Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33691 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. un., 18/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 18/12/2019), n.33691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Primo Presidente f.f. –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CIRILLO Franceso Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28871-2015 proposto da:

BASTIAN BETON S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA 3,

presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA TURINI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato FAOLO PASETTO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VALEGGIO SUL MINCIO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SPALLANZANI 22, presso lo

studio dell’avvocato VALERIO PESCATORE, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MAURIZIO SARTORI e STEFANO DELLE MONACHE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2236/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28/09/2015;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e

la declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario;

uditi gli avvocati Gianluca Calderara per delega orale degli avvocati

Raffaella Turini e Paolo Pasetto e l’avvocato Domenico Talarico per

delega dell’avvocato Valerio Pescatore.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Alla società Bastian Beton Spa (d’ora in poi Beton) era stata affidata in concessione la gestione del trattamento dei rifiuti in condizioni di sicurezza ambientale e nel rispetto delle prescrizioni di legge su un sito (l’area della discarica) di proprietà della concessionaria stessa nel territorio del Comune di Valeggio sul Mincio, loc. Cà Baldassarre; la Beton aveva assunto gli oneri connessi, ivi compresi quelli legati alla bonifica e al ripristino della funzione originaria del sito e gli oneri di gestione dell’attività post mortem, successiva alla cessazione dei conferimenti di rifiuti, comportante l’attività di smaltimento dei sottoprodotti (biogas e percolato) sino all’esaurimento dell’attività biologica della discarica, con diritto a incassare la tariffa per il conferimento dei rifiuti.

1.1.- In particolare, il Comune di Valeggio sul Mincio, con deliberazione n. 185 dell’8 ottobre 1987, aveva approvato la Convenzione tra lo stesso Comune, la Regione Veneto e la Beton, avente ad oggetto la realizzazione e la gestione della discarica controllata di rifiuti solidi urbani ed assimilabili; per portare a conclusione la vita biologica della discarica la suddetta Convenzione era stata modificata con Delib. 20 settembre 1994, n. 112; il Comune ne aveva disposto la chiusura a partire dal 31 luglio 1996; con Delib. 31 gennaio 1997, n. 7 era stata adottata una Convenzione aggiuntiva per la gestione post mortem della discarica da parte della Beton mediante utilizzo delle somme accantonate per la gestione dopo la chiusura della stessa; con provvedimento del 23 maggio 2005 il Comune aveva disposto la revoca della concessione in essere e, con successivo provvedimento del 29 dicembre 2005, aveva disposto la revoca del provvedimento di revoca e dato atto che il rapporto sarebbe proseguito con la Beton; in data 13 ottobre 2010 il Comune aveva diffidato la Beton a garantire l’esaurimento della discarica.

2.- La Beton aveva promosso una procedura arbitrale, con domanda in data 3 marzo 2011, nella quale aveva chiesto (in tal senso precisando le domande nel corso del giudizio arbitrale) che venisse accertato il proprio diritto, quale concessionaria, al pagamento dei corrispettivi della gestione della discarica, degli impianti di salvaguardia e del trattamento dei sottoprodotti nella fase successiva alla chiusura dei conferimenti, fino all’esaurimento dell’attività biologica della discarica stessa; che venisse accertata la liceità e/o legittimità della sospensione dell’esecuzione della prestazione da parte della concessionaria; che il Comune venisse condannato al pagamento delle indennità e/o dei corrispettivi maturati per le prestazioni eseguite; in via subordinata, che venisse risolta la convenzione-contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, a norma dell’art. 1467 c.c.; che il Comune venisse condannato al pagamento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento.

3.- Il Comune di Valeggio sul Mincio, di contro, aveva eccepito la nullità e/o invalidità e/o inefficacia delle clausole compromissorie e il difetto di giurisdizione del Collegio arbitrale; aveva chiesto, comunque, di rigettare le avverse domande e, in via riconvenzionale, di dichiarare l’obbligo della società di provvedere alla installazione e gestione degli impianti a salvaguardia e al trattamento dei sottoprodotti fino all’esaurimento dell’attività biologica della discarica, nonchè di eseguire le opere di bonifica e sistemazione dell’area, assumendosene gli oneri e rilasciando fideiussione a garanzia.

