Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33713 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2019, (ud. 20/11/2018, dep. 18/12/2019), n.33713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15963-2016 proposto da:

M.D., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNA COGO;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, (AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE),

presso lo studio dell’avvocato ROSSANA CLAVELLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONINO AMATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1055/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/12/2015 r.g.n. 577/2014.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza pubblicata in data 15.12.2015, la Corte di Appello di Milano ha respinto il gravame interposto da M.D., nei confronti di Poste Italiane S.p.A., avverso la pronunzia n. 3538/2013 del Tribunale della stessa sede, con la quale era stato rigettato il ricorso del lavoratore diretto ad ottenere la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto stipulato inter partes, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, relativamente al periodo 28.5.2010-30.10.2010, per “ragioni di carattere produttivo connesse ad incrementi di attività in dipendenza di eventi eccezionali o di esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo che non sia possibile soddisfare con il personale con il personale in servizio nell’unità produttiva interessata (art. 24, comma 4, CCNL 2007). In particolare, tale temporaneo incremento di attività è determinato dalla Convenzione firmata in data 23 aprile 2010 tra Poste Italiane S.p.A. ed il Ministero dello Sviluppo Economico in attuazione del D.L. n. 40 del 2010 (Decreto Incentivi)”, nonchè la prosecuzione giuridica del rapporto ed il diritto al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate medio tempore, oltre accessori;

che avverso tale sentenza M.D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

che Poste Italiane S.p.A. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il ricorso, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 414 c.p.c., e art. 437 c.p.c., comma 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, e si lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto inammissibile la contestazione mossa alla veridicità dei dati contenuti nei prospetti aventi ad oggetto l’incremento dell’attività produttiva prodotti da Poste Italiane S.p.A., in ragione del fatto che le eccezioni sollevate con il ricorso introduttivo non riguardavano tale profilo; e si insiste nell’affermazione che la contestazione della dedotta esigenza produttiva fosse stata avanzata già nell’atto introduttivo; 2) la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 437 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere i giudici di seconda istanza erroneamente osservato che “…la società ha assolto all’onere di dimostrare l’incremento di attività producendo in primo grado come doc. 7 il prospetto dal quale l’incremento risulta più che evidente; la controparte, del resto, non ha contestato il contenuto del prospetto, lamentando, invece, nel corso dell’udienza di primo grado, la inammissibilità della prova orale richiesta da Poste per la genericità…”; 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè la omessa motivazione su un fatto rilevante ai fini della decisione prospettato dalle parti in relazione al presupposto della “impossibilità di far fronte all’incremento della produzione con l’organico in servizio”, per non avere la Corte territoriale considerato che la società datrice avrebbe dovuto allegare dati che permettessero di parametrare il numero dei dipendenti stabili del Centro con le esigenze sorgenti dalla stipula della Convenzione al fine di verificare l’insufficienza dei primi rispetto alle seconde e, quindi, l’effettiva necessità di assunzioni a termine per tale finalità;

che il primo motivo non è meritevole di accoglimento; deve, innanzitutto, premettersi, al riguardo, che la decisione oggetto del giudizio di legittimità si è conformata all’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato della Suprema Corte ed ha affermato che l’art. 24, comma 4, del CCNL 2007, in forza del quale è stato concluso il contratto di cui si tratta, consente la stipula di contratti a termine nel caso di incremento dell’attività produttiva nelle due ipotesi di ricorrenza di eventi eccezionali oppure di esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo; si tratta di ipotesi alternative, per cui è sufficiente che l’incremento dell’attività produttiva venga determinata dalla ricorrenza della prima oppure della seconda, o, ovviamente, di entrambe. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente reputato che si fosse in presenza della seconda ipotesi, determinata da un’attività particolare ovvero specifica in quanto mossa da una specifica evenienza, quale era, appunto, l’attività effettuata per il Ministero, ed inoltre certamente temporanea, visto che la convenzione, sottoscritta il 23 aprile 2010, prevedeva una durata sino al 30 giugno 2011: arco temporale in cui si è inserito il contratto stipulato con il ricorrente;

che, comunque, fatte queste doverose premesse, va altresì rilevato che la formulazione del mezzo di impugnazione non è conforme alle prescrizioni dell’art. 366, n. 4, del codice di rito, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma anche con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009): la qual cosa non è stata posta in evidenza nel caso di specie, nel quale, peraltro, non viene neppure evidenziato, in violazione del disposto dell’art. 366, n. 6, del codice di rito, in quale punto del ricorso introduttivo del giudizio sarebbero da rinvenire le contestazioni alla veridicità dei dati contenuti nei prospetti aventi ad oggetto l’incremento dell’attività produttiva, prodotti dalla società datrice;

che il secondo motivo è infondato, avendo la Corte di merito analiticamente spiegato i motivi per i quali correttamente è stato ritenuto inammissibile l’argomento nuovo svolto per contestare l’oggettivo incremento numerico delle pratiche da lavorare a causa della predetta convenzione; correttamente i giudici di merito hanno, infatti, rilevato che il nuovo argomento era stato svolto soltanto con l’eccezione di inammissibilità delle richieste istruttorie formulate dalla società e che le eccezioni sollevate con il ricorso introduttivo non attenevano a tale profilo;

che è altresì da respingere il terzo mezzo di impugnazione, posto che, mentre la società ha dimostrato, attraverso la documentazione prodotta (indicata anche a pag. 23 del controricorso), l’incremento di – attività, il ricorrente non ha contestato tali documenti, limitandosi ad eccepire, in modo generico, la inammissibilità della prova orale richiesta dalla datrice di lavoro;

che, per le considerazioni innanzi svolte, il ricorso va dunque respinto, non risultando i motivi articolati idonei a scalfire le argomentazione della Corte di merito;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 20 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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