Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33714 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 18/12/2019), n.33714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7633-2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, (AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE),

presso lo studio dell’Avvocato DORA DE ROSE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANNALUISA MONACO;

– ricorrente –

contro

I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, C/O STUDIO

MARASCIO VIA GIOVAN BATTISTA MARTINI 2, presso lo studio

dell’avvocato STEFANO GENOVESE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BENINO MIGLIACCIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6163/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/09/2015 r.g.n. 1062/2014.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte di Appello di Napoli, con sentenza pubblicata in data 30.9.2015, ha respinto il gravame interposto da Poste Italiane S.p.A., nei confronti di I.G., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede n. 2525/2014, che aveva accolto la domanda proposta dal dipendente, diretta ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto alla corresponsione della indennità di “agente unico” dall’1.4.2011 al 30.9.2012 per il numero di turni di svolgimento della detta mansione, e la condanna della società datrice al pagamento dell’importo complessivo di Euro 1.238,40, oltre accessori come per legge; che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. sulla base di un motivo contenente più censure, cui I.G. resiste con controricorso;

che sono state depositate memorie nell’interesse del lavoratore; che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro Azienda/OO.SS. del 27.7.2010, 6.10.2010 e 11.1.2011”, nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “l’omesso esame delle prove testimoniali rese nel giudizio di Appello. Vizio di motivazione della sentenza impugnata” e si afferma che, a partire dall’anno 2011, l’organizzazione del settore trasporti e recapito aveva subito una radicale trasformazione sulla base di nuovi accordi sindacali che avevano espressamente mutato i precedenti accordi e che, pertanto, le pretese dell’ I. “non potevano trovare più alcuna giustificazione”, perchè, in relazione al periodo per cui è causa, l’Accordo sindacale nazionale tra Poste Italiane S.p.A. e le OO.SS. di categoria in data 27.7.2010 e l’Accordo sindacale regionale del 6.10.2010 hanno interamente ridefinito, superando gli accordi del 1996 in materia, la precedente organizzazione della rete logistica e dei trasporti di Poste Italiane S.p.A., determinando modifiche radicali degli orari di lavoro, dei turni e delle attività lavorative svolte da tutti i dipendenti applicati ai settori interessati, tra i quali quello in cui presta servizio l’ I., che svolge le mansioni di “operatore trasporti”, come previsto nel vigente CCNL di categoria, in cui è espressamente stabilito che “con il nuovo modello dei trasporti si intende superata la precedente organizzazione del settore”, con ciò volendosi intendere che ogni richiamo a precedenti accordi sindacali risulta ormai inconferente ai fini del presente giudizio; pertanto, a parere della società ricorrente, i base ai nuovi accordi, sarebbe stata prevista la possibilità di impiegare gli operatori addetti ai trasporti, tra cui l’ I., ad altre attività collaterali, al fine di evitare possibili eccedenze e perdite di produttività derivanti dalla riduzione delle attività collegate al calo dei volumi della corrispondenza, nonchè dai nuovi turni e dal nuovo orario di lavoro settimanale; si lamenta, altresì, che i giudici di merito non avrebbero tenuto in considerazione quanto dichiarato dal teste V. in ordine alle mansioni effettivamente svolte dall’ I.;

che il motivo è inammissibile sotto diversi e concorrenti profili; va premesso, innanzitutto, che la questione di cui si tratta riguarda la richiesta di versamento di una indennità giornaliera per lo svolgimento dell’attività di messaggeria, quale “attività di consegna degli effetti postali”, unitamente all’attività di autista di automezzo (al riguardo, cfr., tra le molte, Cass. nn. 2790/2018; 26848/2016; 10288/2016; 4561/2013; 17724/2010);

che la società ricorrente non ha indicato analiticamente quali norme dei Contratti Collettivi Nazionali e degli Accordi Nazionali indicati – nè sotto quale profilo – sarebbero state violate, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, del codice di rito, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate ed altresì con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); va, altresì, osservato che non sono stati prodotti (e neppure menzionati nell’elenco dei documenti offerti in comunicazione elencati nel ricorso per cassazione), nè trascritti per intero, i CC.NN.LL. e gli Accordi oggetto di censura, in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione, in ossequio al combinato disposto dell’art. 366, n. 6, e art. 369 del codice di rito (Cass. n. 14541/2014, cit.). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare la veridicità della doglianza svolta dal ricorrente; pertanto, le denunzie mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);

che il motivo è inammissibile pure relativamente alla censura che attiene al dedotto “vizio di motivazione” ed all'”omesso esame delle prove testimoniali rese nel giudizio di Appello”, in quanto, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, in data 30.9.2015, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, inoltre, la doglianza formulata in ordine all'”omesso esame delle dichiarazioni del teste V.”, peraltro neppure trascritte, tende, all’evidenza, ad ottenere una nuova valutazione delle prove, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poichè “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); e, nella fattispecie, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale del tutto condivisibile dal punto di vista logico-giuridico, dopo avere preso in considerazione tutte le risultanze istruttorie;

che, infine, ai sensi dell’art. 348-ter, comma 4 e 5, del codice di rito, “in caso di doppia conforme, è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicchè il sindacato di legittimità del provvedimento di primo grado è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili” (così testualmente – e tra le molte -, Cass., Sez. VI, n. 26097/2014); che, pertanto, in tali ipotesi, “il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, numeri 1), 2), 3) e 4)”; e tale disposizione, inserita dal D.I. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, è applicabile al caso di specie, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo (che stabilisce che le norme in esso contenute si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto), essendo stato introdotto il gravame con atto in data 25.3.2014;

che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese – liquidate come in dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore del difensore dell’ I., avv. Benino Migliaccio, dichiaratosi antistatario – seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei termini di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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