4.- Con lodo non definitivo del 5-25 agosto 2011, il Collegio arbitrale riteneva che la controversia appartenesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma concludeva per l’arbitrabilità della lite, sul presupposto che fosse applicabile la L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, – che consentiva la compromettibilità in arbitrato rituale di diritto delle controversie concernenti diritti soggettivi devolute al giudice amministrativo – per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, perchè reputava che detta norma avesse natura interpretativa, e non innovativa, e fosse applicabile anche alle clausole compromissorie sottoscritte in epoca anteriore all’entrata in vigore della citata legge. In secondo luogo, perchè riteneva che con il provvedimento del 29 dicembre 2005 (quando la L. n. 205 era già in vigore) il Comune avesse riaffidato alla Beton la concessione già revocata secondo le condizioni in essere, tra le quali rientrava anche la clausola compromissoria.

4.1.- Con lodo definitivo del 16 aprile-3 maggio 2012, il Collegio arbitrale rigettava le domande principali della Beton ed accertava gli obblighi della stessa di attuare le procedure di salvaguardia ambientale fino all’esaurimento dell’attività biologica della discarica e di assumerne gli oneri; accoglieva la domanda subordinata della società di risoluzione della convenzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, a far data dal 1 agosto 2011.

5.- Entrambi i lodi venivano impugnati, dinanzi alla Corte di appello di Venezia, dal Comune di Valeggio sul Mincio in via principale e dalla Beton in via incidentale condizionata.

5.1.- In merito al lodo non definitivo, il Comune concordava con il Collegio arbitrale sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie in materia di concessione di pubblici servizi, ma riproponeva la tesi della nullità, invalidità ed inefficacia delle clausole compromissorie per due ordini di ragioni: a) la L. n. 205 del 2000, art. 6 aveva carattere innovativo, non aveva efficacia retroattiva e non era applicabile alla clausola in esame, stipulata antecedentemente all’entrata in vigore di detta legge; b) non era ravvisabile alcuna innovazione della clausola compromissoria in conseguenza dell’adozione del provvedimento di “revoca/ritiro” della precedente revoca della concessione del 29 dicembre 2005, avendo detto provvedimento avuto effetti ex tunc, come dimostrato dal fatto che non si erano resi necessari nuovi atti concessori o convenzionali.

5.1.1.- Il Comune impugnava anche il lodo definitivo per ragioni attinenti al merito della lite, contestando l’accoglimento della domanda di risoluzione per eccessiva onerosità.

5.2.- La Beton con l’impugnazione incidentale condizionata sosteneva, quanto alla giurisdizione, che il Collegio arbitrale avesse errato nel ritenere che la controversia rientrasse nella giurisdizione del giudice amministrativo, a norma dell’art. 133 c.p.a., comma 1, lett. c), (“le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi”), dal cui ambito era invece espressamente esclusa, a norma del medesimo art. 133, lett. c) (“…escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”), avendo ad oggetto indennità, canoni ed altri corrispettivi. E nella comparsa conclusionale ulteriormente rilevava che si trattasse di controversia relativa alla fase esecutiva di una “concessione di costruzione e gestione di un’opera pubblica”, rimessa alla giurisdizione del giudice ordinario.

5.2.1.- La società formulava anche censure di merito in relazione al lodo definitivo, deducendo omesso esame ed erronea interpretazione delle convenzioni.

6.- La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 29 maggio 2015, ha dichiarato la nullità di entrambi i lodi, avendo ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo e nulla la clausola compromissoria perchè pattuita in relazione a controversie sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario all’epoca della sottoscrizione delle convenzioni, tutte anteriori all’entrata in vigore della L. n. 205 del 2000; ha escluso che la compromettibilità in arbitri potesse desumersi dal provvedimento del 29 dicembre 2005 (di revoca o ritiro della revoca della concessione) che aveva stabilito la prosecuzione del rapporto, senza novare nè sostituire le convenzioni originariamente stipulate tra le parti; ha ritenuto tardivamente dedotta dalla Beton e non provata la qualificazione del rapporto in termini di “concessione di lavori pubblici”, in base alla quale la società aveva sostenuto la giurisdizione del giudice ordinario, anzichè di “concessione di pubblico servizio”; sul punto la Corte ha rimarcato che il Collegio arbitrale aveva applicato l’art. 133 c.p.a., lett. c), in tema di concessioni di pubblici servizi, e che su detta qualificazione del rapporto si era formato il giudicato.

