Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33738 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 18/12/2019), n.33738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22666/2015 R.G., proposto da:

B.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Luigi Parenti ed

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, sito in

Roma, in Viale delle Milizie, n. 114;

– ricorrente –

contro

Equitalia Sud S.p.a., in persona del Responsabile Contenzioso

Direzionale Regionale Lazio, Avv. Maria Stranieri, rappresentata e

difesa dall’Avv. Stefania Di Stefani e presso il suo studio

elettivamente domiciliata, in Roma, via Giovanni Pierluigi da

Palestrina, n. 19;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1116/06/2015, della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, depositata il 24/02/2015 e non notificata;

Udita la relazione, svolta nella Camera di Consiglio del 5 novembre

2019, dal Consigliere Giudicepietro Andreina.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Sig.ra B.M. ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1116/06/2015 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, depositata il 24 febbraio 2015 e non notificata che, in controversia avente ad oggetto l’opposizione, da parte della ricorrente, al preavviso di fermo veicoli n. (OMISSIS), emesso da Equitalia Sud S.p.a., relativo alla cartella di pagamento n. (OMISSIS), notificata in data 11/10/2012, per un importo complessivo di 19.762,00 Euro, costituito da imposta di registro e sanzioni conseguenti, riferiti all’anno d’imposta 2010, respingeva l’appello della contribuente, confermando la sentenza di primo grado della Commissione Tributaria Provinciale di Roma;

2. la C.T.R., con la sentenza impugnata, affermava che le doglianze proposte dalla parte contribuente erano assolutamente prive di fondamento poichè: diversamente da quanto asserito dalla contribuente, era documentato in atti che la cartella esattoriale n. (OMISSIS) fosse stata regolarmente notificata all’interessata in data 11/10/2012; quanto alla ulteriore eccezione per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, la C.T.R. richiamava la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in particolare la sentenza n. 1091/2013, secondo cui “la cartella esattoriale può essere notificata anche direttamente da parte del Concessionario, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39, è sufficiente per il relativo perfezionamento che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’Ufficiale postale, se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente. Consegue, qualora manchino nell’avviso di ricevimento da restituire al mittente le generalità della persona, cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia adottata come leggibile, l’atto è pur sempre valido poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’Ufficio postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata”; anche in tema di richiesta di produzione della cartella di pagamento, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10326/2014, ha sancito che “in tema di esecuzione esattoriale, qualora la parte destinataria di una cartella di pagamento, contesti esclusivamente di averne ricevuto la notificazione e l’Agente per la, riscossione dia prova di aver eseguito regolarmente questa notificazione, resta preclusa la deduzione di vizi concernenti la cartella di pagamento che non siano stati fatti valere opponendosi tempestivamente a quest’ultima e correlativamente non vi è alcun onere probatorio in capo all’Agente di produrre in giudizio la copia integrale della cartella di pagamento di che trattasi”;

3. a seguito del ricorso, Equitalia Sud S.p.a. resiste con controricorso;

4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 5 novembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

5. la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo di ricorso, la ricorrente censura la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 50 e 86, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo la contribuente, l’operato del Giudice d’appello va censurato, perchè ha posto a fondamento della sua pronuncia un documento non meglio identificato, da cui risulterebbe la regolarità della notifica della cartella esattoriale in questione, quale atto presupposto del preavviso di fermo impugnato;

avendo la ricorrente dedotto l’omessa o invalida notifica della cartella esattoriale, l’agente della riscossione doveva provare l’avvenuta regolare notifica;

ciò, al contrario, non sarebbe accaduto nel caso di specie, in quanto, a fronte della contumacia dell’Ufficio, sarebbe mancata agli atti qualsiasi prova in ordine all’avvenuta valida notifica, che incombeva sull’Amministrazione;

con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 24Cost., comma 2, e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4);

