Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33703 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2019, (ud. 16/10/2018, dep. 18/12/2019), n.33703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17319/2014 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONTE ROSSO

5, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE VITALE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPA PIAZZA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ENEL PRODUZIONE S.P.A. c.f. 05617841001, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIUSEPPE GENTILE,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERNANDO

GIAMPAOLO PUGGIONI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 55/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 15/01/2014 R.G.N. 390/2012.

Fatto

RILEVATO

che C.G. conveniva in giudizio l’Enel Produzione S.p.A. chiedendo che, previa declaratoria della spettanza dei relativi diritti, la società venisse condannata al pagamento delle differenze tra l’indennità di anzianità percepita e quella vantata, includendo nella base di calcolo il compenso percepito, in epoca anteriore al 31.5.1982, per il lavoro straordinario prestato e l’indennità guida/ore di viaggio; al pagamento delle quattro mensilità aggiuntive previste dalla contrattazione collettiva di settore del CCNL 1989, art. 43; al versamento della indennità per il mancato godimento del riposo settimanale;

che il Tribunale di Agrigento, con la sentenza n. 521/2011, resa il 7.3.2011, accoglieva esclusivamente la domanda relativa al ricalcolo dell’indennità di anzianità, tenendo conto dello straordinario effettuato nel triennio antecedente al 31.5.1982, condannando la società a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 2.938,07, oltre accessori di legge;

che, avverso tale pronunzia il C. proponeva appello, limitatamente alla parte in cui era stata respinta la domanda relativa alla corresponsione delle quattro mensilità aggiuntive di cui all’art. 43 del CCNL del 1989;

che Enel Produzione S.p.A., spiegava appello incidentale relativamente alla parte in cui la sentenza di prima istanza dichiarava che il lavoratore avesse effettivamente reso, in epoca anteriore al 31.5.1982, delle prestazioni di lavoro straordinario con i requisiti della continuità e costanza, in modo tale da dover essere incluse nella base di calcolo dell’indennità di anzianità; che la Corte territoriale di Palermo, con sentenza pubblicata in data 15.1.2014, in riforma della sentenza gravata, accogliendo l’appello incidentale, dichiarava inammissibile la domanda proposta dal C., condannando quest’ultimo a restituire all’Enel Produzione S.p.A. quanto da essa versato in esecuzione della sentenza medesima, oltre alle spese di lite;

che la Corte di merito, per quanto ancora in questa sede rilevi, ha reputato fondata la doglianza formulata nell’appello incidentale ai sensi dell’art. 2113 c.c., per non avere il giudice di prima istanza attribuito natura transattiva all’atto sottoscritto dal lavoratore in data 24.1.2001, nel quale lo stesso non si è limitato a dare atto del pagamento ricevuto, ma ha anche espressamente rinunziato ad ogni ulteriore pretesa, non con una mera formula di stile, ma sulla base di una dichiarata piena consapevolezza della normativa e del contratto applicabile e dopo avere preso visione dei dati retributivi posti a base del computo della indennità di anzianità;

che per la cassazione della sentenza ricorre C.G., articolando tre motivi contenenti più censure, cui la S.p.A. Enel Produzione resiste con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, nella parte in cui, interpretando il tenore letterale degli atti del 21.12.2001 e del 30.1.2002, non li ritiene delle mere quietanze, dichiarando inammissibile la domanda del C.” e si lamenta che la Corte distrettuale abbia errato “nell’interpretazione data alle suddette scritture, contraddicendo con motivazioni del tutto insufficienti anche le proprie precedenti decisioni sul punto”; 2) la violazione dell’art. 2113 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. e la omessa considerazione di documenti presenti agli atti del giudizio e relativi ad un punto decisivo della controversia e, segnatamente, degli atti di impugnativa ex art. 2113 c.c., avendo il lavoratore sottoscritto la quietanza con riserva ed avendo proposto tempestiva impugnazione innanzitutto in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione in data 8.3.2002; 3) la violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per avere la Corte di merito posto a fondamento della decisione la mancata impugnativa ex art. 2113 c.c., delle dichiarazioni rese dal lavoratore, senza che l’Enel avesse mai eccepito la mancata impugnativa delle stesse;

che i primi due motivi – da esaminare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione non sono meritevoli di accoglimento: ed invero – premesso che il primo motivo è inammissibile per la formulazione non più consona con le modifiche introdotte dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile, ratione temporis, al caso di specie poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 15.1.2014 – la questione prospettata, più in particolare, con il secondo mezzo di impugnazione attiene alla sussistenza o meno della “rinunzia” (e “transazione”) da parte del ricorrente ai diritti dai medesimi “azionati”. Invero, se la soluzione sarà da porsi in senso favorevole alla tesi sostenuta nella sentenza oggetto del presente giudizio, si dovrà pervenire non solo ad una absolutio ab stantia, ma proprio ed altresì ad una abolutio ab actione della società datrice di lavoro. E la soluzione non può che essere favorevole a quest’ultima, per le considerazioni che seguono;

