Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33723 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 18/12/2019), n.33723

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 14504 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

BANCO BPM S.p.A. (P.I.: 09722490969), in persona del rappresentante

per procura Elga Fontanini rappresentata e difesa dagli avvocati

Giuseppe Mercanti (C.F.: MRC GPP 45S07 H540C), Cristina Biglia

(C.F.: BGL CST 7262 F205T) e Carlo D’Errico (C.F.: DRR CRL 57P07

A662P)

– ricorrente –

nei confronti di:

C.L. (C.F.: (OMISSIS))

C.F. (C.F.: (OMISSIS))

rappresentati e difesi dagli avvocati Arturo Antonacci (C.F.: NTN RTR

42H26 H501Q), Roberto Vassalle (C.F.: VSS RRT 51A08 E897L) e Antonio

Pezzano (C.F.: PZZ NTN 59P27 D976Z)

– Controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze n.

2466/2017, pubblicata in data 7 novembre 2017; udita la relazione

sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 25 settembre

2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

RILEVATO

che:

L.V.S. ha proposto opposizione ad un precetto di pagamento dell’importo di Euro 137.633,00 intimatole dal Banco Popolare di Verona e Novara S.c.r.l. (oggi Banco BPM S.p.A.) sulla base di una sentenza che – nell’accogliere una sua domanda risarcitoria contro la banca – l’aveva condannata a restituire alla stessa banca alcuni titoli acquistati, con gli interessi maturati sugli stessi.

L’opposizione è stata dichiarata inammissibile dal Tribunale di Firenze.

La Corte di Appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, l’ha invece accolta, condannando la banca intimante al pagamento delle spese di lite nonchè della somma di Euro 1.000.00 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, in favore degli appellanti C.L. e F. (eredi della L.V.).

Ricorre il Banco BPM S.p.A., sulla base di tre motivi.

C.L. e F. hanno resistito con controricorso. E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile e/o manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e/o nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., n. 4, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 101 c.p.c., comma 2”.

Secondo la banca ricorrente, la corte di appello avrebbe deciso la controversia sulla base di una questione rilevata di ufficio, non sottoposta al contraddittorio tra le parti.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.

I giudici di secondo grado hanno ritenuto fondato il motivo di opposizione relativo alla mancanza di un idoneo titolo esecutivo alla base del precetto di pagamento opposto, e cioè un titolo esecutivo contenente la condanna al pagamento di una somma di danaro, motivo disatteso dal giudice di primo grado e oggetto del gravame dell’opponente.

Hanno anche specificamente chiarito, in proposito, che il suddetto motivo di opposizione, anche se unitamente ad altre questioni non rilevanti o inammissibili, era comunque ravvisabile sia nell’atto di opposizione, sia nell’atto di appello, avendo l’opponente contestato in entrambi i gradi di giudizio l’inesistenza di una sentenza di condanna al pagamento di una somma di danaro a proprio carico, e quindi di un titolo esecutivo che potesse giustificare un precetto di pagamento.

Orbene, in primo luogo la banca ricorrente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non richiama nel ricorso specificamente il contenuto dell’atto di opposizione e quello dell’atto di appello, nella parte in cui dagli stessi dovrebbe emergere la conferma dei suoi assunti, contrari a quanto affermato nella decisione impugnata. La ricorrente non ha riprodotto il contenuto di tali atti, nella parte che sorreggerebbe il suo motivo di ricorso (nè direttamente, nè indirettamente, con la specifica precisazione, essenziale quando si fa ricorso ad una riproduzione indiretta, della parte dell’atto nella quale l’indiretta riproduzione troverebbe corrispondenza). Inoltre, non è stata fornita la specifica indicazione della esatta allocazione nel fascicolo processuale di detti atti, anche agli effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (e neanche viene precisato se si sia inteso fare riferimento alla presenza di essi nel fascicolo d’ufficio di appello, come ammette, ma esigendo l’indicazione in tale senso, Cass., Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317 – 01).

Sotto tale profilo la censura risulta dunque inammissibile.

In considerazione dell’oggetto complessivo dell’opposizione, per quanto emerge dagli atti, comunque, pare potersi rilevare che effettivamente le contestazioni avanzate dall’intimata erano in definitiva fondate proprio sull’assunto dell’inesistenza di una sua condanna al pagamento di una somma di danaro, che potesse costituire titolo esecutivo per l’espropriazione forzata. Non vi è stato quindi alcun rilievo di ufficio di questioni non oggetto di contraddittorio, da parte della corte di appello.

Sotto questo profilo il ricorso è manifestamente infondato.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 111 Cost. e/o nullità della Sentenza ex art. 132 c.p.c., n. 4, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2038, 2058 e 2930 c.c. e ss., e degli artt. 474 e 282 c.p.c.”.

La banca ricorrente afferma che, in presenza di un titolo esecutivo contenente la condanna alla consegna di beni mobili, l’impossibilità di pervenire a detta consegna – per averne l’obbligato perso la disponibilità – determinerebbe l’obbligo del debitore di pagarne l’equivalente. A suo dire, ciò nella specie avrebbe giustificato anche, sempre sulla scorta del titolo recante la condanna alla consegna dei beni, l’esecuzione forzata per il pagamento del corrispondente valore, in quanto desumibile dai “prezzi ufficiali” dei titoli.

