Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33710 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2019, (ud. 20/11/2018, dep. 18/12/2019), n.33710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20458-2014 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO

OTTOBONI, 37, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO SERAFINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCA GATTA, MADDALENA

CIOCI;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO

MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano

e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10459/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/02/2014 R.G.N. 6431/2011.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la Corte territoriale di Roma, con sentenza depositata il 13.2.2014, respingeva il gravame interposto da F.M., nei confronti di Telecom Italia S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda del lavoratore volta ad ottenere il risarcimento del danno conseguente all’infortunio occorso il (OMISSIS), giorno in cui, secondo quanto dallo stesso affermato, durante l’orario di lavoro, mentre era alla guida dell’autovettura fornitagli dalla società datrice, “ha avuto un grave incidente stradale, a causa della cattiva manutenzione dell’impianto frenante del veicolo aziendale”;

che per la cassazione della sentenza ricorre il F. articolando due motivi;

che la Telecom Italia S.p.A. resiste con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il ricorso, si censura: 1) la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio nonchè ricivardo il mancato esame di istanze istruttorie”, e si lamenta, in sostanza, che la Corte di Appello non abbia correttamente valutato, ed anzi abbia addirittura omesso di valutare, le prove addotte dalle parti; non abbia ammesso i mezzi istruttori come richiesti in primo grado e riformulati in sede di gravame, “ritenendoli irrilevanti al fine di ipotizzare un nesso causale o concausale e cioè l’inefficienza dell’impianto frenante”; 2) la “carenza di motivazione e violazione per errata applicazione dell’art. 2087 c.c.” per mancata motivazione, da parte dei giudici di seconda istanza, “in merito alla sollevata culpa in vigilando ai sensi dell’art. 2087 c.c., ricadente su Telecom Italia S.p.A., per la mancata adozione di misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore”;

che il primo motivo – che censura la valutazione degli elementi probatori posti alla base della decisione oggetto del giudizio di legittimità, nonchè la mancata ammissione, da parte dei giudici di merito, di mezzi istruttori ritenuti rilevanti dal ricorrente, ed altresì la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di fatti controversi e decisivi per il giudizio – è inammissibile: ed infatti, in ordine alla valutazione degli elementi probatori, posto che la stessa è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, qualora il ricorrente denunci, in sede di legittimità, l’omessa o errata valutazione di prove testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi al fine di consentire il vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad una diversa pronunzia, con l’attribuzione di una diversa valutazione alle dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali si denunzia il vizio (Cass., S.U., n. 22716/2011; Cass., ord. n. 5567/2017; Cass., sent. n. 6023/2009);

che, nel caso di specie, invero, la contestazione, peraltro del tutto generica, sulle dichiarazioni rese dai testimoni escussi, senza che le stesse siano state trascritte compiutamente, ma solo accennate, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto di deposizioni testimoniali e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata o sarebbe stata illogica (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4056/2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);

che i giudici di seconda istanza, attraverso un percorso motivazionale ineccepibile sotto il profilo logico-giuridico, ed adeguatamente motivato anche in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori addotti dal ricorrente, sono pervenuti alla decisione oggetto del giudizio di legittimità, dopo avere vagliato le risultanze dell’istruttoria espletata in primo grado; pertanto, le doglianze articolate dalla parte ricorrente con il primo mezzo di impugnazione – che, in sostanza, si risolvono in una ricostruzione soggettiva del fatto, tesa a condurre ad una valutazione difforme rispetto a quella cui è pervenuta la Corte distrettuale, sulla base di una diversa lettura del materiale probatorio – appaiono inidonee, per i motivi anzidetti, a scalfire la coerenza della sentenza oggetto del giudizio di legittimità;

che il motivo è, inoltre, inammissibile anche relativamente al dedotto vizio motivazionale, in quanto, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, in data 13.2.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, come innanzi rilevato, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che il secondo motivo non è fondato: correttamente, infatti, i giudici di secondo grado, sulla scorta del materiale probatorio acquisito, ed in linea con gli arresti giurisprudenziali di legittimità, hanno rilevato che, in base agli elementi di prova acquisiti in causa, risulta impossibile, peraltro a distanza di più di tredici anni dal sinistro occorso, ricostruire la dinamica di quest’ultimo, anche in considerazione del fatto che dal verbale dei Carabinieri intervenuti sul luogo del sinistro, si evince che gli stessi non abbiano eseguito alcun rilievo, ma si siano limitati a raccogliere le dichiarazioni del conducente dell’altro veicolo coinvolto nell’incidente, il quale ha riferito che lo stesso era stato causato dalla velocità eccessiva dell’auto condotta dal F.; peraltro, del tutto condivisibilmente, i giudici di merito hanno rigettato la richiesta del F. di effettuare una c.t.u. per verificare se l’impianto frenante dell’autovettura fornitagli dalla società fosse funzionante, dato il lasso di tempo trascorso dall’incidente e non essendo stata fornita in corso di causa alcuna notizia in ordine all’esistenza dell’autovettura di cui si tratta;

che, fatte queste doverose premesse ed avuto anche riguardo alla formulazione del mezzo di impugnazione, non conforme alle prescrizioni dell’art. 366, n. 4, del codice di rito, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma altresì con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); va altresì osservato che, alla stregua dei consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 13956/12; 17092/12; 18626/13; 22710/15) la responsabilità dell’imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, nell’ipotesi in cui esse non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all’art. 2087 c.c., costituente norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione e che impone all’imprenditore l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori (cfr., tra le molte, Cass. nn. 6377/2003; 16645/2003): responsabilità che, nella fattispecie, per quanto innanzi osservato, non appare sussistente;

che, per le osservazioni in precedenza svolte, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 20 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA