Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3370 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 11/02/2011), n.3370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27217-2008 proposto da:

D.M.M., nella qulità di erede di D.M.A.

S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso

lo studio dell’avvocato TRALICCI GINA, che lo rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, NICOLA VALENTE, CLEMENTINA PULLI, giusta delega in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 5709/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/11/200 r.g.n. 5512/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2010 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13/7/07 la Corte d’Appello di Roma – sezione lavoro dichiarò l’inammissibilità, per intervenuta decadenza, della domanda con la quale D.M.M., titolare di pensione richiesta il 14/8/84 e riconosciutagli a decorrere dal gennaio del 1984, aveva preteso la condanna dell’Inps al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 1302,48 a titolo di residuo credito previdenziale scaturente dalla incompleta corresponsione della prestazione arretrata per effetto della erronea imputazione iniziale delle somme alla sorte capitale anzichè agli interessi maturati, in violazione della norma di cui all’art. 1194 c.c.. In pratica, la Corte romana ritenne che era meritevole di accoglimento l’eccezione preliminare di decadenza sollevata dall’Inps, in quanto non soggetta a preclusioni, nonostante che il rigetto del ricorso in primo grado fosse dipeso dalla decisione del giudicante di ritenere equiparabile ad acquiescenza del creditore il notevolissimo lasso temporale di sedici anni trascorso dall’avvenuta corresponsione delle somme in questione, prima che venisse sollevata da quest’ultimo la contestazione della erronea imputazione del loro pagamento. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il D.M., affidando l’impugnazione ad un solo articolato motivo di censura.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di censura il D.M. si duole della violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo agli artt. 346, 333 e 324 c.p.c., del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 come sostituito dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4 convertito con modificazioni nella L. 14 novembre 1992, n. 438.

In particolare, il ricorrente contesta la rilevata decadenza della domanda da parte della Corte d’appello osservando che in primo grado l’Inps si era costituito tardivamente e che il giudicante, respingendo nel merito il ricorso sulla scorta della ritenuta sussistenza di una ipotesi di sua acquiescenza all’operato dell’istituto previdenziale, aveva finito implicitamente per considerare come superata ogni questione pregiudiziale, ivi compresa la decadenza, rispetto alla quale doveva, perciò, ritenersi formato il giudicato.

Il D.M. pone, quindi, un primo quesito diretto ad accertare se, in presenza di una decisione di rigetto nel merito implicante il superamento della questione preliminare sulla decadenza, rispetto alla quale alcuna impugnazione incidentale o condizionata era stata proposta, poteva il giudice d’appello affrontare una tale eccezione preliminare, accogliendola.

Inoltre, il ricorrente sostiene che la decisione oggi impugnata è il frutto di una erronea applicazione dell’ipotesi di decadenza contemplata dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 posto che ai fini della verifica di tale causa estintiva occorreva aver riguardo allo scadere dei trecento giorni dalla data di presentazione della richiesta della prestazione in sede amministrativa. In particolare, secondo tale tesi occorreva considerare, da una parte, che nella fattispecie vi era stata allegazione, nel fascicolo di primo grado, della copia della domanda, ricevuta dall’Inps il 12/5/97, con la quale si era chiesto il pagamento degli accessori di legge e, dall’altra, si doveva tener conto della circostanza per la quale il giudice d’appello aveva considerato che il termine di decadenza era quello di durata decennale, trattandosi di domanda che soggiaceva “ratione temporis” alla disciplina applicabile prima del 1992, per cui doveva dedursi che alla data del deposito del ricorso del 15/7/2003 non era maturata alcuna decadenza.

Anche a tal riguardo il ricorrente formula il quesito diretto ad accertare se poteva essere accolta la domanda di pagamento degli accessori nell’ipotesi di presentazione della relativa istanza prima dello scadere del termine decennale decadenziale, termine da computarsi a decorrere dalla data di esaurimento dell’iter amministrativo. Infine, il D.M. sostiene l’inapplicabilità della decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 alla fattispecie in esame, in quanto, a suo dire, non è vantato un diritto autonomo e distinto rispetto a quello concernente la prestazione previdenziale originaria, bensì solo un adeguamento della stessa.

A tal proposito viene posto il quesito tendente ad accertare se il giudice d’appello poteva dichiararlo decaduto dal diritto a conseguire gli accessori di legge in forza di una norma che si riferiva esplicitamente solo alla prestazione principale. Il ricorso è infondato.

Anzitutto, appare opportuno iniziare la trattazione proprio dall’esame dell’ultimo quesito di diritto, in quanto attraverso lo stesso viene messa in discussione l’applicazione, nel caso concreto, della speciale norma di decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 (come sostituito dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4), sulla base della quale il giudice d’appello ha, invece, risolto in via preliminare la causa. Orbene, il presupposto dal quale parte il ricorrente per escluderne l’applicazione non è condivisibile in quanto non è esatto affermare che nella fattispecie si versa in ipotesi di semplice adeguamento economico della prestazione principale, cioè la pensione liquidatagli dall’Inps nel lontano 2 febbraio 1987, trattandosi, invece, di credito residuo formatosi per effetto dell’erronea imputazione del pagamento al capitale anzichè agli interessi, iniziati a maturare dalla data della domanda amministrativa del 14/8/84.

Infatti, nella parte narrativa della sentenza impugnata è chiaramente spiegato che a sostegno della domanda il ricorrente aveva affermato che il pagamento della prestazione doveva essere imputato ex art. 1194 c.c. prima agli interessi e poi alla sorte capitale e che, quindi, l’Inps non gli aveva ancora corrisposto completamente la prestazione arretrata, mentre il giudice di primo grado gli aveva rigettato il ricorso affermando che la contestazione dell’imputazione delle somme erogate effettuata dopo sedici anni dall’avvenuto pagamento equivaleva ad acquiescenza all’operato dell’istituto.

In concreto, trattandosi di un credito sorto per effetto della richiesta di applicazione della norma di cui all’art. 1194 c.c. in materia di corretta imputazione dei pagamenti, non si vede come il lamentato parziale adempimento potesse sottrarsi alla regola della decadenza di cui al citato D.P.R. n. 369 del 1970, art. 47 norma, questa, che, in ogni caso, è ritenuta applicabile, per orientamento di questa Corte, anche agli accessori di legge, quali interessi legali e rivalutazione monetaria, oltre che alle ipotesi di parziale adempimento delle prestazioni previdenziali (come di fatto configuratasi alla fine quella in esame). Invero, come si è già avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 20985 del 29/10/04/2004), “in materia di prestazioni previdenziali erogate dall’INPS in relazione alla disoccupazione involontaria (nella specie, indennità di disoccupazione speciale), il termine di decadenza per proporre l’azione giudiziaria riguarda sia il credito per la sorte capitale che il credito (eventuale) per la rivalutazione monetaria e gli interessi, stante l’accessorietà dell’obbligazione relativa”. Si è, inoltre, affermato (Cass. sez. lav. n. 9560 dell’11/04/2008) che “in tema di indennità di disoccupazione involontaria, soltanto l’esercizio dell’azione giudiziaria entro il termine previsto dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 impedisce la decadenza e la conseguente estinzione del diritto all’indennità anzidetta, sicchè l’accettazione del relativo pagamento parziale e, segnatamente, dell’importo base dell’indennità non integrato dalla rivalutazione monetaria prevista dalla sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 1988, pur costituendo una facoltà del creditore (art. 1181 cod. civ.), non impedisce, tuttavia, la suddetta decadenza, in quanto l’adeguamento della misura dell’indennità non si configura come diritto autonomo. Ne consegue che il termine decadenziale deve essere calcolato con riferimento alla data di presentazione della iniziale domanda amministrativa di concessione dell’indennità – ed al procedimento amministrativo eventualmente instaurato in relazione alla stessa domanda – e non già con riferimento alla data di presentazione della richiesta di adeguamento della misura della indennità medesima”.

