Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33752 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 18/12/2019), n.33752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2833-2018 proposto da:

N.G., con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’Avvocato FRANCESCA SCARPA, giusta procura in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FISCIANO, in persona del Sindaco pro tempore e legale

rappresentante, con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato LUCREZIA RISPOLI, giusta procura in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5222/2017 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 09/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2019 dal Consigliere Dott. CAPRIOLI MAURA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi per il ricorrente gli Avvocati CARUSO e LABONI per delega

dell’Avvocato SCARPA che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato RISPOLI che ha chiesto il

rigetto del ricorso con condanna alle spese.

Fatto

Con sentenza nr 5222/2017 la CTR della Campania, sez. distaccata di Salerno, rigettava l’appello proposto da N.G. nei confronti del Comune di Fisciano avverso la sentenza nr. 6548/2015 con cui la CTP di Salerno aveva rigettato gli avvisi di accertamento Tarsu emessi dal predetto Comune relativamente agli anni di imposta 2009,2010 e 2011.

Rilevava il Giudice di appello che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, commi 2 e 3.

Onere questo che nella specie non era stato soddisfatto dall’appellante che non aveva prodotto documentazione idonea a dimostrare la sussistenza delle cause oggettive di non utilizzabilità.

Evidenziava per di più che l’immobile risultava accatastato quali cat. “C6” il 15.9.2005 sicchè tale dato dimostrava la concreta possibilità di utilizzo del bene.

Avverso tale decisione N.G. propone ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo cui resiste con controricorso il Comune di Fisciano.

La ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, dolendosi del mancato ingresso della c.t.u. che a suo avviso avrebbe rappresentato l’unico mezzo di accertamento di un fatto determinante ed in relazione al quale era stata omessa la motivazione su un punto considerato decisivo della controversia.

Il Comune ha depositato memoria illustrativa.

La censura rivela diffusi profili di inammissibilità

La ricorrente avrebbe dovuto riprodurre in modo specifico il “motivo” di gravame sul quale sarebbe stata omessa ogni pronuncia, ottemperando a quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Non osta, del resto a tale esito la constatazione che il motivo si sostanzia – “in parte qua” – nella deduzione di un “error in procedendo” (rispetto ai quali questa Corte è anche giudice del “fatto processuale”, con possibilità di accesso diretto agli atti del giudizio; da ultimo, Cass. Sez.6- 5, ord. 12 marzo 2018, n. 5971, Rv. 647366-01; ma nello stesso senso già Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01).

Trova, infatti, applicazione il principio – al quale va data, qui, continuità secondo cui la “deduzione con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3 2019 nr. 10422; ord. 13 marzo 2018, n. 6014, Rv. 648411-01).

In particolare, è stato ritenuto “inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte” (Cass. Sez. 2, sent. 20 agosto 2015, n. 17049, Rv. 636133-01).

Si tratta, peraltro, di un’esigenza, questa dell’autosufficienza del ricorso, che come è stato icasticamente osservato – “non è giustificata da finalità sanzionatorie nei confronti della parte che costringa il giudice a tale ulteriore attività d’esame degli atti processuali, oltre quella devolutagli dalla legge”, ma che “risulta, piuttosto, ispirata al principio secondo cui la responsabilità della redazione dell’atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell’individuazione di quali atti o parti di essi siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 gennaio 2012, n. 82, Rv. 621100-01).

Va inoltre osservato che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di una istanza istruttoria.

Il motivo è comunque infondato nel merito.

Stabilisce il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62 (norma alla quale si conforma il regolamento comunale) che (comma 1): “La tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in via continuativa nei modi previsti dagli artt. 58 e 59, fermo restando quanto disposto dall’art. 59, comma 4. (…)”; e che (comma 2): “Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perchè risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione”.

La disciplina fondamentale del tributo prevede dunque espressamente l’ipotesi di esenzione dalla tassa dei locali e delle aree che non possono produrre rifiuti in ragione della loro natura o della loro stabile destinazione; ciò, però, a condizione che tali circostanze fattuali siano denunciate dal contribuente e, in caso di contestazione da parte dell’amministrazione comunale, da lui provate in base “ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione”.

Risulta dunque che quando il giudice di appello ha, da un lato, richiamato la presunzione legale di generale produttività dei rifiuti da parte degli immobili detenuti (e quindi di tassabilità) assumendo, dall’altro, che tale presunzione non era stata superata dal contribuente sul quale gravava il relativo onere, altro non ha fatto che correttamente applicare al caso concreto la disciplina legislativa e regolamentare di riferimento.

Si è in proposito più volte stabilito che: “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 1, pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicchè, ai fini dell’esenzione dalla tassazione prevista dall’art. 62 cit., comma 2, per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per loro natura o per il particolare uso, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione” (Cass. ord. n. 19469/14); e, inoltre, che: “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, per quelle aree detenute od occupate aventi specifiche caratteristiche strutturali e di destinazione, atteso che il principio, secondo il quale è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, costituendo l’esenzione, anche parziale, un’eccezione alla regola generale del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito con cui era stato escluso l’assoggettamento al tributo in considerazione della mera destinazione dell’immobile ad autorimessa, in assenza del concreto accertamento dell’improduttività di rifiuti)” (Cass. n. ord. 17622/16; così Cass. ord. n. 9790/18; Cass. 2019 nr. 21812)).

Onere della prova che nella specie correttamente ha ritenuto non fosse soddisfatto in assenza di idonea documentazione in grado di provare le cause oggettive che giustificassero l’esonero e che non può essere sopperito con il ricorso alla c.t.0 la cui funzione è quella di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizione tecniche non possedute ma non già di colmare le lacune probatorie.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 500,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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