secondo la contribuente, si dovrebbe concludere, in ogni caso, per la cassazione della pronuncia impugnata, dal momento che ogni documento allegato da controparte, dopo l’udienza di discussione innanzi alla C.T.R., avrebbe dovuto considerarsi assolutamente inutilizzabile, essendo inammissibile la costituzione in giudizio depositata in un momento successivo all’udienza stessa;

sostiene la ricorrente che, sebbene il termine dei sessanta giorni dalla notifica del ricorso per la costituzione in giudizio dell’Ufficio sia stato considerato ordinatorio, ammettere che tale costituzione possa avvenire in qualunque fase del giudizio significherebbe violare ogni forma dettata in tema di regolarità del contraddittorio;

ciò in spregio del diritto di difesa della contribuente, alla quale sarebbe stata sottratta ogni possibilità di replicare alle deduzioni avversarie ed alle relative produzioni documentali, con violazione dell’art. 24 Cost., comma 2, e dell’art. 111 Cost.;

1.2. motivi sono inammissibili;

1.3. come riportato in ricorso, il giudice di prime cure ha ritenuto che dagli atti prodotti dalla stessa ricorrente emergesse l’avvenuta notifica della cartella di pagamento, che era specificamente richiamata nel preavviso di fermo con l’indicazione della relativa data;

il giudice di appello, limitandosi a ritenere, conformemente a quanto già statuito dal giudice di prime cure, che dagli atti emergesse la prova dell’avvenuta notifica della cartella di pagamento, prodromica dell’avviso di fermo, non ha fatto alcun riferimento all’ulteriore documentazione attestante la notifica, che, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente, la parte controricorrente avrebbe depositato in appello solo successivamente all’udienza di trattazione, in violazione del suo diritto di replica e di difesa;

deve, quindi, concludersi che il primo giudice, con statuizione confermata dal giudice di appello, ha ritenuto che dal completo quadro indiziario al suo esame (ed, in particolare, dalla documentazione in atti, prodotta dalla stessa ricorrente e già presente in primo grado) risultasse la prova della notifica della cartella di pagamento;

nè, come detto, si ravvisano elementi in base ai quali si possa sostenere che la sentenza del giudice di appello sia basata su ulteriori documenti prodotti inammissibilmente dopo l’udienza di trattazione;

l’accertamento in fatto del giudice di appello risulta essere definitivo, in quanto non impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per vizi attinenti alla motivazione (per i quali, per altro, non sarebbe stato impugnabile, ricadendo il ricorso nel regime della cd. doppia pronuncia conforme, posto che l’atto di appello risulta depositato il 22/4/2014);

pertanto, il giudice di appello, una volta valutata positivamente la sussistenza della prova della notifica della cartella di pagamento, non è incorso in alcuna violazione di legge, ritenendo che non vi fosse la dedotta nullità dell’avviso di fermo;

infine, per quanto riguarda l’eccezione, sollevata con la memoria, relativa al vizio di costituzione dell’A.d.E.R. mediante avvocato del libero foro, essa è infondata, poichè non vi è stata alcuna costituzione in giudizio del successore del concessionario;

l’estinzione ope legis delle società del c.d. “gruppo Equitalia” ai sensi del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225, non determina l’interruzione dei processi pendenti, nè la necessità di costituzione in giudizio del nuovo ente Agenzia delle Entrate-Riscossione, non costituendo successione nel processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c., bensì successione nei rapporti giuridici controversi ex art. 111 c.p.c., e ciò ancorchè vi sia stata la previsione legislativa del subentro del nuovo ente “a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali” del soggetto estinto (Cass. 15/06/2018, n. 15869; vedi anche, a proposito del subentro di Equitalia s.p.a. nelle funzioni di riscossione svolte dai concessionari privati, Cass. 28/03/2014, n. 7318; Cass. n. 33639/18);

il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile e parte ricorrente va condannata al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre il 15% per spese generali, accessori di legge ed Euro 200,00 per esborsi;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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