7.- Avverso questa sentenza la Beton ha proposto ricorso per cassazione, resistito dal Comune di Valeggio sul Mincio. Le parti hanno presentato memorie.

8.- Con ordinanza interlocutoria n. 14712 del 2019, la Prima sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, ai fini dell’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, venendo in rilievo una questione di giurisdizione non pretestuosa e di non agevole soluzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il ricorso si articola in sette motivi di ricorso, convergenti nella critica della sentenza impugnata per avere dichiarato l’invalidità della clausola compromissoria, mentre avrebbe dovuto essere dichiarata la piena compromettibilità della controversia in arbitrato rituale di diritto.

I primi tre motivi imputano alla Corte territoriale di avere erroneamente negato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, quale presupposto logico-giuridico della sicura compromettibilità della controversia in arbitri.

Gli altri motivi imputano alla Corte di avere negato detta compromettibilità, pur ipotizzando che la controversia sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in tal modo violando le norme che ammettono la risoluzione mediante arbitrato rituale di diritto delle controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo.

2.- Si deve esaminare preliminarmente, in ordine logico-giuridico, il terzo motivo che – denunciando violazione e/o falsa applicazione dei principi in tema di giurisdizione nelle concessioni di pubblici servizi, dell’art. 133 c.p.a., comma 1, lett. c), artt. 5,34,112,386 e 819 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, e, in subordine, nn. 3 e 4, (fol. 62/72 del ricorso) – contesta l’affermazione secondo la quale la controversia rientra nella giurisdizione amministrativa perchè involgente, in assenza di disciplina nelle convenzioni stipulate tra le parti, un accertamento complessivo del contenuto e della disciplina del rapporto di concessione (fol. 29/30 della sentenza). La critica è svolta sostenendo che la questione di giurisdizione debba essere risolta a favore della giurisdizione del giudice ordinario, valutando il petitum sostanziale (pagamento somme quale compenso per l’attività svolta dal concessionario), visto che era stato azionato il diritto al compenso per la gestione della discarica nella fase post mortem, non essendo contestati l’esercizio o il mancato esercizio di poteri amministrativi e dovendosi considerare che la mancanza di un riconoscimento documentale del credito era questione attinente non alla giurisdizione, ma al merito della controversia.

3.- Il motivo è fondato.

La Corte territoriale ha basato la declinatoria della propria giurisdizione sul presupposto che il rapporto tra la Beton e il Comune di Valeggio sul Mincio fosse configurabile in termini di concessione di servizio pubblico e che le domande della concessionaria implicassero l’esame complessivo del rapporto concessorio quanto al contenuto e alla disciplina dello stesso, che sfuggirebbe all’ambito del sindacato consentito al giudice ordinario. Questa conclusione non è condivisibile.

Nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite è ormai acquisito il principio secondo cui, anche in tema di concessioni di servizi pubblici, le controversie relative alla fase esecutiva del rapporto, sia se implicanti la costruzione (e gestione) dell’opera pubblica, sia se non collegate all’esecuzione di un’opera, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, al quale spetta di giudicare sugli adempimenti e inadempimenti (e sui relativi effetti) con indagine diretta alla determinazione dei diritti e degli obblighi dell’amministrazione e del concessionario, nonchè di valutare, in via incidentale, la legittimità degli atti amministrativi incidenti sulla determinazione delle somme dovute (Cass., sez. un., n. 32728 del 2018).

Alla giurisdizione del giudice ordinario, infatti, sono riservate le controversie riguardanti “indennità, canoni ed altri corrispettivi”, alle quali appartengono quelle relative alla fase esecutiva (anche) dei rapporti di concessione di pubblico servizio, ivi comprese le questioni inerenti agli adempimenti e alle relative conseguenze indennitarie, vertendosi nell’ambito di un rapporto paritetico tra le parti che si colloca a valle dell’esercizio del potere di cui è espressione la fase costitutiva del rapporto di impronta pubblicistica, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nei casi in cui la P.A. eserciti poteri autoritativi tipizzati dalla legge e impugnati dal privato (Cass., sez. un., n. 18267 del 2019). Ipotesi quest’ultima non configurabile rispetto alle domande di risoluzione per inadempimento o, come nella specie, per eccessiva onerosità sopravvenuta di un rapporto convenzionale che è accessorio ma pur sempre autonomo rispetto alla concessione.

Si è quindi superato l’orientamento, elaborato in un diverso contesto normativo, secondo cui la giurisdizione del giudice ordinario in tema di “indennità, canoni ed altri corrispettivi” fosse semipiena e del tutto residuale, ovvero limitata, in sostanza, ai casi in cui la pretesa patrimoniale fosse certa nell’an e predeterminata nel quantum.

La scelta del legislatore, risalente alla L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 2, e confermata nel codice del processo amministrativo, di riservare detta tipologia di controversie al giudice ordinario, si è rivelata costituzionalmente obbligata (vd. Corte costituzionale n. 204 del 2004) ed anche coerente con la progressiva attrazione delle concessioni nell’orbita dei contratti su impulso del diritto Europeo (cfr. Cass. n. 32728 del 2018 citata) e con l’evoluzione del sistema di riparto della giurisdizione, che ha visto valorizzare l’esercizio del potere amministrativo come condizione sufficiente ma anche necessaria e ineludibile per radicare la giurisdizione amministrativa (anche esclusiva), potere evidentemente non configurabile quando a venire in discussione sia il profilo paritario e meramente patrimoniale del rapporto concessorio, in presenza di una contrapposizione di situazioni giuridiche soggettive di “obbligo/pretesa” (Cass., sez. un., n. 31029 del 2019; cfr. sez. un., n. 22769 e 26200 del 2019).

L’orientamento che in passato talora riteneva privo di giurisdizione il giudice ordinario nelle controversie riguardanti indennità, canoni o altri corrispettivi, se coinvolgenti la verifica della “intera economia del rapporto concessorio” (ad es. Cass., sez. un., n. 14428 del 2017, n. 411 del 2007, n. 7861 del 2001), non può essere condivisa se intesa a precludere al giudice ordinario di esercitare gli usuali poteri cognitori, tra i quali quello di interpretare le clausole convenzionali e gli atti amministrativi rilevanti nella fattispecie e di sindacarne la legittimità ai fini della disapplicazione (Cass., sez. un., n. 11961 del 2011), nell’ambito di una delibazione incidentale circa il contenuto e la disciplina del rapporto di concessione (cfr. Cass., sez. un., n. 5303 del 2017, n. 24785 e 29536 del 2008), che è condizione imprescindibile per l’accertamento della fondatezza della domanda di pagamento, cioè per l’esercizio di una giurisdizione che non può essere “esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti” (art. 113 Cost., comma 2). Quella tesi, facendo dipendere la giurisdizione dall’ambito dei poteri (neppure decisori ma cognitori) del giudice, si rivelava tra l’altro eterodossa rispetto al principio generale secondo cui il giudice competente conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale, anche nelle materie in cui non ha giurisdizione (cfr., con riferimento al giudice amministrativo, l’art. 8 c.p.a.).

Ne consegue che, rientrando nella giurisdizione del giudice ordinario, la controversia era compromettibile in arbitri, essendo quindi valida la relativa clausola.

4.- In conseguenza dell’accoglimento del terzo motivo, gli altri motivi restano assorbiti: i primi due, che denunciano l’errore qualificatorio circa la natura della concessione (in termini di servizio pubblico anzichè di opera o lavori pubblici), rientrando la controversia nella giurisdizione del giudice ordinario in entrambi i casi, con la precisazione che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, non sarebbe ravvisabile un giudicato sulla qualificazione giuridica del rapporto convenzionale operata dagli arbitri, una volta che il capo della giurisdizione sia posto in discussione in sede di impugnazione; gli altri motivi (dal quarto al settimo) riguardano la questione della compromettibilità in arbitrato rituale delle controversie appartenenti alla giurisdizione amministrativa, tra le quali tuttavia non rientra quella in esame.

5.- In conclusione, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte territoriale che dovrà giudicare sul merito delle impugnazioni al lodo arbitrale e provvedere sulle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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