che non può non dirsi, invero, iuxta alligata ed avendo riguardo al contenuto ed al tenore delle dichiarazioni e delle proposizioni adoperate e rilasciate per tabulas dal lavoratore, che questi abbia senz’altro agito con il consapevole e deliberato proposito di porre in essere una precisa manifestazione di volontà negoziale, con cui ha liberamente disposto delle situazioni giuridiche che lo riguardavano e che abbia agito quindi – attraverso la rappresentazione delle reciproche rinunzie e concessioni (datum et retentum) – con l’intento di porre fine alla res controversa e di prevenire ed evitare qualsiasi eventuale lite apud iudicem;

che, come correttamente osservato dalla Corte di merito, si desume altresì, ex actis, che il lavoratore ha operato contrariamente a quanto dal medesimo assunto, con la chiara e piena consapevolezza degli specifici diritti che in esso si subiettivavano: diritti determinati, e comunque oggettivamente determinabili; senza che possa ragionevolmente ed attendibilmente invocare un preteso, tardivo ed indimostrato errore e/o vizio del consenso. Ed al riguardo è sintomatico che il C. non si sia dato cura di cautelarsi tempestivamente, impugnando la dichiarazione de voluntate nel termine di decadenza previsto dall’art. 2113 c.c., in sei mesi e chiaramente finalizzato dal legislatore a non lasciare indefinitamente, o comunque per lungo tempo, sospese ed incerte le situazioni giuridiche connesse al rapporto di lavoro ed a precludere quindi l’eventualità che possa taluno dei soggetti interessati, con una impugnazione “sine die”, porre di nuovo sub iudice la res (non più) controversa, così ledendo l’affidamento creato nella controparte con l’atto di disposizione del proprio diritto, liberamente posto in essere (arg. anche da Corte Cost. 20.3.1974, n. 77); dalla qual cosa, si evince che la predetta transazione deve ritenersi non viziata e, comunque, il fatto che non sia stata impugnata nel termine decadenziale di sei mesi, escluderebbe la rivendicazione delle somme pretese, mancando, appunto, in atti la prova che tale termine decadenziale sia stato osservato, considerando che il ricorso è stato depositato presso il Tribunale di Agrigento il 9.8.2006 e notificato il 27.9.2006, e che i verbali di transazione sono stati sottoscritti il 21.12.2001 e l’1.2.2002. Ed in tale contesto, appaiono, pertanto, puntuali, le osservazioni della società ricorrente, confortate ex actis e recepite nella motivazione dei giudici di secondo grado; e cioè che il lavoratore, lungi dall’avere semplicemente – e solo de scientia – dichiarato “di essere soddisfatto e di non avere null’altro a pretendere”, ha agito nella piena consapevolezza delle norme della contrattazione collettiva applicabili e dopo avere preso visione dei dati retributivi posti alla base del computo di anzianità, tanto da avere percepito l’importo offerto a fronte delle rinunzie alla rivendicazione di pretese connesse al “rapporto di lavoro (ormai) pregresso”. Ciò, invero, conferma ulteriormente l’esistenza di una chiara e ben determinata volizione dei contraenti di prevenire e chiudere definitivamente, mediante le reciproche concessioni, qualsiasi attuale o potenziale controversia;

che, alla stregua di quanto precede, può quindi affermarsi che non vi è dubbio che alle volizioni negoziali de quibus poste in essere dagli attuali contendenti, debba essere riconosciuta natura e portata transattiva-abdicativa; e ciò, non soltanto, come si è già detto, in forza della dichiarazione esteriorizzata e delle proposizioni adoperate, ma in considerazione, inoltre, della evidente correlazione tra la situazione di vantaggio – scaturente dalla erogazione della somma richiesta e la derelictio di altre pretese che avrebbero eventualmente potuto essere avanzate;

che, in definitiva, il concreto volutum, negoziale e non de scientia, è da sussumere nella previsione legislativa astratta ex art. 2113 c.c. e deve, per quanto osservato, ritenersi definitivo ed inoppugnabile, avendo creato con la sua efficacia preclusiva sostanziale, impeditiva di qualsiasi indagine sulla realtà preesistente, non solo una realtà ormai scissa dalla sua fonte – il rapporto di lavoro, coi “diritti primari” ad esso connessi ma altresì non più tangibile, sia de lege sia per il valore di “certezza giuridica” che ad essa si lega e che il legislatore ha voluto all’evidenza consacrare;

che neppure il terzo motivo può essere accolto, in quanto, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità una “omessa pronunzia” – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008); ipotesi, queste, che non si profilano nel caso di specie, in cui la questione relativa alla natura transattiva delle rinunzie del D. era stata oggetto dell’appello incidentale spiegato dalla società, come si evince dallo stesso atto, prodotto con il controricorso;

che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso va respinto;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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