Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33721 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 18/12/2019), n.33721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30006-2017 proposto da:

D.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GAETANO MAZZA;

– ricorrente –

contro

JULIE ITALIA SRL, G.G., D.C.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1980/2017 della CORTE D’APPELLO) di NAPOLI,

depositata il 08/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. nel 2010 D.P. convenne dinanzi al Tribunale di Napoli D.C.G., G.G. e la società Julie Italia s.r.1., esponendo che:

-) la società convenuta era editore di un giornale 012 line, del quale era direttore responsabile G.G.;

-) il 2.2.2010 tale testata pubblicò un articolo, redatto da Giovanni De Cicco, asseritamente alunnioso e diffamatorio nei confronti dell’attore, nel quale lo si accostava all’attività di un boss della criminalità organizzata;

-) le insinuazioni contenute nel suddetto articolo vennero reiterate in un secondo articolo, apparso qualche tempo dopo.

Chiese pertanto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno patito in conseguenza della suddetta diffamazione.

2. Tutti i convenuti si costituirono chiedendo il rigetto della domanda ed invocando l’esercizio del diritto di cronaca. Dedussero che le notizie contenute negli articoli ritenuti diffamatori erano state tratte da un rapporto della Direzione Distrettuale

3. Con ordinanza 12.7.2011 n. 11688, pronunciata ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., il Tribunale di Napoli rigettò la domanda, ritenendo legittimamente esercitato il diritto di cronaca da parte dei convenuti.

La sentenza venne appellata dal soccombente.

Con sentenza 8.5.2017 n. 1980 la Corte d’appello di Napoli rigettò il gravame.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che il giornalista e l’editore si erano limitati a riferire, nel proprio articolo, il contenuto di una informativa della Direzione Distrettuale Antimafia, e le trascrizioni di alcune intercettazioni telefoniche effettuate dai Carabinieri.

Soggiunse che i convenuti avevano depositato, a dimostrazione della attendibilità della propria fonte, delle fotocopie, le quali non erano state specificamente contestate dall’attore.

Secondo la Corte d’appello infatti “era pacifico” che i documenti prodotti in fotocopia dai convenuti costituivano la trascrizione di atti d’indagine del Reparto Operativo della regione Campania dei Carabinieri; e che le contestazioni dell’attore circa la conformità all’originale “non risultano in alcun modo chiare e circostanziate, non essendo stato allegato alcun elemento concreto dal quale desumere la non corrispondenza tra realtà là ttuale e realtà riprodotta”.

4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.P., con ricorso fondato su due motivi.

Gli intimati non si sono difesi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2712 e 2719 c.c..

Deduce che, tanto in primo quanto in secondo grado, egli aveva espressamente contestato che il documento prodotto in fotocopia dai convenuti riproducesse effettivamente gli atti della polizia giudiziaria dai quali i convenuti avevano tratto le informazioni pubblicate.

Assume che i suddetti documenti erano “privi di qualsivoglia sottoscrizione o paternità”, e che lui aveva formalmente sollevato tale eccezione tanto nella comparsa di costituzione e risposta, quanto nella prima udienza.

Di conseguenza, a fronte della suddetta contestazione, sarebbe stato onere dei convenuti dimostrare che le fotocopie prodotte in giudizio riproducevano effettivamente atti di polizia giudiziaria.

1.2. Il motivo è inammissibile, per violazione dell’onere di indicazione e di allegazione imposto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

La censura formulata nel primo motivo di ricorso, infatti, invoca in sostanza un error in procedendo da parte della Corte d’appello, consistito nell’avere violato alcune delle regole che disciplinano l’efficacia delle prove documentali.

Si tratta, dunque, d’un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda” sui documenti della cui illegittima valutazione il ricorrente si duole.

Quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex inultis, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).

Di questi tre oneri, il ricorrente ha assolto solo il primo. Il ricorso, infatti, non indica con quale atto ed in quale fase processuale (atto di citazione, memorie ex art. 183 c.p.c., ordine di esibizione, ecc.) i suddetti documenti siano stati prodotti.

1.3. In secondo luogo, il motivo è altresì inammissibile per difetto di rilevanza.

La sentenza d’appello, infatti, si fonda su due rationes decidendi.

La prima, già ricordata, è il legittimo esercizio del diritto di cronaca da parte dei convenuti.

La seconda ratio decidendi, contenuta a p. 8, secondo capoverso, della sentenza d’appello, è che nel giudizio di merito “era pacifico” che i tre documenti depositati dai convenuti, ed allegati sul) 10, 11, e 12 al fascicolo di parte, riportassero “trascrizioni del reparto operativo Regione Irectius, “Legione”, n. d.e.) Carabinieri Campania – Comando Provinciale di Napoli relative a conversa doni di D.P. con tale R.S. e C.”.

Con tale affermazione la Corte d’appello ha dunque ritenuto essere non contestata tra le parti quale fosse la provenienza dei tre documenti sopra indicata. Giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, così come coerente od incoerente che fosse con altre parti della motivazione, essa si sarebbe dovuta impugnare con un motivo ad hoc.

In assenza di impugnazione, invece, si è formato il giudicato interno sull’affermazione della “pacificità” della provenienza dei documenti dall’Arma dei Carabinieri, il che rende superfluo stabilire se la Corte d’appello abbia violato l’art. 2719 c.c.. Di nessun accertamento ulteriore, infatti, vi era necessità a fronte di una origine non contestata della prova documentale depositata in fotocopia.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, formalmente invocando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione degli artt. 2712,2719,2727 e 2729 c.c..

Nell’illustrazione del motivo, al di là di tali richiami formali, si sostiene che:

-) la motivazione della sentenza d’appello non è intelligibile;

-) la Corte d’appello avrebbe violato le norme sulle presunzioni semplici.

2.2. Il motivo è infondato.

Come noto, dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la semplice “insufficienza” della motivazione non è più sindacabile in sede di legittimità. Gli unici vizi di motivazione ancora sindacabili sono unicamente quelli consistenti nella totale mancanza di motivazione, nella sua insanabile contraddittorietà, o nella sua totale incomprensibilità, “esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficiem.za” della motivazione” (così Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Nel caso di specie non ricorre alcuno di questi vizi: la motivazione nella sentenza impugnata c’è ed è chiara: le fotocopie prodotte dai convenuti non vennero disconosciute.

Nella parte, infine, in cui lamenta la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi: la Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda sul presupposto che il giornalista avesse esercitato il diritto di cronaca e l’avesse fatto legittimamente basandosi su atti di polizia giudiziaria veri e veridici: non ha fatto, dunque, la Corte d’appello ricorso ad alcuna presunzione semplice.

3. Le spese.

3.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio delle parti intimate.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di D.P. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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