Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33683 del 31/12/2018

Cassazione civile sez. un., 31/12/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 31/12/2018), n.33683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18811-2018 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

P.P., elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio

Emanuele II 21, presso lo studio dell’avvocato Mauro De Muro, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente successivo –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE:

– intimato –

avverso la sentenza n. 69/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 14/05/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

6/11/2018 dal Consigliere Luigi Giovanni Lombardo;

Udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

Matera Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso del

Ministero per quanto di ragione e per il rigetto del ricorso

dell’incolpato;

Uditi l’Avvocato dello Stato Ilia Massarelli e l’Avv. Mauro De Muro.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – In data 28/11/2017, la Procura Generale presso questa Suprema Corte esercitò l’azione disciplinare nei confronti del magistrato dott. P.P., all’epoca dei fatti giudice del Tribunale di Crotone, formulando tre capi di incolpazione contrassegnati con i numeri 4), 5) e 6) (mentre i restanti originari capi di incolpazione furono stralciati in quanto relativi a fatti oggetto di procedimento penale) – per gli illeciti disciplinari – commessi nell’esercizio delle funzioni – di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, lett. d) e n).

In particolare, al dott. P. – quale presidente del collegio delle misure di prevenzione antimafia e di coordinatore del settore civile del predetto Tribunale – venne contestato:

capo 4: di aver posto in essere, in violazione dei principi di correttezza ed equilibrio e in maniera reiterata, comportamenti gravemente scorretti nei confronti del Presidente f.f. del Tribunale di Crotone, non ottemperando al suo invito a partecipare alla riunione del 11/7/2016 preordinata ad appianare i contrasti insorti tra i componenti del collegio delle misure di prevenzione, restituendo al capo dell’ufficio una nota riservata dello stesso che per mera svista non era stata sottoscritta, formalizzando istanze di accesso agli atti e pretendendo che la cancelleria le notificasse a mani del Presidente del Tribunale, non ottemperando a plurimi inviti formali del Presidente del Tribunale a partecipare a riunioni organizzative dell’ufficio, indirizzando al Presidente della Corte di Appello una nota con la quale si doleva del rigetto delle istanze di accesso da parte del Presidente del Tribunale e irrideva quest’ultimo citando un passaggio di un provvedimento ove per mero errore materiale era scritto “per factia concludentia”;

capo 5: di aver posto in essere, in violazione dei principi di correttezza ed equilibrio e in maniera reiterata, comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei magistrati del settore civile, fallimentare e di prevenzione antimafia del Tribunale di Crotone, dolendosi infondatamente – in un esposto del 10/7/2016 – del fatto che i colleghi non risiedevano in sede, evidenziando in tale esposto che la dott.ssa R.A. si era rifiutata di comporre un collegio di prevenzione antimafia, pretendendo la partecipazione della dott.ssa R. al detto collegio con espressioni minacciose e nonostante che la stessa non fosse tabellarmente inserita nella sezione di prevenzione antimafia, dolendosi in altro esposto del 30/7/2016 del fatto che il dott. N.G. non si era presentato nell’orario e nella data da lui stabilita per comporre il collegio civile nonostante che il dott. N. fosse impegnato in altra udienza, fissando unilateralmente collegi civili e di prevenzione antimafia con provvedimenti che pretendeva fossero notificati ai colleghi da parte del personale di cancelleria, richiedendo al personale amministrativo di controllare la presenza dei colleghi in ufficio, presentando istanze di accesso agli atti dei fascicoli personali dei colleghi, violando a più riprese le disposizioni tabellari del Tribunale di Crotone relativamente ai giorni previsti per le udienze e per le adunanze camerali;

capo 6: di aver posto in essere, in maniera reiterata, comportamenti gravemente scorretti nei confronti del personale amministrativo del Tribunale di Crotone, pretendendo che la dott.ssa Pa.Ca. – della quale poneva in discussione le capacità professionali – apponesse il timbro di deposito sugli avvisi di convocazione dei componenti del collegio civile e notificasse a questi ultimi i detti avvisi, stabilendo che il dott. R.S. notificasse analogamente ai giudici componenti il collegio di prevenzione antimafia gli avvisi di convocazione, rivolgendosi infine senza apparente ragione al sig. G.E. – funzionario addetto alla cancelleria della sezione lavoro – con l’espressione: “Pregate la Madonna che non venga io”. Fatti accaduti in (OMISSIS).

2. – Per tali fatti, nel corso dell’istruttoria, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, su richiesta del Procuratore generale, applicò al dott. P., con ordinanza del 22/12/2016, la misura cautelare del trasferimento d’ufficio dal Tribunale di Crotone al Tribunale di Reggio Calabria con le medesime funzioni di giudice.

3. – A conclusione del giudizio disciplinare, con sentenza n. 69 del 16/4/2018, la Sezione disciplinare ha dichiarato il dott. P.P. responsabile delle incolpazioni a lui ascritte, ad eccezione di quelle di contestate al capo 5, capoversi 5 e 7, per le quali ha pronunciato assoluzione; ha irrogato, quindi, al dott. P. la sanzione disciplinare della censura, disponendo altresì la sanzione accessoria del trasferimento di sede dal Tribunale di Crotone a quello di Reggio Calabria.

La Sezione disciplinare, nell’illustrare le ragioni della sua decisione, ha sottolineato i reiterati atteggiamenti irriguardosi del dott. P. verso il Presidente del Tribunale, le gravi scorrettezze ravvisabili nel suo rifiuto di partecipare alle riunioni convocate dal capo dell’ufficio, la sua pervicacia nel non volere instaurare un confronto costruttivo con i colleghi, i tentativi di distogliere gli altri giudici dalla loro attività istituzionale convocandoli mentre erano impegnati in altre udienze, l’aver creato un clima di palese e insanabile conflitto con il Presidente del Tribunale, con gli altri giudici e con il personale amministrativo; circostanze queste che, divenute di dominio pubblico, avevano determinato l’oggettivo appannamento della credibilità professionale del magistrato e dell’immagine dell’ufficio giudiziario presso l’opinione pubblica e gli ambienti forensi.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Ministro della Giustizia pro tempore, sulla base di un unico complesso motivo.

Successivamente ha proposto ricorso anche il dott. P.P. sulla base di ventidue motivi.

In prossimità dell’udienza, l’incolpato ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso del Ministero della Giustizia si fonda su un unico motivo, col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d) ed n) nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto un duplice profilo.

1.1. – Innanzitutto si lamenta che la Sezione disciplinare abbia escluso la responsabilità del dott. P. in ordine all’incolpazione di cui al capo 5, settimo capoverso, laddove al magistrato era addebitato di aver violato a più riprese le disposizioni tabellari del Tribunale di Crotone, “avendo fissato gli affari del collegio civile e del collegio di prevenzione antimafia in giorni non previsti dal calendario”.

Sul punto, il Ministero deduce che erroneamente la Sezione disciplinare avrebbe giudicato “generica” la contestazione di cui al richiamato capo di incolpazione, ritenendola priva di indicazioni che consentissero di individuare gli affari fissati e i giorni non previsti dalle disposizioni tabellari. Con ciò il giudice disciplinare non avrebbe considerato che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati, l’omessa indicazione della disposizione di servizio che si assume violata non determina nullità della contestazione per incertezza assoluta sul fatto addebitato, quando i fatti siano indicati in modo tale che l’interessato ne abbia immediata e compiuta conoscenza, rilevando solo l’eventuale compressione del diritto di difesa che è onere dell’incolpato allegare e dimostrare.

La censura è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati, l’omessa indicazione della normativa regolamentare o della disposizione sul servizio giudiziario ritenuta violata, in relazione ad incolpazione avente ad oggetto la fattispecie di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. n), non determina la nullità della contestazione per incertezza assoluta sul fatto addebitato, quando i fatti siano indicati in modo tale che l’interessato ne abbia immediata e compiuta conoscenza, giacchè, ai fini dell’invalidità, ciò che rileva è la compressione del diritto di difesa dell’incolpato, quale conseguenza di una insufficiente specificazione della condotta, ed è onere di questi puntualizzare e dimostrare il pregiudizio subito a causa della mancata specificazione delle disposizioni normative di riferimento (Cass., Sez. Un., n. 21913 del 06/12/2012).

Nella specie, dagli atti dell’inchiesta amministrativa e dagli altri atti acquisiti risultava pacificamente che al dott. P. era contestato di aver fissato talune adunanze camerali del collegio civile e di quello delle misure di prevenzione antimafia nel giorno di venerdì, piuttosto che nel giorno di giovedì, come previsto dalle tabelle dell’ufficio e come precisato con nota scritta dal presidente del Tribunale f.f.

Nessuna incertezza vi era perciò in ordine all’oggetto della contestazione. D’altra parte, il magistrato incolpato si è difeso nel merito, mostrando di aver colto l’oggetto della contestazione; nè lo stesso ha lamentato alcun pregiudizio per il suo diritto di difesa.

Il P.G., nel suo intervento orale, ha dedotto che la censura formulata dal Ministero sarebbe tuttavia infondata, considerato che la Sezione disciplinare non si è limitata a ritenere generica la contestazione, ma l’ha comunque esaminata nel merito, giudicandola priva di fondamento con motivazione esente da vizi logici e giuridici.

Il Collegio ritiene che la valutazione del P.G. non possa essere condivisa.

Invero, la sentenza impugnata ha ritenuto di poter inferire la infondatezza nel merito dell’addebito disciplinare dal fatto che il Tribunale di Crotone è soggetto ad un elevato turn-over (essendo composto da magistrati solitamente di prima nomina) e soffre di una cronica scopertura di organico, situazione questa che avrebbe inciso in maniera profonda sulla funzionalità dell’ufficio.

Epperò, questa motivazione non è logicamente in grado di supportare la decisione del giudice disciplinare sul punto. Invero, nè l’elevato turn-over cui era soggetto l’ufficio nè le scoperture di organico possono giustificare la violazione delle previsioni tabellari da parte del dott. P. nella fissazione dei giorni delle camere di consiglio; tanto più se si considera che tale condotta si unisce al rifiuto del magistrato di partecipare alle riunioni dell’ufficio, destinate proprio a discutere e risolvere i problemi organizzativi del lavoro insorti tra i magistrati.

La censura va pertanto accolta, con conseguente cassazione della sentenza sul punto.

1.2. – Il Ministero lamenta poi che la Sezione disciplinare abbia escluso la responsabilità del dott. P. in ordine all’incolpazione di cui al capo 5, quinto capoverso, laddove al magistrato era addebitato di avere richiesto al personale amministrativo di controllare la presenza dei colleghi magistrati in ufficio.

Sul punto, secondo il Ministero ricorrente, la Sezione disciplinare avrebbe errato nel ritenere che tale condotta rientrasse nelle funzioni del dott. P.. Quest’ultimo, infatti, era preposto per mere ragioni di anzianità a presiedere i collegi della sezione civile e delle misure di prevenzione; tuttavia, non competevano al dott. P. le funzioni di coordinamento e di gestione proprie di un presidente di sezione e, tantomeno, quelle del capo dell’ufficio. Esulava, pertanto, dai compiti del magistrato incolpato quello di controllare la presenza dei colleghi in ufficio nei giorni in cui non avrebbero dovuto comporre il collegio da lui presieduto, non competendo al dott. P. alcun potere di vigilanza sui colleghi.

Anche tale motivo appare fondato.

La Sezione disciplinare ha giustificato l’assoluzione del dott. P. dal capo di incolpazione in esame (capo 5, quinto capoverso) sulla base del rilievo che il controllo della presenza dei colleghi in ufficio non era estranea all’attività di coordinamento e di convocazione dei collegi, che gli era stata delegata dal presidente del Tribunale.

Tale motivazione, tuttavia, risulta manifestamente illogica, laddove non considera che oggetto della contestazione non era l’attività di controllo della presenza dei colleghi in ufficio in relazione ai collegi che il dott. P. avrebbe dovuto presiedere, ma una più ampia e generale attività di controllo della presenza degli stessi, indipendente dalla convocazione dei collegi.

Ora, il dott. P. era stato incaricato, quale giudice maggiormente anziano in ruolo, di presiedere i collegi civile e di misure di prevenzione antimafia e di fissare le relative udienze e camere di consiglio. In tale veste, egli era certamente legittimato a verificare la presenza in ufficio dei colleghi con i quali avrebbe dovuto comporre i collegi; ma altra cosa è la condotta, contestata ad dott. P., di aver preteso di controllare la presenza in ufficio dei colleghi indipendentemente dalle attività collegiali da lui presiedute.

Sul punto, la sentenza impugnata presenta una motivazione gravemente carente ed illogica; la stessa va pertanto cassata sul punto, con le statuizioni conseguenti.

In definitiva, il ricorso del Ministero risulta fondato in relazione ad entrambi i capi di incolpazione per cui vi è stata assoluzione (capo 5, quinto capoverso e capo 5, settimo capoverso). La sentenza va dunque cassata in relazione a tali capi, con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, che deciderà in diversa composizione.

2. – Va ora esaminato il ricorso proposto dal magistrato incolpato, il quale si articola in ventidue motivi.

2.1. – Con i primi tre motivi si deduce:

a) la violazione di legge e la nullità della sentenza per difetto di correlazione tra accusa e sentenza, per avere la Sezione disciplinare ritenuto il dott. P. responsabile in ordine ad un fatto (trasmissione degli esposti direttamente agli organi titolari dell’azione disciplinare, omettendo l’inoltro per via gerarchica) non oggetto di contestazione (primo motivo);

b) la violazione e l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 14, comma 4 per avere la Sezione disciplinare erroneamente ritenuto che il magistrato presidente di collegio non avesse il potere di inoltrare le comunicazioni di fatti disciplinarmente rilevanti direttamente ai titolari dell’azione disciplinare (secondo motivo);

c) il vizio della motivazione della sentenza impugnata e l’omessa valutazione di elementi decisivi, per non avere il giudice disciplinare considerato che l’incolpato non poteva inoltrare i propri esposti per via gerarchica, trattandosi di esposti che segnalavano comportamenti scorretti del Presidente del Tribunale (terzo motivo).

I motivi in esame – afferenti al capo di incolpazione 5, capoversi primo, secondo e terzo – non colgono la ratio decidendi e risultano, pertanto, inammissibili per difetto di interesse.

Invero, il rilievo contenuto a p. 10 della sentenza, circa il fatto che il dott. P. ha inoltrato i suoi esposti ai titolari dell’azione disciplinare senza osservare la via gerarchica, costituisce un mero obiter dictum, indipendente dalla ratio decidendi che regge la sentenza impugnata.

Infatti, la ragione della ritenuta colpevolezza per tale capo di incolpazione è stata ravvisata, dal giudice di disciplinare, nella totale infondatezza del contenuto degli esposti inoltrati dal dott. P. (con particolare riferimento alle asserite assenze dei colleghi dall’Ufficio e alla mancata residenza degli stessi nella sede) e nel discredito che tali esposti avevano arrecato all’operato degli altri magistrati del Tribunale e all’immagine dell’Ufficio. E’ inconferente pertanto sindacare il passaggio motivazionale richiamato dal ricorrente, non contenendo esso le ragioni poste a base della decisione impugnata sul punto.

2.2. – Col quarto motivo, si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, l’omessa valutazione di documenti decisivi, il travisamento delle prove, la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d) ed e) e R.D. n. 12 del 1941, art. 47 ter per avere la Sezione disciplinare omesso di valutare una serie di missive dei magistrati del Tribunale di Crotone, di verbali di audizione degli stessi, di registrazioni di conversazioni, dai quali – a dire del ricorrente – risulterebbe che il Presidente del Tribunale aveva interloquito con i giudici D. e A. (componenti del collegio delle misure di prevenzione antimafia) prima della riunione convocata per l’11/7/2018; per non aver considerato che l’atteggiamento del Presidente del Tribunale nei suoi confronti era “prevenuto” (anche in riferimento ad una distinta vicenda relativa al ritardo della cancelleria nella trasmissione in Corte di Appello dei fascicoli di altro procedimento); per avere, infine, ritenuto pretestuose le ragioni da lui addotte per giustificare la mancata partecipazione alla detta riunione.

La censura è inammissibile, risolvendosi in una doglianza di merito circa la valutazione degli elementi probatori acquisiti e nella prospettazione di una alternativa ricostruzione dei fatti.

Va premesso che la riunione convocata dal Presidente del Tribunale per il giorno 11/7/2018 era destinata a superare il grave dissenso insorto tra i componenti del collegio delle misure di prevenzione antimafia in ordine all’iter decisionale di un delicato procedimento a carico di Ar.Pa.. In particolare, si trattava di chiarire se tale procedimento fosse stato deciso nella camera di consiglio del 28/1/2016 (come sosteneva il dott. P.) ovvero dovesse essere ancora deciso a seguito di apposita riserva di decisione adottata dal collegio (come sostenevano il giudice relatore dott.ssa D. e l’altro componente del collegio).

Orbene, a fronte di tale grave dissenso, che aveva determinato una situazione di impasse nella definizione del procedimento in questione, non solo era doveroso l’intervento del capo dell’Ufficio ed opportuna, da parte sua, la convocazione di una apposita riunione con i giudici componenti del collegio, ma costituiva preciso dovere di ciascuno dei giudici formalmente inviati prendervi parte.

Esattamente, perciò, la sentenza impugnata afferma che “è escluso che il magistrato possa sottrarsi ad un confronto finalizzato ad appianare divergenze sorte nell’espletamento di attività di ufficio”, essendo invece dovere del magistrato quello di instaurare un confronto costruttivo coi colleghi per risolvere la situazione venutasi a creare.

Quanto ai pretesi contatti – preventivi rispetto alla detta riunione – tra il Presidente del Tribunale e agli altri giudici e all’asserito atteggiamento prevenuto del capo dell’ufficio nei suoi confronti, trattasi di circostanze che, non solo il giudice di disciplinare ha ritenuto non provate, ma che sono del tutto inconferenti, in quanto anche ove fossero veritiere – non potrebbero comunque giustificare la mancata partecipazione del dott. P. alla riunione del 11/7/2016, dovendosi ribadire che egli non poteva sottrarsi al dovere d’ufficio di tentare di instaurare un confronto costruttivo con i colleghi.

2.3. – Col quinto motivo, si deduce la violazione di legge, la nullità della sentenza impugnata, il difetto di correlazione tra accusa e sentenza, per avere la Sezione disciplinare ritenuto il dott. P. responsabile dell’illecito disciplinare di cui al capo 4, secondo capoverso, col quale allo stesso è stato contestato di aver posto in essere in maniera reiterata comportamenti gravemente scorretti nei confronti del capo dell’ufficio, “restituendo al Presidente del Tribunale, in data 18 luglio 2016, la nota riservata inviatagli il 15 luglio, dopo aver constatato che la stessa era priva, per mera svista, di sottoscrizione”. Si lamenta che l’incolpato non sarebbe stato ritenuto responsabile di tale condotta, ma della diversa condotta di avere, con la lettera del 18 luglio 2016, invitato il Presidente del Tribunale a sottoscrivere la propria lettera e a inviargliela di nuovo, “debitamente firmata” affinchè egli potesse rispondergli.

Unitamente a tale motivo vanno esaminati il sesto mezzo, col quale si deduce la violazione di legge, la mancanza assoluta della motivazione, la motivazione apparente e la nullità della sentenza; nonchè il settimo mezzo, col quale si deduce il vizio della motivazione della sentenza impugnata, l’omesso esame di documenti decisivi e il travisamento della prova. Con tali mezzi, il ricorrente lamenta che il giudice disciplinare avrebbe ritenuto la responsabilità del dott. P. in ordine all’illecito di cui al capo 4, secondo capoverso, senza illustrare le ragioni per le quali la restituzione di una lettera non firmata costituisse comportamento scorretto ed irrispettoso.

Le censure in esame non sono fondate.

In ordine al quinto motivo, va osservato come non sussista il dedotto difetto di correlazione tra accusa e sentenza. E infatti, la Sezione disciplinare ha ritenuto la responsabilità del dott. P. per il fatto contestato dell’avvenuta restituzione della lettera; doverosamente il giudice disciplinare ha considerato anche le modalità della restituzione della missiva, giacchè sono state proprio le modalità della restituzione a determinare la ritenuta scorrettezza del comportamento del magistrato (puntualmente contestata) nei confronti del capo dell’ufficio; modalità, pacifiche e ben note all’incolpato, che non possono non essere ritenute comprese nel capo di incolpazione.

Anche i motivi sesto e settimo sono privi di fondamento.

Il giudice disciplinare ha preso in considerazione i documenti richiamati dal dott. P. e, in particolare, il contenuto della missiva del 18/7/2016 dallo stesso spedita al Presidente del Tribunale; ed ha congruamente spiegato le ragioni per le quali tale missiva avesse un contenuto irrispettoso nei confronti del capo dell’ufficio (con particolare riferimento alle circostanze che il dott. P. pretese una sottoscrizione “per esteso” da parte del Presidente del Tribunale e pose quest’ultimo in cattiva luce presso il Presidente della Corte di Appello, cui inviò la lettera per conoscenza).

L’apprezzamento della scorrettezza della condotta del dott. P., risultando logicamente motivato, è sottratto al sindacato di questa Suprema Corte.

2.4. – Con l’ottavo motivo si deduce il difetto assoluto di motivazione e la nullità della sentenza impugnata per non avere la stessa illustrato le ragioni della ritenuta responsabilità dell’incolpato in ordine alla contestazione di cui al capo 4, terzo capoverso, col quale si contestava al dott. P. di aver avanzato istanze di accesso agli atti pretendendo che la cancelleria ne curasse la notifica a mani del presidente del Tribunale.

Unitamente a tale motivo va esaminato, in ragione della stretta connessione, il sedicesimo mezzo, col quale si deduce il difetto assoluto di motivazione e la nullità della sentenza impugnata per avere la Sezione disciplinare omesso di spiegare le ragioni della ritenuta responsabilità del dott. P. in ordine alla contestazione di cui al capo 5, sesto capoverso, col quale si contestava all’incolpato di aver formalizzato istanze di accesso agli atti dei fascicoli dei colleghi, così esercitando competenze a lui non spettanti.

I motivi sono infondati.

E invero, il giudice disciplinare ha motivato, sia pure per implicito, in ordine alla ritenuta responsabilità del dott. P. in ordine agli addebiti de quibus, laddove ha sottolineato che l’incolpato “si era determinato a creare un palese, formale ed insanabile conflitto con il presidente del Tribunale, con i colleghi e con il personale amministrativo, conflitto questo che era alimentato con argomenti pretestuosi ed infondati nonchè con atteggiamenti ostruzionistici ed irrispettosi nei confronti della figura del Presidente”; essendo evidente che, in tale “palese e insanabile conflitto” determinato dell’incolpato, si inseriscono sia la irrituale pretesa del medesimo di accedere agli atti dei fascicoli dei colleghi, così invadendo le prerogative del capo dell’ufficio, sia l’ulteriore pretesa che le sue istanze fossero portate a conoscenza del Presidente del Tribunale f.f., non nelle forme ordinarie, ma – addirittura – mediante notifica “a mani proprie”.

2.5. – E’ inammissibile il nono motivo, col quale si lamenta la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, per avere la Sezione disciplinare ritenuto che le assenze dell’incolpato alle riunioni convocate dal Presidente del Tribunale costituissero “gravi scorrettezze nei confronti di tutti i magistrati tabellarmente tenuti a rapportarsi con il dott. P.”, invece che nei confronti del Presidente del Tribunale, come da contestazione.

La censura, invero, non coglie la ratio decidendi, laddove il giudice della disciplina ha sottolineato come la mancata partecipazione del dott. P. alle riunioni convocate dal capo dell’ufficio abbia costituito un comportamento ostruzionistico e irriguardoso soprattutto nei confronti dello stesso Presidente del Tribunale.

2.6. – Sotto diverso profilo sono poi inammissibili il decimo motivo (col quale si deduce il vizio di motivazione, l’omesso esame di documenti decisivi, il travisamento della prova, la violazione di legge, per avere il giudice disciplinare ritenuto che costituisse “grave scorrettezza” il rifiuto del dott. P. di partecipare alla riunione convocata dal Presidente del Tribunale per il 13/9/2016 e per non aver considerato che era prassi del Tribunale di Crotone convocare le adunanze camerali nel giorno di venerdì), l’undicesimo (col quale si lamenta la mancanza assoluta di motivazione circa la ritenuta colpevolezza del dott. P. in relazione all’invio della nota del 20/9/20196, con la quale lo stesso aveva sottolineato l’errore di scrittura in cui era incorso il Presidente del Tribunale che, nel rigettare la sua istanza di rilascio copia di atti, aveva scritto “per factia concludentia”), il dodicesimo (col quale si deducono plurimi vizi di legittimità in ordine alla circostanza dell’allontanamento di molti giudici dalla città di Crotone nei giorni in cui non si teneva udienza e della mancata autorizzazione degli stessi a risiedere fuori sede), il tredicesimo (col quale si lamenta la mancanza assoluta di motivazione e l’omesso esame di prova decisiva, per avere il giudice disciplinare erroneamente accertato il contenuto delle frasi che il dott. P. avrebbe rivolto alla collega dott.ssa R.), il quattordicesimo motivo (col quale si deduce il difetto di motivazione e l’omesso esame di prove documentali, per avere la Sezione disciplinare ritenuto che il giudice dott. N.G., nella mattina del 21 luglio 2016, fosse impedito – perchè impegnato nell’udienza civile monocratica – a prendere parte alla camera di consiglio convocata dal dott. P.), nonchè il diciannovesimo e il ventesimo motivo (con i quali si deduce la violazione di legge, la mancanza o l’apparenza della motivazione, la nullità delle sentenza, l’omessa valutazione di prova decisiva e il travisamento della prova, in relazione all’affermata responsabilità del dott. P. per avere lo stesso rivolto al cancelliere della Sezione lavoro del Tribunale di Crotone le parole: “Pregate la Madonna che non venga io” e per aver ritenuto che il cancelliere fosse rimasto mortificato dai toni duri usati dal giudice).

Trattasi di censure di merito che attengono alla ricostruzione e all’apprezzamento dei fatti, ossia a profili del giudizio che sono insindacabili in sede di legittimità, quando – come nel caso di specie la motivazione della sentenza impugnata è esente da manifesta illogicità (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Sul punto, va ribadito che, in materia di responsabilità disciplinare del magistrato, la ricostruzione storica dei fatti e la valutazione degli stessi sono riservate alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura e non sono sindacabili in sede di legittimità quando sono sorretti da motivazione congrua, esaustiva ed esente da vizi logici (Cass., Sez. Un.: n. 28813 del 27/12/2011; n. 27689 del 16/12/2005; n. 2685 del 07/02/2007; n. 13904 del 23/07/2004).

Nella specie, il giudice di disciplinare ha spiegato le ragioni della sua decisione (v. pp. 9, 10, 13-16 della sentenza impugnata), richiamando le risultanze delle prove acquisite e valutandole secondo le regole di comune esperienza, in modo esente da vizi logici e giuridici. La valutazione della Sezione disciplinare rimane perciò insindacabile in sede di legittimità.

2.7. – Col quindicesimo motivo, si deduce poi la nullità della sentenza impugnata per mancanza assoluta di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del dott. P. per avere convocato i collegi mediante provvedimenti depositati in cancelleria e per avere preteso che quest’ultima li notificasse in modo formale agli altri magistrati. Unitamente a tale motivo, vanno esaminati, stante la stretta connessione, il diciassettesimo motivo, col quale si lamenta il difetto di correlazione tra accusa e sentenza per avere la Sezione disciplinare ritenuto il dott. P. colpevole di aver creato “disfunzioni” al funzionamento della cancelleria per il fatto di aver preteso dai funzionari della stessa la comunicazione dei decreti di fissazione delle camere di consiglio ai giudici (al capo 6, primo e secondo capoverso); e il diciottesimo mezzo di ricorso, col quale si lamenta la violazione di legge, la motivazione apparente, il vizio e il difetto di motivazione, per aver ritenuto che costituisse illecito disciplinare l’avere il dott. P. preteso dal personale di cancelleria la comunicazione dei decreti di fissazione delle camere di consiglio ai giudici.

Tutti i motivi in esame sono privi di fondamento.

Esattamente la sentenza impugnata censura, definendola una “procedura senza precedenti”, la condotta del dott. P. consistita nell’aver preteso che i decreti di convocazione delle camere di consiglio fossero consegnati in copia ai giudici e ne fosse attestata l’avvenuta comunicazione (anche telefonica, ove non fosse stata possibile la consegna di copia dell’atto brevi manu) (v. all. 37 e 38 al ricorso). Non è dubbio, invero, che una tale condotta abbia costituito una invasione delle competenze della cancelleria, alla quale soltanto spettava di dare esecuzione al provvedimento del presidente del collegio e stabilire le modalità di comunicazione ai giudici. Legittimamente e logicamente, il giudice della disciplina ha ritenuto, secondo contestazione, che i funzionari amministrativi fossero stati distolti dalle loro mansioni di ufficio, così determinando conseguenti disfunzioni nell’attività della cancelleria.

Trattasi di condotte puntualmente contestate nel capo 5, quarto capoverso e nel capo 6, primo e secondo capoverso.

2.8. – Col ventunesimo motivo si deduce ancora la violazione di legge, l’apparenza e il vizio della motivazione, per avere la Sezione disciplinare escluso la scarsa rilevanza dei fatti.

Anche questo mezzo non sfugge alla sanzione della inammissibilità.

Premesso che il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis (aggiunto dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1, comma 3, lett. e) stabilisce che “L’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza”, queste Sezioni Unite hanno già statuito che tale esimente si applica a tutte le ipotesi di illecito disciplinare, allorchè la fattispecie tipica sia stata realizzata, ma il fatto, per particolari circostanze anche non riferibili all’incolpato, non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico tutelato, secondo una valutazione che costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, soggetta a sindacato di legittimità soltanto ove viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente o illogico (Cass., Sez. Un., n. 17327 del 13/07/2017).

Nella specie, la Sezione disciplinare ha spiegato le ragioni per cui ha escluso la ricorrenza dell’esimente, sottolineando che le condotte commesse, la loro reiterazione, la percezione di esse da parte dei colleghi e del personale amministrativo hanno provocato pregiudizio alla stessa immagine professionale del dott. P. ed impediscono di ravvisare la scarsa rilevanza del fatto ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006.

La motivazione della sentenza impugnata sul punto è esente da vizi logici e giuridici e rimane pertanto insindacabile in sede di legittimità, risolvendosi le doglianze del ricorrente in inammissibili censure di merito.

2.9. – Col ventiduesimo motivo, si deducono infine plurimi vizi di legittimità della sentenza impugnata, per avere la Sezione disciplinare ritenuto che sussistessero ragioni ostative alla permanenza del dott. P. presso il Tribunale di Crotone.

Anche questa censura è inammissibile risolvendosi in una doglianza di merito.

E’ principio pacifico, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, quello secondo cui, in materia di procedimento disciplinare a carico di magistrati, l’applicazione della sanzione accessoria del trasferimento d’ufficio, salvo il necessario presupposto rappresentato dall’irrogazione di una sanzione principale (diversa dall’ammonimento e dalla rimozione), è rimessa ad un apprezzamento di fatto della sezione disciplinare del C.S.M., non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass., Sez. Un., n. 10415 del 27/04/2017).

Nella specie, la Sezione disciplinare ha spiegato che le condotte dell’incolpato hanno creato, in seno al Tribunale di Crotone, un clima di complessiva conflittualità, incompatibile con le condizioni di serenità e di fiducia necessarie per l’esercizio delle delicate funzioni giurisdizionali, hanno leso il prestigio dello stesso dott. P. e hanno determinato l’appannamento della credibilità professionale dei magistrati.

Trattasi di motivazione esente da vizi logici e giuridici, che rimane pertanto insindacabile in sede d legittimità. Nè può rilevare la circostanza, dedotta dal ricorrente, secondo cui l’Ordine degli avvocati di Crotone non sarebbe stato portato a conoscenza dei contrasti interni all’ufficio del Tribunale.

3. – In definitiva, va accolto il ricorso del Ministero della Giustizia; va rigettato il ricorso dell’incolpato; la sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.

Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico del dott. P., rimasto soccombente.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, accoglie il ricorso del Ministero della Giustizia; rigetta il ricorso dell’incolpato; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione; condanna l’incolpato al pagamento, in favore del Ministero della Giustizia, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila), oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2018

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