Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33691 del 31/12/2018

Cassazione civile sez. un., 31/12/2018, (ud. 18/12/2018, dep. 31/12/2018), n.33691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sez. –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 6954 del 2018 promosso da:

C.P.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato

Francesco Calderaro;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e

presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 4124/2017 in data 31

agosto 2017.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18 dicembre 2018 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RITENUTO

che C.P.S., assistente capo della Polizia di Stato, è stato destituito dal servizio (con decreto del Ministero dell’interno del 30 agosto 2013) in esito a procedimento disciplinare (delibera del Consiglio provinciale di disciplina del 7 giugno 2013);

che il ricorso avverso il provvedimento di destituzione è stato rigettato dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria con sentenza in data 15 settembre 2016;

che l’appello avverso la suddetta pronuncia è stato rigettato dal Consiglio di Stato con sentenza resa pubblica mediante deposito in segreteria il 31 agosto 2017;

che per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato il C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 febbraio 2018, sulla base di un unico, complesso motivo;

che l’intimato Ministero dell’interno non ha svolto controricorso, ma ha depositato un atto di costituzione ai fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione;

che il ricorso per cassazione è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo il ricorrente, lamentando “violazione dell’art. 111 Cost., u.c., in relazione agli artt. 360 e 362 c.p.c. e art. 110 cod. proc. amm.”, deduce:

di volere “in questa sede” “impugnare anche per revocazione la sentenza del Consiglio di Stato”, sussistendo “errore di fatto revocatorio e conseguente abbaglio dei sensi del giudice, errore non rilevato neanche dal Consiglio di Stato”;

– di avere già in appello “reiterato l’eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (per essere la controversia devoluta alla cognizione del giudice penale in punto di perizia)”, intendendo “denunciare i pur numerosi vizi logici e le pur evidenti violazioni di legge di cui… era affetta la sentenza appellata”;

– che “la valutazione doveva essere attinente agli atti amministrativi, e non poteva in alcun modo sfociare in valutazioni e controlli, su materie che sono di esclusiva competenza del giudice penale e di quella del Tribunale ordinario civile”;

che il motivo così articolato è sviluppato dopo avere il ricorrente affermato di proporre ricorso per cassazione sulla base dei seguenti motivi (già fatti valere nel ricorso dinanzi al TAR): (1) “eccesso di potere, per grave travisamento dei fatti e difetto di istruttoria”; (2) “difetto di istruttoria e motivazione irrazionale”; (3) “violazione dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 97 Cost., ed elusione dei principi indicati dalla giurisprudenza in ordine alla durata complessiva della procedura disciplinare”; (4) “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, art. 20 – elusione dei termini di difesa dell’incolpato”; (5) “stesso motivo precedente – inoltre elusione della L. n. 241 del 1990 e violazione dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 97 Cost.”; (6) “eccesso di potere per evidente sproporzione della sanzione deliberata – sviamento”;

che la complessiva doglianza è inammissibile;

che con essa il ricorrente, nel reiterare innanzitutto censure già svolte con il ricorso innanzi al TAR, deduce errores in procedendo e in iudicando in cui sarebbero incorsi l’autorità amministrativa che ha irrogato la sanzione disciplinare e, poi, il giudice amministrativo, anche di appello, che ha respinto l’impugnativa contro quel provvedimento, ma tali errori fuoriescono dall’ambito del sindacato esercitabile dalle Sezioni Unite nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato, giacchè il ricorso per cassazione avverso le stesse è ammesso per i “soli” motivi inerenti alla giurisdizione;

che l’intervento delle Sezioni Unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dal supposto “errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”, tanto più che l’ordinamento processuale prevede, avverso le sentenze del Consiglio di Stato affette da un tale vizio, l’apposito rimedio della revocazione, esperibile all’interno del plesso della giurisdizione amministrativa (art. 106 cod. proc. amm.);

che, inoltre, quanto alla denunciata affermazione di giurisdizione, da parte del giudice amministrativo, su materie che sarebbero invece “di esclusiva competenza del giudice penale e di quella del Tribunale ordinario civile”, è sufficiente richiamare, nel senso della inammissibilità della censura, il principio secondo cui colui che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre impugnazione contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione (Cass., Sez. U., 20 ottobre 2016, n. 21260; Cass., Sez. U., 24 settembre 2018, n. 22439);

che, infine, la denuncia, nel ricorso, di violazione della sfera di competenza del legislatore è meramente affermata, non essendo accompagnata dalla specifica deduzione di quale sarebbe la norma che il Consiglio di Stato avrebbe creato, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete;

che il ricorso è, dunque, inammissibile;

che non vi è luogo a statuizione sulle spese, giacchè l’intimato Ministero si è limitato a depositare un atto di costituzione, senza svolgere ulteriore attività difensiva;

che poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2018

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