Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33693 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2019, (ud. 19/09/2018, dep. 18/12/2019), n.33693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9165/2014 proposto da:

ALITALIA COMPAGNIA AEREA ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI e MAURIZIO

SANTORI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO

PRESTINARI, 13, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PALLINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO SCARPELLI r.g.n.

1143/2011;

– controricorrente –

e contro

AIR ONE S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 995/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/10/2013 R.G.N. 1143/2011.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza pubblicata il 8.10.2013, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede n. 4865/2010 – che, in accoglimento del ricorso proposto da B.R., aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra quest’ultimo ed Air One S.p.A. il 17.5.2007, accertando, altresì, che tra Alitalia Compagnia Aerea S.p.a. e Air One S.p.A. è intervenuta la cessione del ramo di azienda relativo all’esercizio degli aereomobili (OMISSIS), in cui era in forza il ricorrente, con condanna di Alitalia Compagnia Aerea S.p.A. a ripristinare il rapporto di lavoro nelle mansioni in precedenza svolte o in altre equivalenti ed a corrispondere al lavoratore le retribuzioni globali di fatto (pari ad Euro 6.175,69 mensili) maturate dal 25.1.2010 alla effettiva riammissione in servizio, oltre accessori di legge -, ha condannato Alitalia CAI S.p.A. al pagamento, in luogo delle retribuzioni dalla messa in mora alla sentenza, dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, nella misura di cinque mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione ed interessi dal 21.5.2008 al saldo;

che avverso tale sentenza Alitalia Compagnia Aerea Italiana S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;

che il B. ha resistito con controricorso;

che sono state depositate memorie nell’interesse della società;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, art. 2697 c.c., artt. 421,115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto la sussistenza, nel caso di specie, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, per effetto della conversione del primo contratto a tempo determinato stipulato per esigenze sostitutive tra il lavoratore e la Air One S.p.A., sul presupposto dell’avvenuta apposizione di un termine nullo a quel contratto di lavoro, convertendo l’intero rapporto di lavoro in un rapporto a tempo indeterminato; in tal modo, discostandosi dall’orientamento della Corte di legittimità nella materia e senza considerare che il contratto specificava per iscritto e dettagliatamente le esigenze sottese alla stipulazione dello stesso, legittimando così l’apposizione per iscritto della clausola di limitazione temporale nel rispetto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2 e della successiva circolare interpretativa del Ministero del lavoro n. 42/2002; si lamenta che i giudici di merito avrebbero esteso “l’esame oltre i limiti della domanda”, violando, in tal modo, il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, perchè ha dichiarato l’illegittimità del contratto, ritenendo che la società Air One avrebbe dovuto assumere il B. per esigenze sostitutive e non per esigenze tecnico-produttive, come riportato nella lettera di assunzione; 2) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere la Corte di merito considerato che era onere del lavoratore provare l’appartenenza al ramo ceduto di Air One ad Alitalia e che mancava nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ogni riferimento alle motivazioni in punto di fatto e di diritto per le quali il lavoratore avrebbe dovuto transitare in Alitalia CAI in relazione ad un contratto a tempo determinato non intercorso con l’odierna ricorrente; pertanto, secondo la prospettazione della ricorrente, la Corte di Appello avrebbe erroneamente condannato la società Alitalia CAI a riammettere in servizio il B. in base ad un contratto a termine rispetto al quale la stessa è del tutto estranea;

che il primo motivo – che presenta numerosi profili di inammissibilità, anche in considerazione del fatto che, nella sostanza, tende ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede non è meritevole di accoglimento;

che, innanzitutto, la parte ricorrente, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non ha fornito specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); ed invero, nel caso in esame, manca la focalizzazione del momento di conflitto, rispetto alle censure sollevate, dell’accertamento operato dalla Corte territoriale all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011) e, pertanto, le doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria;

che, inoltre, il mezzo di impugnazione contiene la contemporanea deduzione di violazioni di plurime disposizioni di legge, nonchè di vizi di motivazione e di erronea valutazione delle risultanze istruttorie, oltre all’invocazione di errores in procedendo, in violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, poichè nella parte argomentativa degli stessi non risulta possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (al riguardo, tra le molte, Cass. nn. 21239/2015; 23675/2013; 7394/2010, 20355/2008, 9470/2008). In particolare, va pure sottolineato che le Sezioni Unite di questa Corte, dinanzi ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., hanno ribadito la stigmatizzazione di tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione, evidenziando “la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irrimediabile eterogeneità” (Cass., S.U., nn. 17931/2013, 26242/2014);

che, peraltro, le censure formulate tendono, all’evidenza, ad una nuova valutazione delle prove, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poichè “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); e, per quanto anche innanzi evidenziato, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale del tutto condivisibile dal punto di vista logico-giuridico;

che, per quanto, poi, attiene al dedotto “vizio di motivazione”, si osserva che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, in data 8.10.2013, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale, come osservato in precedenza, con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, stabilito che l’onere della prova è a carico del datore di lavoro, è ius receptum che il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali denunciabile in sede di legittimità – peraltro nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, come definito da Cass., S.U. n. 22726/2011 – deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova e del contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, sulle quali il giudice di legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (arg. ex Cass. nn. 21486/2011; 17915/2010); nella specie, si rileva che non è stata versata in atti in questa sede “la documentazione offerta dalla società sin dal primo grado a conferma della concreta sussistenza dei presupposti per poter legittimare l’apposizione del termine al contratto”: e ciò, in violazione del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c.;

che, infine, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità la violazione dell’art. 112 c.p.c. – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il richiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, la pronunzia su una domanda non proposta; la qual cosa non si profila nel caso di specie, in cui, nella sostanza, viene in considerazione l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda; attività, quest’ultima, che integra un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in Cassazione, se non sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (cfr., tra le molte, Cass. nn. 7932/2012; 20373/2008). Il giudice, infatti, ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificando i fatti costitutivi e fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio. Nel caso di specie, i giudici di secondo grado non hanno introdotto nel processo una causa petendi diversa da quella enunciata dalla parte a sostegno della domanda, ma hanno reso la pronunzia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti;

che il secondo motivo non è fondato, in quanto, con argomentazioni condivisibili e scevre da vizi logico-giuridici, i giudici di seconda istanza hanno reputato che, nel caso di specie, sussistesse la legittimazione di Alitalia CAI S.p.A., essendo rimasto delibato documentalmente che il rapporto di lavoro di cui si tratta intercorresse con la detta società al momento della cessione del ramo di azienda (cfr., pure, tra le altre, Cass. n. 14827/2018): ed invero, come sottolineato nella sentenza oggetto del presente giudizio, il B. aveva dedotto sin dall’inizio, senza che, sul punto, vi fosse contestazione da parte della società, che il rapporto di lavoro, iniziato con Air One S.p.A., era proseguito con Alitalia CAI S.p.A.; ed inoltre aveva prodotto documentazione relativa alla scissione parziale del 9.11.2009 di Air One ed il conferimento di ramo d’azienda riguardante gli Airbus (OMISSIS), alla cui conduzione egli era assegnato, ad Alitalia CAI S.p.A.;

che il ricorso va dunque respinto, non risultando i motivi articolati idonei a scalfire le puntuali argomentazione della Corte di merito;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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