Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33748 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 18/12/2019), n.33748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22753-2018 proposto da:

GARDEN VIVAI MEDITERRANI LUCAS FICULLE & C. SAS DI

S.B., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 18, presso lo

studio dell’avvocato UMBERTO RICHIELLO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO BASTIANINI;

– ricorrente –

contro

C.W., titolare dell’omonima DITTA IDROMARINA DI

C.W., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CESARINA

BARGHINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 313/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 6/2/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 3/7/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARRATO

ALDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Firenze, decidendo sul gravame proposto dalla Ditta Idromarina avverso la sentenza del Tribunale di Livorno n. 1176/2016 e contro la Garden Vivai Mediterranei (la quale, a sua volta, aveva formulato gravame in via incidentale), con sentenza n. 313/2018, rigettava l’appello incidentale ed accoglieva quello principale e, in parziale riforma dell’impugnata decisione, rigettava l’opposizione avanzata dalla citata Garden Vivai Mediterranei avverso il decreto ingiuntivo n. 1360/2014, con il quale il suddetto Tribunale aveva ingiunto alla stessa Garden Vivai Mediterranei il pagamento della domanda di Euro 19.313,95 in favore della menzionata Ditta Idromarina. In particolare, con detta sentenza di appello, veniva respinta l’eccezione pregiudiziale – proposta dall’appellante incidentale – di violazione del contraddittorio dedotta dall’appellata circa la ritenuta tardività dell’istanza di concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, nel giudizio di primo grado.

Avverso la sentenza di secondo grado ha formulato ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, la Garden Vivai Mediterranei, denunciando – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 183 c.p.c., comma 6, nonchè del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 7, per non aver il Tribunale di Livorno concesso i termini di cui al citato art. 183 c.p.c., comma 6, nonostante l’istanza fosse stata depositata da essa ricorrente nel termine in proposito assentito dal giudice istruttore, con conseguente lesione del diritti di difesa dell’opponente, di fatto privata della possibilità di articolare mezzi di prova e produrre documenti volti a dimostrare i fatti allegati a sostegno dell’opposizione. L’intimata Ditta Idromarina ha resistito con controricorso.

Su proposta del relatore, il quale rilevava che il proposto motivo potesse essere ritenuto manifestamente infondato, in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, in prossimità della quale il difensore della ricorrente ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Rileva il collegio che la formulata censura è destituita di fondamento. Infatti, al di là della valutazione sulla sussistenza o meno dell’eventuale errore in diritto dedotto con riferimento all’impugnata sentenza, il collegio ritiene assorbente – ai fini della reiezione della doglianza – dare seguito alla giurisprudenza di questa Corte (cfr., in termini, Cass. n. 2626/2018) che, proprio con riguardo alla questione giuridica dedotta in giudizio, ha affermato che i vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato “error in procedendo”. Da ciò consegue che, quando venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il tribunale deciso la causa senza aver prima assegnato i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, il ricorrente non può limitarsi a dedurre tale violazione, ma deve – a pena di inammissibilità – specificare quali sarebbero stati i fatti rilevanti sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare e quali prove sarebbero state dedotte ove fosse stata consentita la chiesta appendice scritta (v., in senso più generale, anche Cass. n. 6330/2014 e Cass. n. 26831/2014).

Orbene, sulla scorta di tale principio, la ricorrente, nell’articolare la censura in questa sede di legittimità, non avrebbe dovuto limitarsi a dedurre la mera violazione processuale nei termini prima riportati e a prospettare quali sarebbero state le circostanze che avrebbero formato oggetto di prova, ma aveva anche lo specifico onere di indicare quali mezzi istruttori (e altresì, in modo puntuale, quale il loro contenuto) sarebbero stati precisamente richiesti nella memoria conseguente alla concessione del termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6.

Senonchè la ricorrente non ha provveduto, con il formulato motivo, ad assolvere quest’ultimo onere, essendosi limitata a prospettare, in via generale, le circostanze da riscontrare probatoriamente ma senza indicare, in modo specifico, le prove che avrebbe voluto effettivamente articolare nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, posto che (v. pag. 12 del ricorso) essa, dopo aver esposto i fatti dedotti a fondamento dell’originaria opposizione a decreto ingiuntivo, ha solo aggiunto che “aveva diritto di provarli mediante l’articolazione dei mezzi istruttori e la produzione di documenti, ad essa indebitamente preclusa” (quindi, senza procedere ad individuare, in modo specifico, quali sarebbero state le richieste istruttorie che avrebbe voluto formulare e quali i documenti da produrre).

In definitiva, alla stregua delle svolte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Sussistono, inoltre, le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, commi 1 e 17, che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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