Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33697 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2019, (ud. 02/10/2018, dep. 18/12/2019), n.33697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3593/2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

C. MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1367/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/03/2013 R.G.N. 4994/2010.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza emessa il 6.2.2013, depositata il 7.3.2013, ha riformato la pronunzia del Tribunale della stessa sede del 27.11.2009, dichiarando la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra Poste Italiane S.p.A. e C.A., relativamente al periodo 6.6.2002-30.6.2002, per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”, ed altresì la prosecuzione giuridica del rapporto di lavoro ed il diritto al risarcimento del danno pari a quattro mensilità di retribuzione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della messa in mora;

che per la cassazione della sentenza Poste Italiane S.p.A. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi;

che la C. è rimasta intimata;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., nonchè del D.Lgs. n. 368 del 2001, per avere la Corte territoriale erroneamente omesso di considerare il contenuto degli accordi collettivi menzionati nel contratto individuale, idoneo a riscontrare che gli elementi di specificazione – richiesti dal D.Lgs. n. 368 del 2001 – erano perfettamente sussistenti; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, in relazione all’art. 12 preleggi, per avere la Corte territoriale omesso di considerare la possibilità della compresenza di più ragioni giustificative dell’apposizione del termine tra esse non incompatibili a costituire elemento di sufficiente specificazione delle esigenze sottese al contratto; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del D.Lgs. n. 368 del 2001, in relazione all’art. 2697 c.c., assumendosi che la Corte territoriale avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova non tenendo conto del mutato quadro normativo di riferimento, alla stregua del quale il datore di lavoro sarebbe ormai esonerato da ogni onere probatorio circa le ragioni che avevano indotto le parti alla stipula di un contratto a termine, essendo ciò limitato esclusivamente alle esigenze legittimanti la eventuale proroga dello stesso; 4) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7 e dell’art. 429 c.p.c., comma 3, “nella misura in cui la Corte territoriale condanna la società al pagamento dell’indennizzo (4 mensilità) L. n. 183 del 2010, ex art. 32, oltre rivalutazione monetaria ed interessi”, senza considerare che la detta indennità “non ha natura retributiva, nè propriamente risarcitoria, ma esclusivamente forfetaria ed omnicomprensiva del danno conseguente alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro”; pertanto, a parere della società, nella fattispecie, “gli accessori ex art. 429 c.p.c., comma 3, sono dovuti solo a decorrere dalla data della sentenza che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa”;

che il primo motivo è infondato perchè, come più volte sottolineato da questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. n. 16702/2010), dagli Accordi indicati nel contratto si desume l’attivazione, nel periodo dagli stessi considerato e nell’ambito del processo di ristrutturazione in atto, di processi di mobilità all’interno dell’azienda al fine di riequilibrare la distribuzione su tutto il territorio nazionale, ma la persistenza, all’epoca dell’assunzione della C., della fase attuativa della procedura di mobilità di cui agli accordi suindicati non è sufficiente ad integrare le ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 e cioè ad individuare, in seno al contratto, le esigenze tecniche, organizzative e produttive che, oggettivamente, avevano reso necessaria l’assunzione della lavoratrice nell’ambito della struttura di destinazione, con specifico riferimento alle mansioni affidate: la Corte di appello di Roma ha puntualmente fatto applicazione di tali principi ritenendo appunto indispensabile che le ragioni dell’apposizione del termine fossero rapportate alla concreta situazione riferibile al singolo lavoratore ed altresì che l’onere della prova incombesse sul datore di lavoro (v., ex plurimis, Cass. nn. 22716/2012; 2279/2010);

che il secondo motivo non coglie nel segno perchè la Corte distrettuale non ha accolto la domanda per la inidoneità della compresenza, in seno al contratto, di più ragioni, fra esse non incompatibili a costituire elemento di sufficiente specificazione delle esigenze sottese al contratto, bensì, come detto, anche per una diversa ratio decidendi costituita dalla mancanza di prova in concreto delle specifiche esigenze relative all’ufficio di destinazione, alle mansioni ed alla qualifica della lavoratrice;

che il terzo motivo non può essere accolto perchè – anche prescindendo dall’errato riferimento dell’art. 360 c.p.c., n. 4, anzichè al n. 3 dello stesso articolo -, stabilito che l’onere della prova è a carico del datore di lavoro, quest’ultimo, come innanzi rilevato, non ha fornito elementi di delibazione in ordine alla pretesa legittimità, nella fattispecie, del ricorso all’assunzione a termine della lavoratrice di cui si tratta;

che il quarto motivo – che investe la decorrenza della rivalutazione monetaria e degli interessi sull’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5 – è fondato: ed invero, al riguardo, va osservato che la Corte di merito si è uniformata agli ormai consolidati arresti giurisprudenziali in materia di interessi e rivalutazione monetaria sull’indennità erogata della L. n. 183 del 2010, ex art. 32 (cfr., ex plurimis, Cass. n. 3062/2016), del tutto condivisi da questo Collegio; per la qual cosa è da reputare che la Corte territoriale abbia correttamente fatto applicazione di tale consolidato orientamento quantificando l’indennità spettante alla lavoratrice ai sensi dell’art. 32 citato, per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronunzia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461/2015), mentre ha errato nello stabilire che gli interessi e la rivalutazione monetaria su detta indennità fosse da calcolare dalla data della messa in mora, anzichè a decorrere dalla data della pronunzia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine ai contratti di lavoro subordinato (cfr., tra le altre, Cass. n. 3062/2016, cit., n. 3027/2014), come correttamente osservato dalla società e, quindi, dalla data della pronunzia di appello (6.2.2013);

che, pertanto, la sentenza va cassata limitatamente al motivo accolto; rigettati i primi tre; e, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., questa Corte, decidendo nel merito, dispone che la rivalutazione monetaria e gli interessi dovuti sulla detta indennità decorrano dal 6.2.2013, data, appunto, della pronunzia della sentenza di appello (depositata il successivo 7.3.2013);

che, dato l’esito dell’intero giudizio, vanno confermate le statuizioni in ordine alle spese contenute nelle sentenze di merito; nulla va disposto per le spese relative al presente giudizio, non avendo la C. svolto attività difensiva;

che, avuto riguardo, infine, alla conclusione del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso; rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara dovuti gli accessori sull’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, dal 6/2/2013; conferma le statuizioni in ordine alle spese contenute nelle sentenze di merito; nulla per il presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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