Può, quindi, procedersi all’esame del quesito col quale si è dubitato della rilevabilità d’ufficio in appello dell’eccezione di decadenza sollevata nello stesso grado di giudizio dall’ente previdenziale. Il dubbio viene rapportato dal ricorrente alla tardività della costituzione dell’ente previdenziale in prime cure ed alla mancanza di una qualsiasi impugnazione incidentale o condizionata avverso l’implicito rigetto di ogni questione pregiudiziale o preliminare, insito nella decisione di merito sfavorevole al ricorrente.

Anche in tal caso va, anzitutto, colta l’erroneità del presupposto del quesito che da per scontato, pur non essendolo, che possa essersi formato un giudicato in ordine ad un implicito rigetto della questione preliminare della decadenza, che, invece, non è dato affatto cogliere nella fattispecie.

Infatti, è sufficiente leggere la sentenza nella sua interezza per rendersi conto che in nessuna parte di essa è detto che in primo grado fu affrontata la questione preliminare della decadenza, Invero, nella parte narrativa della sentenza è spiegato che in primo grado l’Inps aveva sollevato la questione preliminare della prescrizione, mentre in appello lo stesso ente aveva eccepito preliminarmente la decadenza dall’azione, riproponendo tutte le altre eccezioni svolte in prime cure. Nella parte motivazionale è poi affermato, in maniera altrettanto chiara, che deve accogliersi l’eccezione sollevata dall’Inps nel presente grado di giudizio, in quanto non soggetta a preclusioni. Se ne deve dedurre che non può esservi stato un implicito rigetto di una questione non sollevata in primo grado e, di conseguenza, nemmeno può essersi formato in proposito un giudicato.

In ogni caso, non può non rilevarsi che, trattandosi di ipotesi di decadenza sostanziale prevista nel pubblico interesse, essa è sottratta alla disponibilità delle parti ed è, perciò, rilevabile d’ufficio, anche in caso di sua tardiva proposizione.

Si è, infatti, già precisato (Cass. sez. lav. n. 12508 del 21/9/00 e succ. conf. C. sez. lav. nn. 12473/03 e 1313/02) che “la decadenza processuale, che sanziona – a norma del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, commi 2 e 3 nel testo di cui al D.L. n. 384 del 1992, art. 4, comma 1, convertito dalla L. n. 438 del 1992 – la mancata proposizione, entro termini computati in riferimento a determinati svolgimenti del procedimento amministrativo, dell’azione giudiziaria diretta al riconoscimento di determinate prestazioni previdenziali, è dettata a protezione dell’interesse pubblico alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti su bilanci pubblici e, di conseguenza, è sottratta alla disponibilità della parte: pertanto tale decadenza è rilevabile d’ufficio – salvo il limite del giudicato – in ogni stato e grado del giudizio, e quindi è opponibile anche tardivamente dall’istituto previdenziale. (Nella specie la questione era stata sollevata dall’INPS per la prima volta con l’atto d’appello)”.

Infine, va rilevata la inammissibilità del quesito che fa leva sulla copia della domanda amministrativa del 12/5/97 diretta al conseguimento degli accessori di legge al fine di dedurre che vi sarebbe stato, grazie a tale richiesta, uno spostamento temporale in avanti della decorrenza del termine di decadenza. La ragione dell’inammissibilità è rappresentata dal fatto che il quesito è basato sulla affermata esistenza di un documento del quale, in aperta violazione del principio della autosufficienza, non è indicato in quale parte del fascicolo di primo grado è contenuto, nè è spiegato in quale fase del giudizio fu prodotto, nè quali furono i termini precisi della questione in merito al suo contenuto, nè quale fu l’esatto contenuto dello stesso, essendone riportati solo alcuni passaggi.

Come è stato autorevolmente statuito dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. Ord. n. 7161 del 25/3/2010), “in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che i fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso”.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Non va adottata alcuna statuizione sulle spese del presente giudizio non essendovi stata costituzione dell’ente intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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