Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33694 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2019, (ud. 19/09/2018, dep. 18/12/2019), n.33694

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12621/2014 proposto da:

ALITALIA COMPAGNIA AEREA ITALIANA S.P.A., AIR ONE S.P.A., in persona

dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI e

MAURIZIO SANTORI, che le rappresentano e difendono giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUIGI PAU,

VINCENZO DE MICHELE, ALESSANDRO MELONI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

SOGEAAL S.P.A., ADECCO S.P.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 240/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 18/11/2013 R.G.N. 43/2013.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza depositata il 18.11.2013, la Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, accogliendo il gravame interposto da P.S., nei confronti di Alitalia S.p.A. ed Air One S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale di Sassari resa in data 11.12.2012, ha dichiarato “la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra la lavoratrice ed EAS S.p.A. ad ottobre 2009 e costituito, dalla data indicata, tra le parti, un rapporto a tempo indeterminato”, ordinando a “Sogeal S.p.A. la riammissione in servizio della appellante nelle medesime mansioni attività e modalità di prestazione” e condannando “le appellate Alitalia, Airone e Sogeal in solido a corrisponderle tutte le maggiorazioni contrattuali connesse alla anzianità pregressa e maturata in ragione dei vari rapporti a termine e nel corso degli stessi ed al risarcimento del danno L. n. 183 del 2010, ex art. 32, al risarcimento del danno equivalente a sei volte la mensilità di fatto percepita nel corso dell’ultimo rapporto a termine e alla rifusione delle spese del doppio grado…”;

che avverso tale sentenza Alitalia Compagnia Aerea Italiana S.p.A.(ora Compagnia Aerea Italiana S.p.A.) ed Air One S.p.A. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

che la P. ha resistito con controricorso;

che sono state depositate memorie nell’interesse delle società e della P.;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, art. 2697 c.c., artt. 421,115 e 116,112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di contratti ed accordi collettivi e si lamenta che la corte di Appello avrebbe dichiarato illegittimi i contratti di cui si tratta, sulla base di argomentazioni di diritto erronee e contrastanti con il prevalente orientamento giurisprudenziale e che la sentenza impugnata sarebbe frutto di una falsa applicazione sia della disciplina prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, sia della disciplina relativa alla ripartizione dell’onere probatorio tra le parti e del diritto di difesa, nonchè degli accordi collettivi vigenti nel periodo in causa; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. e si lamenta che i giudici di merito avrebbero erroneamente respinto l’eccezione di violazione dei predetti articoli, tempestivamente sollevata dalle società ricorrenti, rispetto all’appello interposto dalla P., “palesemente carente dell’esposizione dei fatti e dei motivi specifici di impugnazione”; 3) la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 4 e 5, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e si deduce che i giudici di seconda istanza avrebbero errato nel riconoscere i richiesti scatti di anzianità, violando così la norma citata, perchè la conversione del rapporto a tempo indeterminato dispiegherebbe attualmente i propri effetti, dal punto di vista dell’obbligo retributivo e contributivo in capo al datore di lavoro ex nunc e non ex tunc;

che il primo motivo è inammissibile sotto diversi e concorrenti profili: innanzitutto, le parti ricorrenti, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non hanno fornito specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); ed invero, nel caso in esame, manca la focalizzazione del momento di conflitto, rispetto alle censure sollevate, dell’accertamento operato dalla Corte territoriale all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011) e, pertanto, le doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria;

che, inoltre, il mezzo di impugnazione contiene la contemporanea deduzione di violazioni di plurime disposizioni di legge, nonchè di vizi di motivazione e di erronea valutazione delle risultanze istruttorie, oltre all’invocazione di errores in procedendo, in violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, poichè nella parte argomentativa degli stessi non risulta possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (al riguardo, tra le molte, Cass. nn. 21239/2015; 23675/2013; 7394/2010, 20355/2008, 9470/2008). In particolare, va pure sottolineato che le Sezioni Unite di questa Corte, dinanzi ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., hanno ribadito la stigmatizzazione di tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione, evidenziando “la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irrimediabile eterogeneità” (Cass., S.U., nn. 17931/2013, 26242/2014);

che, peraltro, le censure formulate tendono, all’evidenza, ad una nuova valutazione delle prove, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poichè “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); e, per quanto anche innanzi evidenziato, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale del tutto condivisibile dal punto di vista logico-giuridico;

che, per quanto, poi, attiene al dedotto “vizio di motivazione”, si osserva che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, in data 18.11.2013, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale, come osservato in precedenza, con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, stabilito che l’onere della prova è a carico del datore di lavoro, è ius receptum che il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali denunciabile in sede di legittimità – peraltro nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, come definito da Cass., S.U. n. 22726/2011 – deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova e del contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, sulle quali il giudice di legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (arg. ex Cass. nn. 21486/2011; 17915/2010); nella specie, si rileva che non è stata versata in atti in questa sede “la documentazione offerta dalla società sin dal primo grado a conferma della concreta sussistenza dei presupposti per poter legittimare l’apposizione del termine al contratto”: e ciò, in violazione del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c.;

che, infine, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità la violazione dell’art. 112 c.p.c. – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, la pronunzia su una domanda non proposta; la qual cosa non si profila nel caso di specie, in cui, nella sostanza, viene in considerazione l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda; attività, quest’ultima, che integra un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in Cassazione, se non sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (cfr., tra le molte, Cass. nn. 7932/2012; 20373/2008). Il giudice, infatti, ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificando i fatti costitutivi e fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio. E, nel caso di specie, i giudici di secondo grado non hanno introdotto nel processo una causa petendi diversa da quella enunciata dalla parte a sostegno della domanda;

che il secondo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., non avendo le parti ricorrenti riportato, nè trascritto, l’atto di appello sul quale è incentrata la censura oggetto del mezzo di impugnazione; per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità della doglianza svolta;

che il terzo motivo non è fondato, in quanto, alla stregua dei recenti arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. nn. 14827/2018; 13732/2014; 13630/2014), del tutto condivisa da questo Collegio, in caso di conversione in un unico rapporto di più contratti di lavoro a termine, l’indennità omnicomprensiva dovuta al lavoratore non copre le eventuali differenze retributive maturate nel corso del rapporto e la relativa prescrizione decorre dalla sua cessazione; correttamente, quindi, la sentenza oggetto del presente giudizio ha riconosciuto, oltre all’indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, anche le differenze retributive derivanti dalla ricostruzione della carriera;

che il ricorso va dunque respinto, non risultando i motivi articolati idonei a scalfire le puntuali argomentazione della Corte di merito;

che le spese – liquidate come in dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore dei difensori della P., avv.ti Luigi Pau ed Alessandro Meloni, dichiaratisi antistatari -, seguono la soccombenza; che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge, da distrarre.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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