Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33680 del 31/12/2018

Cassazione civile sez. un., 31/12/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 31/12/2018), n.33680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. ARMANO Uliana – Presidente di sez. –

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente di sez. –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25757-2016 proposto da:

SIPAT S.C.A.R.L. – SOCIETA’ IDROELETTRICA DEL PATTANO, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO

CONTE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ILARIA

CONTE e MICHELE CONTE;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI SALERNO, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARINA TOSINI;

REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente della Giunta Regionale

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POLI 29, presso

l’Ufficio di Rappresentanza della Regione stessa, rappresentata e

difesa dall’avvocato ROSANNA PANARIELLO;

CONSORZIO IRRIGUO DI MIGLIORAMENTO FONDIARIO, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

CORTINA D’AMPEZZO 269, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DE

SANTIS, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 195/2016 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 14/06/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2018 dal Consigliere MILENA FALASCHI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Ernesto Conte e Francesco De Santis.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La società consortile idroelettrica del Pattano evocava, dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, ai sensi del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143, il Consorzio Irriguo di Miglioramento Fondiario di Vallo della Lucania, la Regione Campania e la Provincia di Salerno per ottenere l’annullamento della nota regionale del 17.04.2013 n. 277025 con la quale il dirigente del settore Ciclo Integrale delle Acque dell’Area Generale di Coordinamento Ecologia Tutela Ambientale e Disinquinamento aveva disposto che la titolarità della richiesta di concessione ad uso idroelettrico della centrale di Pattano spettava al Consorzio che era legittimato, nelle more della definizione dell’istruttoria in corso ed in virtù di autorizzazione provvisoria concessa, a derivare acqua nella misura stabilita; aggiungendo che la richiesta di derivazione per la centrale di (OMISSIS) rientrava nella competenza della Regione Campania in quanto variante di una grande derivazione d’acqua.

Al riguardo precisava la ricorrente di essere stata costituita in data 28.07.1997, in esecuzione di una convenzione stipulata nel medesimo anno fra il Consorzio, titolare di concessione provvisoria di grande derivazione per uso irriguo, la Idrocilento s.p.a. e la Sedet s.p.a., al fine di realizzare e gestire un impianto idroelettrico nel Comune di Vallo della Lucania, acquistato dalla Sedet, in località (OMISSIS), il terreno ed un fabbricato in costruzione, proprio per provvedere alla realizzazione e alla gestione di detto impianto, entrato poi in produzione nell’ottobre 1999 e ancora nell’attualità; aggiungeva che avvedutasi che il Consorzio aveva chiesto alla Provincia di Salerno la concessione di una derivazione relativa ad impianto idroelettrico da realizzare subito a valle della centrale in esercizio, la ricorrente rimasta senza esito la richiesta di accesso, con raccomandata del 9 maggio 2012 comunicava alla Provincia di Salerno e alla Regione Campania di essere titolare della domanda di concessione presentata dalla SEM – Società Energica Meridionale, ma anche detta richiesta rimaneva inevasa.

Il Tribunale adito ha respinto il ricorso sulla base dei seguenti rilievi:

a) il provvedimento impugnato non aveva contenuto lesivo, trattandosi di nota con efficacia meramente ricognitiva della situazione esistente;

b) nel merito, rientrava nelle competenze della Regione la determinazione sulla derivazione de qua, modifica che prevedeva solo in piccola parte un uso idroelettrico, per la gran parte confermata l’autorizzazione ad uso irriguo;

c) la titolarità della concessione non poteva che spettare al Consorzio, per avere la ricorrente realizzato la centrale idroelettrica non sulla base di un provvedimento amministrativo, bensì di un atto privato stipulato con il Consorzio, unico destinatario della concessione in questione; nè la domanda del socio Sedat poteva essere fatta valere come domanda di derivazione della ricorrente, tardiva quella successivamente depositata dalla SIPAT.

La sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche è stata impugnata con ricorso proposto dalla SIPAT, articolato in sette motivi. Il Consorzio, la Regione Campania e la Provincia di Salerno hanno resistito con separati controricorsi.

La ricorrente ed il Consorzio hanno anche depositato memoria illustrativa, al pari dell’Ufficio di Procura Generale, versata in atti documentazione dal Consorzio ai sensi dell’art. 372 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 100 c.p.c. per erroneità della statuizione relativa alla inammissibilità della domanda per assenza di autonoma capacità lesiva dell’atto amministrativo impugnato, senza – di converso – considerare che la SIPAT ha in corso l’esercizio della centrale del Pattano e dunque uno specifico interesse a che il procedimento istruttorio sia portato a compimento.

Il motivo è inammissibile prima che infondato giacchè con esso non è attinta l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

Questa, infatti, si arresta all’affermazione (cfr. in particolare, pag. 5, al capoverso 9: “Il provvedimento impugnato non ha contenuto lesivo, in quanto si tratta di una nota che ha una efficacia meramente ricognitiva della situazione esistente”) della portata dell’atto contenente la descrizione data dalla Regione in ragione del destinatario del provvedimento, come risultante dal tenore letterale dello stesso, da cui ha fatto discendere anche il venire meno del nesso eziologico tra la posizione della ricorrente ed il Consorzio.

Le censure, dunque, impingono le argomentazioni nella loro consistenza, come formulata dalla parte in base ad un giudizio ipotetico, con valenza che non aggredisce l’anzidetto ragionamento decisorio.

Peraltro, anche ove si intendesse, semmai, ascrivere alla parte di motivazione qui censurata natura di ratio decidendi nel senso voluto da parte ricorrente, sarebbe pur sempre una ratio autonoma rispetto a quella impugnata con i restanti motivi e non potrebbe comunque comportare in nessun caso l’annullamento della sentenza in ipotesi di declaratoria di inammissibilità delle veicolate censure, per quanto di seguito verrà esposto (tra le tante, Cass., Sez.Un., 29 marzo 2013 n. 7931).

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 49, art. 27, commi 1 e 2 Regolamento n. 12 del 2012 della Regione Campania e della L.R. Campania n. 16 del 1982, art. 1 nonchè delle direttive allegate a detta legge regionale. In altri termini, ad avviso della SIPAT il giudice delle Acque avrebbe errato laddove ha qualificato la domanda presentata dal Consorzio al fine di ottenere la concessione definitiva quale istanza di variante di una grande derivazione, così facendola rientrare nella competenza della Regione, mentre dalle disposizioni sopra invocate risulterebbe la competenza regionale solo in presenza di grande derivazione, spettando per le piccole derivazioni per delega alle Province.

Il mezzo non può trovare ingresso.

La questione della natura della variante sostanziale, se concernente “una grande derivazione”, di spettanza della Regione, ovvero una “piccola derivazione”, di competenza per delega della Provincia, diversamente da quanto asserito dalla ricorrente, non trova congruente conforto nel richiamo al Regolamento della Regione Campania n. 12 del 2012, il quale reca la “disciplina delle procedure relative a concessioni per piccole derivazioni”, giacchè in alcuna disposizione stabilisce che è tale la variante sostanziale di una grande derivazione. L’art. 27 del Regolamento invocato ha ad oggetto la domanda di variante sostanziale di piccola derivazione, postulando chiaramente tale ultima qualificazione facendo riferimento alla medesima domanda di variante, senza in alcun modo stabilire che dovrebbe essere ritenuta tale la domanda di variante anche di una grande derivazione. Nè il R.D. n. 1775 del 1933, art. 49 genericamente evocato dalla ricorrente, stabilisce alcunchè al riguardo.

E d’altro canto la questione relativa alla disciplina applicabile concernente il procedimento ad evidenza pubblica attiene ad un profilo ulteriore e successivo rispetto a quello della competenza, del tutto irrilevante ai fini della decisione, avente ad oggetto esclusivamente l’identificazione dell’ente competente a provvedere sulla domanda.

Con il terzo mezzo la ricorrente denuncia la violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 17, artt. 7.5 e 19.2 Regolamento n. 12 del 2012 della Regione Campania, nonchè omesso esame di una fatto decisivo per il giudizio e che ha formato oggetto di discussione fra le parti, per avere il Tribunale superiore delle acque pubbliche ritenuto legittima la considerazione che il Consorzio utilizzasse – in virtù di autorizzazione provvisoria – la derivazione, allorchè il prelievo in tale senso è previsto solo in presenza di particolari ragioni d’interesse pubblico generale e purchè l’utilizzazione non risulti in palese contrasto con i diritti dei terzi e con il buon regime delle acque, che non ricorrevano nella specie.

