Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33710 del 12/11/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/11/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 12/11/2021), n.33710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19586/2014 proposto da

L.G., (CF (OMISSIS)), rapp.to e difeso per procura a

margine del ricorso dall’avv. Stefano Modenesi e dall’avv. Antonio

Tomassini, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma

alla via dei Due Macelli n. 66;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (CF (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t.,

rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 158/30/14 depositata in data 28 gennaio 2014

della Commissione Tributaria Regionale del Veneto;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 24 marzo 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Commissione tributaria regionale del Veneto, con sentenza n. 158/30/14, depositata il 28 gennaio 2014, respingeva l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Vicenza che aveva rigettato il suo ricorso contro l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2006.

Osservava la CTR che l’avviso di accertamento si fondava sull’esistenza di una plusvalenza latente su partecipazioni, ancora esistente dopo la presentazione di una dichiarazione integrativa del modello Unico 2007, fondata sulla differenza tra il prezzo della cessione della partecipazione totalitaria da parte dei soci originari della Arroweld “storica”, pattuito in Euro 38.169.292,47 ed il valore del ramo di azienda conferito dalla stessa società alla Wingroup s.r.l. (Euro 28.800.000), più il valore del marchio ceduto sempre dalla stessa società a favore della Locat s.p.a. (12.000.000), sicché la differenza tra i due valori (Euro 2.630.708) era imputabile pro quota a tutti i soci della Arroweld “storica”, quale maggiore plusvalenza da cessione di partecipazioni, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68, comma 3.

Osservava, inoltre, la CTR che le argomentazioni dell’Agenzia erano legittime e convincenti.

In primo luogo doveva considerarsi irrilevante la circostanza che il contribuente non avesse incassato somme aggiuntive rispetto a quelle dichiarate e tassate, come correttamente rilevato dalla sentenza emessa dai giudici di prime cure.

La stessa ammissione, da parte dell’appellante, che la dichiarazione integrativa era avvenuta dopo la conoscenza che la società Heraclea (veicolo societario dell’operazione) non aveva assoggettato a tassazione la plusvalenza conseguita in seguito alla cessione del marchio (cessione poi divenuta oggetto di autonoma contestazione a carico della Arroweld), non deponeva in suo favore, considerata la successione degli eventi come illustrata dall’Ufficio nelle controdeduzioni.

Neppure esistevano, secondo la CTR” valide ragioni economiche che giustificassero l’operazione nei modi e nei tempi in cui si era presentata, come pure sostenuto dall’Ufficio che aveva dimostrato l’irragionevolezza degli schemi negoziali adottati, volti al solo ottenimento di un vantaggio fiscale.

Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi. Resiste l’Ufficio mediante controricorso. Il contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. L’accertamento per cui è causa trae origine da una complessa operazione economica avente ad oggetto la cessione della partecipazione, detenuta nella Arroweld “storica” da parte di tutti i soci (ivi compreso la Heraclea, socio maggioritario, a sua volta partecipato dal contribuente), in favore di alcune società del gruppo Mytos (Doride e Creneide), per il corrispettivo di Euro 38.000.000 circa. L’Ufficio ha dunque accertato che il valore effettivo delle quote cedute ammontava, in realtà, a circa Euro 40.000.000, tale essendo la somma del valore del ramo di azienda, ceduto separatamente alla Wingroup, ed il valore del marchio, ceduto alla Locat; la differenza tra il reale valore economico ed i prezzo di cessione dichiarato, costituiva il prezzo dell’intera operazione, ossia il compenso garantito alla Mytos per fornire questa sorta di pacchetto di risparmio fiscale, per cui sul reale valore della cessione l’Ufficio provvedeva a determinare il valore della plusvalenza realizzata dalla Heraclea e dai soci di questa (ivi compreso il ricorrente).

2. Ciò premesso, il sesto ed il settimo motivo formulati dal ricorrente possono essere esaminati preliminarmente, in quanto potenzialmente dotati di capacità assorbente. Con essi il contribuente si duole (ai sensi dell’art. 360, comma 1, rispettivamente nn. 3 e 5) dell’illegittimità della sentenza, per violazione e per falsa applicazione del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 27, (conv. in L. 28 gennaio 2009, n. 2) e per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, evidenziando l’incompetenza della Direzione Regionale del Veneto che aveva condotto le operazioni di verifica. Solo nel 2008, infatti, sarebbe stata assegnata alle Direzioni Regionali il potere di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 31 e ss. e solo relativamente ai c.d. grandi contribuenti, tra i quali non rientrano né la nuova Arroweld né il ricorrente.

2.1. I motivi sono inammissibili.

2.2. Sul punto possono essere richiamate le condivisibili osservazioni svolte da Cass. n. 24224 del 2020, in vicenda sostanzialmente analoga e riguardante altro socio della stessa società.

2.3. Il ricorrente infatti, dopo aver eccepito sia nel ricorso introduttivo sia nella rubrica dei motivi in esame, l’incompetenza “territoriale” dell’Amministrazione, sviluppa il proprio ragionamento intorno al diverso concetto di competenza funzionale, c.d. verticale.

2.4. In ogni caso il motivo è infondato perché, come più volte affermato da questa Corte, “In tema di accertamenti tributari, il D.L. n. 185 del 2008, art. 27 conv. in L. n. 2 del 2009, non ha attribuito alle Direzioni regionali delle entrate una competenza in materia di accertamento fiscale prima inesistente, ma ha inteso fondare su una norma di fonte primaria il riparto delle competenze relative all’attività di verifica fiscale, istituendo una riserva esclusiva di competenza, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertato, a favore della Direzione regionale, già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, utilizzabile dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi” (cfr., da ultimo, Cass. n. 21694 del 2020 e Cass. n. 33289 del 2018).

3. Con il primo motivo, il contribuente, evidenziando la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 12 e della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), lamenta l’irregolarità del procedimento di accertamento, in assenza di un valido processo verbale di contestazione, circostanza che avrebbe precluso la presentazione di osservazioni difensive e dunque l’esercizio del diritto di difesa in fase procedimentale. La contestazione formulata dall’Amministrazione finanziaria, infatti, era sorta a seguito di un “accesso breve” effettuato dalla Direzione Regionale del Veneto a carico della “nuova” Arroweld, ma né nei confronti del contribuente, né verso quest’ultima, venne redatto un processo verbale di contestazione.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. La questione è stata oggetto di esame da parte della CTR, che ha osservato come, nel caso di specie, le garanzie invocate non trovassero alcuna applicazione, in quanto non vi sarebbe stata nei confronti del contribuente alcuna verifica fiscale, ma “solo l’enucleazione di una segnalazione della Direzione Regionale del Veneto, e che, lette le informazioni e la documentazione acquisita, l’Ufficio constatava la violazione e la faceva presente al contribuente tramite l’avviso di accertamento”.

3.3. In generale, sulla questione dell’applicabilità dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, questa Corte ha statuito che “In tema di verifiche fiscali, la regola in base alla quale l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica, determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, si applica anche nel caso di accessi brevi finalizzati all’acquisizione di documentazione, sia perché la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non prevede alcuna distinzione in ordine alla durata dell’accesso, in esito al quale comunque deve essere redatto un verbale di chiusura delle operazioni, sia perché, anche in caso di accesso breve, si verifica l’intromissione autoritativa dell’amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente, che deve essere controbilanciata dalle garanzie di cui al citato art. 12″ (Cass. n. 30026 del 2018), confermando l’applicabilità della norma anche nei casi di accesso breve.

3.4. Tuttavia, l’affermazione del ricorrente, secondo il quale nel caso in esame la contestazione sarebbe sorta al seguito di un accesso breve, non trova alcun riscontro, né egli rappresenta di aver dedotto e dimostrato tale specifica circostanza nelle fasi di merito, tanto più che la CTR, nel prendere in esame la questione,, si è limitata a dare atto che la documentazione venne “acquisita”, senza lasciare emergere ulteriori particolari sul modo attraverso il quale tale acquisizione sia avvenuta (se mediante accesso in luoghi di pertinenza del contribuente, ovvero in altro modo).

3.5. Inoltre, pur volendo ammettere che la documentazione sia stata acquisita dall’Ufficio a seguito di accesso breve presso i locali della società (come affermato dal contribuente), va in ogni caso evidenziato che, come statuito da Cass. n. 18854 del 2020 “In tema di accertamento verso la società in ordine a ricavi non contabilizzati, il termine dilatorio L. n. 212 del 2000, ex art. 12, non opera nei confronti di tutti i contribuenti coinvolti nell’accertamento, ma soltanto di colui che sia raggiunto da verifiche presso i locali aziendali, sicché, stante l’autonomia della posizione del socio rispetto a quella della società, in caso di accertamento eseguito nei confronti dell’ente è irrilevante, ai fini della legittimità dell’accertamento, la mera priorità temporale della notifica del relativo avviso al socio, rispetto a quella relativa alla società sottoposta a verifica, dovendo per questa essere rispettato il suddetto termine di 60 giorni”.

4. Il secondo ed il terzo motivo si soffermano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, rispettivamente nn. 3 e 5, sull’illegittimità della sentenza per violazione o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67 e art. 68, comma 6, nonché per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, avendo la CTR palesemente trascurato il c.d. principio del corrispettivo, affermando l’irrilevanza del fatto che il contribuente non avesse mai incassato somme aggiuntive a quelle dichiarate e tassate. Al contrario proprio dall’art. 68 cit. emergerebbe che le plusvalenze sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito ed il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione. Proprio perché, dunque, nessun ulteriore compenso sarebbe stato percepito dai cedenti, in base al principio del corrispettivo nessuna ulteriore plusvalenza poteva essere legittimamente accertata.

4.1. I motivi, connessi tra loro, sono inammissibili sotto vari profili.

4.2. Innanzitutto, sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 viene in rilievo la preclusione della c.d. doppia conforme, sicché il ricorrente doveva indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.

4.3. Come ripetutamente affermato da questa Corte, infatti, “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (cfr. tra le altre Cass. n. 20994 del 2019 e Cass. 26774 del 2016).

4.4. In secondo luogo, per come è stato articolato il motivo (sempre sotto il profilo del n. 5), non è dato comprendere quale sia il fatto storico decisivo trascurato dalla CTR, dato che quest’ultima si è limitata ad affermare l’irrilevanza del mancato incasso di somme aggiuntive, cosa che il contribuente sostanzialmente condivide in fatto, contestando solo la ritenuta irrilevanza, che, appunto, non costituisce un fatto storico.

4.5. In terzo luogo va condiviso quanto già statuito con la sentenza n. 24244 del 2020 che, decidendo sulla stessa vicenda, sebbene relativamente ad altro socio, ha osservato che nel caso di specie il divario tra il prezzo della cessione dichiarato ed il valore delle partecipazioni cedute, era stato accertato non a seguito di una mera contrapposizione tra il valore normale delle quote trasferite ed il corrispettivo contrattualmente convenuto e dichiarato, ma per effetto del disconoscimento del compenso che sarebbe stato pagato dalla cedente a società dello stesso gruppo Mytos, quali fiduciarie (profilo, nel caso in oggetto, pure preso in considerazione dalla sentenza di primo grado).

5. Il quarto ed il quinto motivo denunciano l’illegittimità della sentenza impugnata, quanto alla totale assenza di un’ipotesi di interposizione fittizia, sia sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, e conseguentemente dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sia sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo la CTR erroneamente ritenuto la Heraclea s.s. mero soggetto interposto per effettuare un risparmio fiscale tramite la neutralizzazione delle plusvalenze con minusvalenze fittizie.

5.1. I motivi sono inammissibili.

5.2. Infatti, la sentenza impugnata prende in considerazione una serie di elementi indiziari, valutandoli in modo coordinato, come: la circostanza della successione temporale, con concomitanza delle date, dei negozi giuridici posti in essere; le dichiarazioni rese dai soci e le memorie integrative depositate, che ben chiarivano il reale valore della cessione; la lettura di un file, denominato “operazione socio”, seguita dal nome dell’appellante, tratto dal server della Mythos; il compenso riconosciuto al gruppo Mythos; l’omessa dichiarazione dei redditi derivanti da plusvalenza e la successiva dichiarazione integrativa effettuata sulla base della plusvalenza originaria. Il contenuto della sentenza impugnata, insomma, in diversi passaggi della motivazione, fonda il meccanismo elusivo proprio sulla condotta reciprocamente coordinata del contribuente, degli altri soci della Arroweld Italia s.p.a. e delle società del Gruppo Mythos.

5.3. Va in ogni caso ricordato che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. n. 24244 del 2020 e Cass. n. 31452 del 2018, anche in motivazione), il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, nel prescrivere che l’imputazione diretta al contribuente “dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni, gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”, possiede palesi finalità antielusive – mirando ad impedire che, attraverso operazioni commerciali compiute mediante negozi giuridici conformi all’ordinamento giuridico, si realizzi lo scopo di sottrarre alla corretta tassazione, in tutto od in parte, il reddito prodotto ed imputabile al medesimo soggetto giuridico – senza necessariamente presupporre un comportamento fraudolento (volto ad aggirare il divieto imposto da una norma imperativa: art. 1344 c.c.), essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante (perché non sorretto da valutazioni economiche diverse dal profilo fiscale) di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale proprio dell’operazione che costituisce il presupposto d’imposta (cfr. Cass. nn. 17128/2018, 25671/2013, 449/2013, 8487/2009).

5.4. Pertanto, il fenomeno della simulazione relativa (nell’ambito del quale può ricomprendersi l’interposizione personale fittizia) non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo mediante operazioni effettive e reali, nelle quali difetta del tutto l’elemento caratteristico dei negozi simulati, costituito dalla divergenza tra la dichiarazione esterna e l’effettiva volontà dei contraenti o meglio dalla relazione funzionale, integrante la causa unitaria, che intercorre tra il negozio apparentemente stipulato (simulato) e quello effettivamente concluso dalle parti (dissimulato).

5.5. Dunque, in tema di accertamento dei redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, imputa al contribuente i redditi formalmente intestati ad un altro soggetto quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, egli ne risulti l’effettivo titolare, senza distinguere tra interposizione fittizia e reale, sicché la sua applicazione non è limitata alle sole operazioni simulate (cfr. Cass. 24244 del 2020; Cass. n 27625 del 2018 e n. 15830 del 2016).

6. Le considerazioni che precedono impongono, dunque, il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso; pone le spese del giudizio di legittimità a carico del ricorrente, liquidandole in Euro 4.100, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

 

 

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