Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33708 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2019, (ud. 06/11/2018, dep. 18/12/2019), n.33708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20928-2014 proposto da:

M.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B,

presso lo studio dell’avvocato MARIO MICELI, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DUILIO 7, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO SANSONI, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1905/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/03/2014 R.G.N. 8901/2012.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata in data 12.3.2014, accogliendo il gravame interposto da M.M.C., nei confronti di C.M.G., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda della lavoratrice, diretta ad ottenere il pagamento della somma di Euro 29.250,29, in proprio favore, per competenze retributive derivanti dal rapporto di lavoro intercorso con la C., ha condannato la datrice di lavoro a versare alla Mela la somma di Euro 25.750,00, oltre accessori come per legge;

che per la cassazione della sentenza ricorre M.M.C. sulla base di due motivi contenenti più censure, cui resiste con controricorso la Georgette;

che sono state comunicate memorie nell’interesse della lavoratrice;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “errores in procedendo compiuti dalla Corte di Appello per errata ricostruzione dei fatti processuali, violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 111 Cost., violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1”, per mancata concessione, nel giudizio di primo grado, di un termine, alla ricorrente, per le osservazioni sui conteggi depositati dalla datrice di lavoro, dalla quale sarebbe derivata la violazione del diritto di difesa, avendo la Corte di merito erroneamente sostenuto che la lavoratrice avrebbe potuto e dovuto contestare i conteggi all’udienza di discussione, senza considerare che essa ricorrente aveva contestato i detti conteggi; inoltre, a parere della M., i giudici di secondo grado non avrebbero preso in considerazione una prova decisiva per il giudizio e non avrebbe indicato su quali elementi avesse fondato la propria decisione; 2) “errores in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost.; error facti”, perchè i giudici di seconda istanza avrebbero violato l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e non avrebbero esaminato un fatto, verificatosi nel corso del giudizio e vertente su un elemento probatorio decisivo per il giudizio stesso, avendo preso in considerazione solo i conteggi prodotti dalla parte datoriale, senza, peraltro, considerare che gli stessi presentavano evidenti errori ed inesattezze;

che i motivi – da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione – sono inammissibile sotto diversi e concorrenti aspetti; innanzitutto, intatti, la parte ricorrente non ha indicato analiticamente sotto quale profilo le norme indicate sarebbero state violate, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, del codice di rito (il cui riferimento è, all’evidenza, sottinteso laddove si lamenti la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.) debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma anche con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); inoltre, nel corso dello stesso motivo, si lamenta che, nel verbale di udienza, in primo grado, la lavoratrice avrebbe tempestivamente chiesto di controdedurre in ordine ai conteggi prodotti dalla C. e che il giudice non avrebbe concesso il termine per le deduzioni, osservando che le stesse dovessero essere svolte all’udienza di discussione: cosa che, peraltro, la M. avrebbe fatto; ma tale verbale non è stato prodotto (e neppure menzionato tra i documenti offerti in comunicazione, elencati nel ricorso per cassazione), nè trascritto, in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014, cit.). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare la veridicità della doglianza svolta dalla ricorrente;

che, inoltre, i mezzi di impugnazione contengono la contemporanea deduzione di violazioni di plurime disposizioni di legge, nonchè di vizi di motivazione (in particolare, il secondo motivo, laddove si lamenta la violazione dell’obbligo di motivazione: pag. 13 del ricorso) e di erronea valutazione delle risultanze istruttorie, oltre all’invocazione di non meglio precisati errores in procedendo, in violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, poichè nella parte argomentativa degli stessi non risulta possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (al riguardo, tra le molte, Cass. nn. 21239/2015; 23675/2013; 7394/2010, 20355/2008, 9470/2008). In particolare, va pure sottolineato che le Sezioni Unite di questa Corte, dinanzi ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., hanno ribadito la stigmatizzazione di tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione, evidenziando “la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irrimediabile eterogeneità” (Cass., S.U., nn. 17931/2013, 26242/2014);

che, peraltro, le censure formulate tendono, all’evidenza, ad una nuova valutazione delle prove, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poichè “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); e, per quanto anche innanzi evidenziato, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale condivisibile dal punto di vista logico-giuridico;

che per le considerazioni svolte in precedenza, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese – liquidate come in dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore del difensore della C., avv. Maurizio Sansoni, dichiaratosi antistatario – seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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