Il motivo è in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile.

E’ in primo luogo manifestamente infondato, nella parte in cui viene dedotta l’assenza di motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4: la decisione impugnata è sostenuta da una motivazione del tutto adeguata sul punto.

E’ altresì manifestamente infondato nella parte in cui la ricorrente sostanzialmente afferma, in diritto, che la perdita, da parte dell’obbligato, della disponibilità dei beni alla consegna dei quali sia stato condannato giustificherebbe, di per sè, sulla base del medesimo titolo di condanna alla consegna, l’esecuzione forzata per il pagamento dell’equivalente monetario dei beni stessi.

Sotto tale profilo, la decisione impugnata va senz’altro confermata, dovendosi enunciare in proposito il seguente principio di diritto: “in caso di condanna alla consegna di beni mobili di cui il debitore abbia perduto la disponibilità, il diritto del creditore ad ottenere il pagamento dell’equivalente monetario dei suddetti beni – non più consegnabili dall’obbligato – va fatto valere in un nuovo processo di cognizione che ne accerti la effettiva sussistenza e che in concreto ne liquidi l’importo non potendo essere azionato direttamente in via esecutiva sulla base del semplice titolo di condanna alla consegna, di per sè non idoneo a fondare l’esecuzione per espropriazione ma solo quella di cui agli artt. 605 c.p.c.e ss., tanto meno in base ad una “autoliquidazione” del valore dei beni perduti effettuata dal creditore, anche laddove si assuma esistere un prezzo ufficiale di mercato di essi”.

La censura in esame è altresì inammissibile, ancor prima che manifestamente infondata, nella parte in cui afferma che l’equivalente del valore dei titoli da consegnare sarebbe stato nella specie determinabile sulla base dei “prezzi ufficiali… risultanti dai relativi bollettini…… moltiplicati per il quantitativo dei titoli posseduto dalla signora L.V.”. Non vi è infatti nel ricorso alcuno specifico richiamo, in palese violazione del requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, agli atti e ai documenti, regolarmente acquisiti nel corso del giudizio di merito, dal cui contenuto emergerebbe la fondatezza del relativo assunto. La banca ricorrente, pur richiamando l’indirizzo di questa Corte in ordine alla cd. eterointegrazione del titolo esecutivo, neanche allega, del resto, in modo specifico e puntuale, se e in base a quali atti e documenti acquisiti al giudizio di cognizione all’esito del quale si era formato il titolo esecutivo di condanna alla consegna, sarebbe stato eventualmente possibile evincere il predetto valore.

Va infine aggiunto che, con la memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, la banca ricorrente, nel ribadire le censure di cui si sono già esposti i motivi di infondatezza, afferma addirittura che, in secondo grado (nel giudizio di merito che ha portato alla formazione del titolo oggetto del presente ricorso), la pronuncia di condanna della L.V. alla consegna dei titoli sarebbe stata in realtà superata da una complessiva rideterminazione del danno alla stessa spettante. Le allegazioni in proposito non sono chiarissime e sufficientemente specifiche e, comunque, non è documentata la definitiva caducazione del titolo di cui si discute nella presente controversia; di conseguenza non è possibile valutare con certezza ed eventualmente dichiarare la cessazione della materia del contendere.

Risulta peraltro evidente che, secondo quanto afferma la stessa banca, addirittura il titolo da essa azionato sarebbe venuto del tutto meno, con conseguente impossibilità della stessa di dare comunque inizio all’esecuzione minacciata sulla base del titolo costituito dalla pronuncia di primo grado, che sta a fondamento del precetto opposto.

In ogni caso, peraltro, la fondatezza del ricorso andrebbe valutata quanto meno ai fini della soccombenza virtuale.

3. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 111 Cost. e/o nullità della Sentenza ex art. 132 c.p.c., n. 4; violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 96 c.p.c.”.

Anche questo motivo è manifestamente infondato.

Diversamente da quanto afferma la banca ricorrente, la decisione impugnata contiene espressa motivazione a fondamento della sua condanna al pagamento di una somma di danaro ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, oltre a quella relativa al rimborso delle spese di lite, motivazione non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, e come tale non censurabile nella presente sede. La corte di appello ha infatti ritenuto che sussistessero i presupposti per l’applicazione di tale disposizione, rinviando a quanto esposto nel paragrafo 4 della sentenza, cioè per la ritenuta “evidenza” dell’inidoneità del titolo esecutivo posto a base del precetto di pagamento opposto a fondare la minacciata esecuzione forzata per espropriazione, trattandosi di titolo di condanna alla consegna di beni mobili di cui era ben noto all’intimante che l’intimata aveva perso la disponibilità, conseguentemente dovendosi ritenere la sua difesa in giudizio costituire un sostanziale abuso dello strumento processuale. Si tratta di una motivazione del tutto adeguata e conforme a diritto.

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 5.600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA