Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33730 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 18/12/2019), n.33730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Mari – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancar – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1990 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

Jannone Arm s.r.l., in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura

speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Roberto Landolfi e

Sabrina Marotta, elettivamente domiciliata in Roma, via Ovidio, n.

20, presso lo studio Liccardo, Landolfi e Associati;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, n. 5672/8/2015, depositata in data 11

giugno 2015;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 marzo 2019 dal

Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott. Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

uditi per la ricorrente gli Avv.ti Sabrina Marotta e Roberto Landolfi

e per l’Agenzia delle dogane l’Avv. dello Stato Francesca Subrani.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Jannone Arm s.r.l., in liquidazione, ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, in epigrafe, che ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Dalla esposizione in fatto contenuto nella sentenza nonchè nel ricorso si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della contribuente un avviso di rettifica dell’accertamento, relativo alla dichiarazione di importazione del 2002, con il quale era stato richiesto il pagamento del dazio antidumping, avendo rilevato che, a seguito di indagini svolte dalla Missione comunitaria dell’OLAF, la merce importata, consistente in accessori filettati per tubi di ghisa malleabile, non aveva origine argentina, ma brasiliana; avverso il suddetto atto impositivo la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli che lo aveva rigettato; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la contribuente aveva proposto appello; la Commissione tributaria regionale della Campania aveva rigettato l’appello; avverso la suddetta pronuncia la contribuente aveva proposto ricorso per cassazione; la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione; a seguito della riassunzione del giudizio, la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane, dichiarando legittimo l’avviso di rettifica dell’accertamento.

In particolare, la Commissione tributaria regionale della Campania ha ritenuto che: dovevano seguirsi i limiti di giudizio segnati dalla pronuncia della Corte di cassazione, che aveva censurato la sentenza per la non corretta applicazione dei principi in materia di riparto dell’onere della prova, oltre che per vizio di motivazione; era un dato incontrovertibile il fatto che la merce importata era brasiliana; tale circostanza trovava fondamento sulle univoche risultanze delle indagini svolte dalla Missione comunitaria in Argentina e sul contenuto del rapporto OLAF, e, in generale, sulla valutazione complessiva fatta, a livello unionale, circa la falsità della provenienza degli accessori per tubi di ghisa malleabile dall’Argentina, tanto che era stato emanato il Regolamento n. 1023/2003 del Consiglio del 13 giugno 2003, che aveva esteso il dazio antidumping anche alle importazioni della merce in esame spedita dall’Argentina, indipendentemente dal fatto che fosse stata dichiarata originaria di questo paese o meno; nessuna prova, poi, aveva fornito la contribuente in ordine alla sussistenza dell’errore attivo dell’autorità doganale del paese di esportazione e, quindi, della propria buona fede.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la società contribuente affidato a due motivi di censura.

L’Agenzia delle dogane si è costituita depositando controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e/o falsa applicazione del Regolamento Ce n. 1023/2003 del Consiglio del 13 giugno 2003, per avere erroneamente ritenuto l’origine brasiliana della merce sulla base di quanto riportato nel suddetto regolamento.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2699 e 2700 c.c., in materia di onere di prova e degli artt. 2727 e 2729 c.c., in materia di prova per presunzioni, per non avere adeguatamente tenuto conto delle risultanze istruttorie e della documentazione prodotta, nonchè per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

3. I motivi, che possono essere esaminati unitamente, atteso che attengono alla medesima questione dell’accertamento della esatta individuazione dell’origine della merce, sono fondati.

La valutazione delle ragioni di censura in esame deve necessariamente procedere dall’esame dei limiti imposti al giudice del rinvio dalla pronuncia di questa Corte n. 24440/2013 che ha cassato con rinvio la decisione della Commissione tributaria regionale della Campania n. 9/20/2008.

Va osservato che la sentenza di questa Corte ha dettato i parametri di riferimento, cui era tenuto il giudice del rinvio, ai fini della verifica della provenienza della merce.

In particolare, la sentenza di questa Corte ha ritenuto di cassare con rinvio la sentenza del giudice di secondo grado per vizio di violazione di legge, per non avere correttamente applicato i principi di accertamento della prova presuntiva (di cui agli artt. 2727-2729 c.c.) relativamente al fatto, oggetto della prova, consistente nell’origine non preferenziale della merce importata, atteso che, secondo la prospettazione dell’Agenzia doganale, la società esportatrice non effettuava alcuna lavorazione o trasformazione sostanziale della merce importata dal Brasile tale da fare acquisire al prodotto finito l’origine argentina, mentre, secondo la diversa prospettazione della contribuente, la società argentina importava dal Brasile il prodotto semilavorato, che veniva sottoposto a filettatura dalla ditte appaltatrici in Argentina.

Partendo da tali considerazione di fondo, la sentenza di questa Corte ha ritenuto che il giudice del gravame non aveva fatto corretta applicazione delle norme che disciplinano il regime delle presunzioni, non avendo adeguatamente motivato sulle ragioni per le quali, relativamente ai diversi elementi fondanti gli argomenti presuntivi dedotti dall’Agenzia delle dogane al fine di pervenire alla prova della origine brasiliana delle merci, trovavano valenza recessiva, sul piano probatorio, i diversi elementi a sua volta dedotti dalla contribuente.

In particolare, sono state valutate, sotto il profilo della corretta applicazione dei principi relativi alla prova presuntiva, le considerazioni espresse dalla Commissione tributaria regionale della Campania in ordine alla irrilevanza degli elementi dedotti dalla contribuente per assolvere al proprio onere di provare l’origine della merce e per contrastare l’assunto, anche esso presuntivo, dell’Agenzia delle dogane.

La contribuente, sotto tale profilo, aveva dedotto diversi elementi, in particolare: al fine di provare che la merce era stata lavorata in Argentina, aveva fatto riferimento alle risultanze delle indagini penali svolte dall’AG argentina ed al fatto che presso i locali dell’impresa era stata rivenuta merce relativa ai certificati di importazione, anche non filettata, conforme ai dati estratti dal sistema informatico della società; al fine di contrastare la tesi dell’Agenzia delle dogane del limitato periodo di tempo tra le importazioni dal Brasile e l’esportazione nell’UE, aveva prodotto le fatture che indicavano l’Italia come Paese destinatario dell’importazione, dirette a smentire il calcolo dei tempi di trasporto.

Rispetto a tali profili, la Corte ha ritenuto di dovere censurare la sentenza in quanto le argomentazioni utilizzate non erano, di per sè, idonee ad elidere la astratta potenzialità inferenziale e, comunque, non era stata correttamente valutata la capacità inferenziale degli indizi e formulato il conseguente giudizio sulla concludenza probatoria.

Inoltre, si è evidenziato che le altre statuizioni della sentenza censurata risultavano inficiate da violazione per vizio di motivazione relativamente alla questione della identità del codice 2548 IRAM identificativo della merce importata dal Brasile ed esportata in Europa, in quanto fondata su di un assunto indimostrato, cioè che il semilavorato fosse contraddistinto al tempo dell’importazione dal Brasile con un codice diverso e, peraltro, sempre sotto tale profilo, si è censurata la sentenza per avere omesso di prendere in esame gli elementi probatori dedotti dalla società importatrice.

Infine, si è censurata la sentenza per non avere motivato in modo idoneo sulla questione della riduzione di peso del materiale lavorato, in quanto ha argomentato solo in modo apodittico e senza avere tenuto conto delle argomentazioni difensive della contribuente.

Quindi, ricostruiti i diversi profili che avevano indotto questa Corte a cassare la sentenza della Commissione tributaria regionale, nel giudizio di rinvio si sarebbe dovuto procedere ad un nuovo procedimento di verifica della potenzialità logico presuntiva degli elementi dedotti e allegati dalla contribuente al fine di contrastare gli elementi fondanti la tesi dell’Agenzia delle dogane della mancata origine argentina della merce.

La pronuncia censurata non risulta avere proceduto secondo la linea di fondo tracciata dalla sentenza di questa Corte, in quanto ha ritenuto di potere ricavare la certezza probatoria dell’origine brasiliana della merce facendo unicamente riferimento agli esiti delle indagini svolte nella Missione comunitaria in Argentina ed al contenuto del rapporto OLAF, senza indagare se, rispetto alle considerazioni presuntive poste a base dei suddetti atti, i diversi elementi prodotti e posti all’attenzione del giudicante, specificamente indicati da questa Corte con la pronuncia di cassazione con rinvio, avessero una propria idoneità probatoria, tale da contrastare la valenza di quelli fondanti la pretesa dell’amministrazione doganale.

Invero, la pronuncia oggetto di censura, sulla questione dell’origine della merce, ha ritenuto che l’origine brasiliana poteva dirsi accertata alla luce di tutte le granitiche ed univoche risultanze delle indagini svolte dalla Missione comunitaria in Argentina e del rapporto redatto dall’OLAF, ed ha, altresì, precisato che tale circostanza risultava rafforzata dalle indagini esperite dalla Comunità Europea che avevano dato luogo all’emanazione del Regolamento (Ce) n. 1023/2003 del Consiglio 13 giugno 2003, che aveva esteso le misure antidumping sulle importazioni di alcuni accessori per tubi di ghisa malleabili originari del Brasile anche allo stesso prodotto spedito dall’Argentina, a prescindere dal fatto che venga dichiarato o meno originario dell’Argentina.

In particolare, ha dato rilievo a quanto contenuto nel paragrafo 23 del suddetto Regolamento, secondo cui Alla luce di quanto precede, si può ragionevolmente concludere che la stragrande maggioranza delle esportazioni di accessori di ghisa malleabile dal Brasile verso l’Argentina sono state semplicemente trasbordate attraverso quest’ultimo paese verso la Comunità.

Preme evidenziare, a tal proposito, che il riferimento compiuto dal giudice del gravame al Regolamento in esame sembra compiuto ai soli fini del rafforzamento della verifica della origine brasiliana della merce, tenuto conto del fatto che nella pronuncia si precisa che la ragione dell’intervento estensivo trovava fondamento sulla postulazione che le dichiarazioni di origine argentina fossero tutte false, e ponendo, in tal modo, un freno definitivo alle manovre elusive sino a quel momento perpretate da tutti gli importatori (vd. sent., pag. 7).

La sentenza in esame, quindi, non ha fatto riferimento al Regolamento ai fini della sua applicazione anche alla fattispecie, profilo che avrebbe dovuto comportare una verifica dell’applicabilità temporale dello stesso alla fattispecie in esame, ma ai soli fini del rafforzamento della valenza probatoria, anche se presuntiva, delle risultanze delle indagini OLAF.

Ma tale riferimento, di per sè, non può costituire profilo idoneo a consentire la mancata valutazione degli elementi probatori prospettati dalla contribuente.

In questo contesto, trovano fondamento le ragioni difensive di parte ricorrente in ordine al mancato esame degli elementi di prova posti all’attenzione del giudice del gravame, prospettate sotto il profilo della violazione di legge in ordine alla corretta applicazione della disciplina in materia di prova presuntiva, di cui all’art. 2729 c.c., nonchè dell’omessa valutazione delle risultanze istruttorie e della documentazione prodotta, e ricondotte alla ritenuta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Ne consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte: accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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