti effettuati in contraddittorio nel giudizio di primo grado.

Avverso la sentenza n. 2869/2016 del tribunale di Venezia depositata il 9.09.2015, l’ente contribuente ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi

La società V.E.R.I.T.A.S. si è difesa con controricorso, illustrato con memorie difensive del 18.10.2019.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI DIRITTO

2. Con il primo motivo di ricorso, che deduce violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, commi 1, 2, 3, 6, 11, nonchè del D.P.R. n. 158 del 1999, art. 6 e allegato 1, punti 4.3.4.4. nonchè violazione dell’art. 12 disp. gen. ex art. 360 c.p.c., n. 3), la contribuente censura la sentenza impugnata per avere il decidente ritenuto la legittimità dell’applicazione di importi relativi a più categorie tariffarie a quantitativi parziali di superfici dell’intero complesso adibito ad albergo, sostenendo che, al contrario, l’art. 6 cit. in rubrica stabilisce che la parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza relativa alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa.

3. Con la seconda censura che lamenta violazione dell’art. 2687 c.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3), la contribuente censura la pronuncia impugnata per avere il giudice d’appello gravato il contribuente dell’onere di dimostrare che nei locali adibiti a magazzini-depositi non venissero prodotti rifiuti, dimenticando il giudice di seconde cure che la TIa 2 è correlata alla effettiva produzione di rifiuti e non alla potenziale produzione degli stessi.

4. Con il terzo motivo che deduce violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 221 ex art. 360 c.p.c., n. 3), la ricorrente lamenta che la sentenza abbia considerato tra le aree produttive di rifiuti anche i locali destinati a stivaggio – magazzini – depositi, dove si producono imballaggi che sono a carico esclusivo del Conai e dei produttori, i quali ai sensi del D.P.R. n. 158 del 1999 punto 2.1 non sono inclusi nei costi relativi alla raccolta dei rifiuti.

5. Con il quarto mezzo si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c.ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il decidente omesso di esaminare un punto decisivo della controversia, quale l’esatta individuazione delle misure delle superficie dei locali e delle aree scoperte e pertinenziali, per avere il decidente escluso che nel thema decidendum originario fosse compresa una censura in ordine alla correttezza delle misurazioni, quanto piuttosto quella relativa alla inclusione di alcuni locali- magazzini, delle aree scoperte e dell’area coperta destinata a bar. 6.1 I primo motivo di ricorso è fondato.

7. Occorre premettere che la Tariffa oggetto del motivo di ricorso, applicata dalla V.E.R.I.T.A.S. nell’anno 2011 a seguito dell’adozione di apposito regolamento ed in forza della relativa facoltà concessa ex lege, altro non è che la TIA2 disciplinata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, ed oggetto della interpretazione autentica di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, conv. dalla L. n. 122 del 2010.

E’ bene, inoltre ripercorrere gli interventi legislativi che si sono susseguiti nella materia.

Il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (istitutivo della tariffa di igiene ambientale, c.d. Tia 1), all’art. 49 prevedeva: “La tassa per lo smaltimento dei rifiuti di cui al Testo unico della finanza locale, approvato con R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, Titolo III, Capo XVIII, sezione II, come sostituito dal D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 21 ed al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, Capo III, è soppressa a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio, disciplinato dal regolamento di cui al comma 5, entro i quali i comuni devono provvedere alla integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa di cui al comma 2”.

La L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 33, prevedeva: “Al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, dopo il comma 1 è inserito il seguente: “1-bis. Resta, comunque, ferma la possibilita, in via sperimentale, per i comuni di deliberare l’applicazione della tariffa ai sensi del comma 16″”.

Dalle norme riportate si evince che: a) la Tarsu è stata soppressa dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, istitutivo della tariffa di igiene ambientale, c.d. Tia 1; b) i comuni erano facoltizzati a deliberare in via sperimentale l’applicazione della tariffa di igiene ambientale; c) il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238 (istitutivo della Tia 2) ha abrogato la tariffa prevista dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, a far data dal 29 aprile 2006, data di entrata in vigore del provvedimento; d) sino alla emanazione delle norme attuative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, istitutivo della Tia 2 continuavano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 11).

Il D.P.R. aprile 1999, n. 158 (Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani), costituiva fonte normativa primaria volta a disciplinare l’attività normativa degli enti locali nella determinazione della tariffa prevista dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, non più in vigore.

Il ricordato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 (Codice dell’Ambiente), che ha istituito la nuova “tariffa” sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, ha previsto, al comma 1, che “La tariffa di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.”, il quale recita che “Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti.”. che il D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 2 quater, convertito dalla L. n. 13 del 2009, ha altresì disposto che, “Ove il regolamento di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 6, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (entro il 30 giugno 2010), i comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti.”, per cui si è prevista per gli Enti locali possono continuare ad applicare le tariffe adottate con i regolamenti comunali alla stregua delle disposizioni vigenti all’epoca della loro adozione.(Cass., 04/12/2018, n. 31286; Cass., 13/07/2017, n. 17271).

7. Ancora, la medesima disposizione prevede: “Chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa. La tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dal D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 15.

La tariffa di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.

La tariffa per la gestione dei rifiuti è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali…. La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonchè da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio”.

8. Ebbene, il presupposto del prelievo è il possesso o la detenzione di aree o locali che producano rifiuti urbani; non è necessario per l’insorgenza dell’obbligo del pagamento l’effettiva produzione di rifiuti, ma per l’appunto la sola disponibilità delle aree. A sostegno di detta interpretazione sovvengono il comma 2 della norma in commento, a mente della quale la tariffa è articolata sulla base delle quantità e qualità medie ordinarie dei rifiuti prodotti per unità di superficie, determinati in funzione di appositi parametri regolamentari: il che dimostra che la tariffa è parametrata alle medie e non alla reale produzione; inoltre il comma 7 stabilisce che nella determinazione delle tariffe possono essere stabilite agevolazioni relative alle utenze stagionali, il che avvalora che se la tariffa fosse effettivamente correlata alla reale produzione, il legislatore avrebbe fatto riferimento al termine “riduzioni” e non “agevolazioni”.

Infine, l’art. 238 cit. demanda ad un futuro regolamento il compito di stabilire i criteri di determinazione della Tia 2, pur restando ferma la composizione della Tia 1 in quota fissa rappresentativa delle spese generali degli investimenti, e in quota variabile, rappresentativa del grado di fruizione del servizio pubblico, in funzione della produttività dei rifiuti dell’operatore.

Detto regolamento, come già evidenziato, non è stato mai adottato, mentre la L. n. 25 del 2010 ha consentito ai Comuni, a partire dal 2011, di istituire la Tia2 sulla base delle disposizioni legislativi e regolamentari vigenti.

9. Tali riferimenti normativi possono individuarsi sia nel medesimo art. 238 cit. sia nel D.P.R. n. 158 del 1999, il quale prevede, nelle more di attivazione di sistemi di misurazione di rifiuti prodotti, l’applicazione di indici di produttività medi di rifiuti, senza garantire una precisa corrispondenza tra importo da pagare e servizio reso.

Il ricorrente sostiene che, nella fattispecie, non avrebbe alcun fondamento la rilevata necessità di differenziare il trattamento tributario, disarticolando la categoria omogenea individuata (esercizio alberghiero), in ragione della destinazione riservata a specifici spazi (il bar), posto che la legittimità del prelievo tariffario deve correlarsi ai costi del servizio (discriminati in base alla loro classificazione economica).

10. Il criterio legale di commisurazione delle tariffe alla produzione media di rifiuti (effettiva o potenziale), qual emergente dal dettato normativo nazionale, ha trovato riscontro anche nella giurisprudenza unionale che, come già rilevato da questa Corte (v. Cass., 15/03/2019, n. 7437; Cass., 04/04/2018, n. 8308), ha statuito che:

– risultando “spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun “detentore””, “ricorrere a criteri basati, da un lato, sulla capacità produttiva dei “detentori”, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano nonchè della loro destinazione e/o, dall’altro, sulla natura dei rifiuti prodotti, può consentire di calcolare i costi dello smaltimento di tali rifiuti e ripartirli tra i vari “detentori”, in quanto questi due criteri sono in grado di influenzare direttamente l’importo di detti costi.”;

– “Sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento della gestione e dello smaltimento dei rifiuti urbani, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito non può essere considerata, allo stato attuale del diritto comunitario, in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12”;

– “il principio “chi inquina paga” non osta a che gli Stati membri adattino, in funzione di categorie di utenti determinati secondo la loro rispettiva capacità a produrre rifiuti urbani, il contributo di ciascuna di dette categorie al costo complessivo necessario al finanziamento del sistema di gestione e di smaltimento dei rifiuti urbani.”;

– “… al fine del calcolo di una tassa sullo smaltimento dei rifiuti, una differenziazione tributaria fra categorie di utenti del servizio di raccolta e di smaltimento di rifiuti urbani, alla guisa di quella operata dalla normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale fra le aziende alberghiere e i privati, in funzione di criteri obiettivi aventi un rapporto diretto col costo di detto servizio, quali la loro capacità produttiva di rifiuti o la natura dei rifiuti prodotti, può risultare adeguata per raggiungere l’obiettivo di finanziamento di detto servizio.”;

– “Anche se la differenziazione tributaria così operata non deve andare al di là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo di finanziamento, va tuttavia sottolineato che, nella materia in esame e allo stato attuale del diritto comunitario, le competenti autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto concerne la determinazione delle modalità di calcolo di siffatta tassa.” (Corte di Giustizia, 16 luglio 2009, Futura Immobiliare srl e a., causa C- 254/08, punti 49 ss.),

11. Una volta legittimamente individuata la categoria degli esercizi alberghieri, quale categoria che non può che essere oggetto di considerazione unitaria siccome espressiva di una “omogenea potenzialità di rifiuti”, in quanto tale distinta da quella riferibile agli immobili ad uso abitativo, non pare che possa acquisire rilevanza la distinzione, nell’ambito dell’esercizio alberghiero, tra zone più o meno produttive di una maggiore quantità di rifiuti, posto che il sopra richiamato principio di legittimità deve intendersi riferito all’esercizio dell’attività alberghiera nel suo complesso.

D’altra parte la disposizione regolamentare citata dalla intimata non risulta essere stata oggetto di discussione nel giudizio di merito, tantè che la decisione impugnata perviene alle conclusioni censurate esclusivamente sulla base delle disposizioni normativi ritenute applicabili, senza alcun riferimento alle disposizioni regolamentari.

Del resto, è anche dalla gestione, e pulizia, delle camere dell’albergo che deriva la maggiore quantità di rifiuti prodotti; e, considera la Corte, non è dato rinvenire, nel sistema, alcuna disposizione che distingua all’interno della struttura ricettiva zone produttive di rifiuti in misura differenziata, come avviene, ad esempio, per gli stabilimenti industriali.

12. La seconda censura è destituita di fondamento.

Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di tarsu, il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, nel disporre che la tassa “è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali, che producano rifiuti urbani” pone una presunzione relativa di tassabilità, in forza della quale, costituendo le successive esenzioni un’eccezione alla regola generale di assoggettamento di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale in cui il servizio di raccolta è istituito o attivato, l’onere della prova, circa l’esistenza e la delimitazione delle superfici per le quali il tributo non è dovuto, grava su chi ritiene di avere diritto all’esenzione, e non sull’amministrazione del comune (v. per tutte Cass. n. 15083/2004; n. 4766/2004).

Tale principio rileva anche in materia di Tia, perchè in tal senso depone lo specifico regime delineato dall’art. 238 cit. Il quale ha invero previsto che “la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale”, e, ancora che: “La tariffa per la gestione dei rifiuti è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali” salva l’applicazione sulla stessa, così come determinata dagli enti locali, di un ” coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi” (comma 11)(v. Cass. n. 3756/2012).

Nella specie, non risulta che la contribuente abbia eccepito il mancato svolgimento del servizio da parte del Comune e la conseguente necessità di provvedere autonomamente allo smaltimento dei propri rifiuti, nè essa ha dimostrato di produrre rifiuti speciali non assimilati. Relativamente alla superficie ritenuta tassabile incombe, difatti, all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame – quanto al presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile. Ponendosi tale esclusione quale eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004, 13086 del 2006,17599 del 2009, 775 del 2011).

Del resto, il D.P.R. n. 158 del 1999, all’art. 7 prevede non già l’esenzione dall’imposta, ma soltanto una sua riduzione nel caso in cui i rifiuti speciali assimilati a quelli urbani (come quelli in esame) vengano avviati a recupero direttamente dal produttore, purchè il servizio sia istituito e sussista la possibilità dell’utilizzazione (il D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2, prevede testualmente che “per le utenze non domestiche, sulla parte variabile della tariffa è applicato un coefficiente di riduzione, da determinarsi dall’ente locale, proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato a recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua”).

L’assunto, contenuto nella sentenza impugnata, secondo il quale il contribuente non ha fornito alcuna dimostrazione che i magazzini non producessero rifiuti, avendo svolto mere prospettazioni non corroborate da elementi probatori, e dunque conforme ai principi giuridici e giurisprudenziali formatisi in tema di tasse o corrispettivi sui rifiuti(Cass. 2019/20972; Cass. n. 9790/2018; Cass. n. 17622/2017; Cass. n. 19469/2014; Cass. n. 3772/2013).

13. La terza censura è inammissibile, in quanto che presuppone la proposizione delle relative questioni già nella fase di merito, in primis, nel giudizio di prime cure.

Il ricorrente che proponga una questione ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione nel giudizio di appello ed anche di indicare in quale atto processuale del giudizio precedente, in modo da consentire alal corte l’accertamento ex actis della veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 16502/2017, in motiv; n. 9138/2016).

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 – 1, 09/07/2013 n. 17041; n. 25319/2017; n. 907/2018).

La questione della produzione di imballaggi a carico esclusivo del CONAI non risulta affatto prospettata dalla ricorrente, mentre il decidente ha escluso la non tassabilità dei magazzini, in quanto notoriamente – a meno della prova contraria – essi producono imballaggi, prodotti di scolamento e scoli della pulizia.

Ebbene, non risulta nè dalla sentenza nè dal ricorso che l’ente contribuente abbia invocato l’esclusione della tassazione per le aree destinate alla produzione prevalente di imballaggi, i quali sono stati citati, tra gli altri rifiuti, dal giudice di appello, al solo fine di negare l’esclusione della tassazione.

14. L’ultima censura è parimenti inammissibile.

In disparte il rilievo che la ricorrente aveva l’onere di indicare in quale atto processuale del giudizio precedente era stata formulata, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, l’allegazione della domanda relativa alla correttezza delle misurazioni, in modo da consentire alla corte l’accertamento ex actis della veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 16502/2017, in motiv; n. 9138/2016), la censura non concerne l’omesso esame di un fatto storico, da intendersi principale o secondario, bensì la valutazione di deduzioni difensive o motivi di ricorso, non inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 neppure nella formulazione ante riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (ex plurimis, Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053). Al riguardo, questa Corte ha chiarito che il “fatto” ivi considerato è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 24035/2018; Cass. n. 21152/2014; Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 5 24092/2013; Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 3668/2013).

Il ricorso va pertanto accolto con riferimento alla prima censura, respinto il secondo e dichiarati inammissibili gli altri motivi; con conseguente cassazione della decisione impugnata e rinvio al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, che dovrà individuare la tariffa applicabile alla ricorrente alla luce dei principi esposti.

P.Q.M.

La Corte:

– Accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il secondo e dichiarati inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia al tribunale di Venezia in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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