Con siffatta censura la ricorrente nella sostanza lamenta che il Consorzio sia stato considerato unico utente legittimo della derivazione, ma sulla questione della identificazione del soggetto legittimato all’utenza appare dirimente la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche n. 223 del 2014, passata in giudicato, resa nel giudizio promosso dalla SIPAT nei confronti del Consorzio e della Provincia di Salerno, che ha rigettato la domanda della prima, avente ad oggetto l’annullamento del provvedimento che ha concesso al Consorzio la derivazione di “moduli 1, 18 dello scarico esistente della centrale del Pattano nella omonima località nel periodo 1 ottobre – 15 maggio, già concessi allo stesso Consorzio Irriguo di Miglioramento Fondiario con D.M. dei LL.PP. 26.10.1991 con prot. 49/cs, per produrre sul tanto utile di m. 195 potenza nominale di 226 KW”. Detta pronuncia, per quanto qui interessa, ha affermato che “pur difettando dell’atto concessorio definitivo, il Consorzio deve ritenersi l’unico legittimato, pur se in via provvisoria, all’esercizio dell’impianto del (OMISSIS) e nessun rilievo possono avere, al fine di negare tale titolarità, i rapporti privatistici intervenuti con la società ricorrente, che sostiene di essere la titolare della proprietà degli impianti, posto che tale questione attiene ai rapporti contrattuali tra le parti, la cui legittimità o regolamentazione non è oggetto della presente impugnativa e che, semmai, dovrà essere valutata in sede pubblicistica, al momento dell’eventuale rilascio della concessione di derivazione in favore del Consorzio”.

Ne consegue che in forza di tale giudicato, risultando definitivamente accertata l’esclusiva titolarità della variante in questione in capo al Consorzio, non può più in questa sede essere censurata siffatta affermazione, per essere corretta la statuizione secondo cui l’esistenza di un atto privato stipulato dalla ricorrente con il Consorzio è insufficiente a radicare posizioni soggettive nei confronti della p.a., la quale aveva concesso la derivazione al Consorzio, come accertato con il giudicato sopra richiamato.

Il motivo va, quindi, rigettato.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, legittimato all’utenza appare dirimente la sentenza del Tribunale R.D. n. 1775 del 1933, art. 7 e art. 11 Regolamento della Regione Campania n. 12 del 2012 per non avere considerato tempestiva la domanda di rilascio di concessione presentata dalla SEDET, socio di SIPAT, nonostante non fosse mai stato pubblicato l’avviso relativamente alla domanda di rilascio della concessione provvisoria depositata dal Consorzio in data 25.07.1986, contrariamente a quanto accaduto per la domanda SIPAT (ex SEM), come si evince dalla ordinanza 17.04.1991. In altri termini, la ricorrente giunge alla conclusione che il termine de quo non sarebbe decorso sulla premessa che la concorrenza tra le domande del Consorzio e SIPAT non si sarebbe mai determinata a causa del mancato trasferimento dell’istanza dalla Regione, ritenuta incompetente, alla Provincia, realmente competente.

Anche questa censura è evidentemente infondata alla luce delle considerazioni svolte con riferimento al secondo mezzo. Infatti, ferma la statuizione secondo cui vi era la competenza della Regione a provvedere sulla domanda di variante, non può che ritenersi logicamente travolta la deduzione circa la impossibilità del decorso del termine a causa del mancato inoltro dell’istanza dalla Regione alla Provincia.

Inoltre appare nuova la questione dedotta circa l’asserito erroneo convincimento della Regione Campania in ordine alla circostanza che non aveva mai avuto inizio il procedimento istruttorio, che perciò è inammissibile in difetto dell’indicazione dell’atto con cui sarebbe stata posta ovvero della trascrizione in parte qua dello stesso. Nè il motivo censura la statuizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche sulla ritenuta applicabilità nella specie del citato art. 20 ovvero circa il difetto del carattere eccezionale che sarebbe stato rilevante per superare l’eccezione di tardività, ciò in particolare, sulla sussistenza di uno speciale e prevalente motivo di interesse pubblico, che avrebbe potuto far ritenere ammissibile la domanda tardiva, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 10.

Quest’ultima considerazione fa venire meno anche la concorrente ratio inerente la presunta rilevanza della domanda della SEDAT.

Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 20 che ha ritenuto tardiva la domanda depositata dalla SIPAT in proprio e quindi carente di interesse la questione della cessione d’istanza di concessione.

Dal rigetto del quarto mezzo discende la incensurabilità del quinto motivo, che ha correttamente ritenuto inammissibile, per carenza di interesse, il quarto motivo del ricorso al Tribunale superiore delle acque pubbliche.

Con il sesto motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 100 c.p.c., nonchè D.Lgs. n. 104 del 2010, artt. 2 e 3 laddove il TSAP ha ritenuto che le prescrizioni date dalla Regione al Consorzio al fine del rilascio della concessione fossero estranee alla posizione della SIPAT, che deriverebbe la sua situazione dal Consorzio, senza considerare che la ricorrente ha un interesse ad ottenere il provvedimento concessorio che la legittimerebbe alla gestione dell’impianto idroelettrico da ella costruito e gestito. In altri termini, la Regione ha erroneamente affermato che la titolarità della domanda di concessione in capo al Consorzio impedirebbe l’esame della istanza SIPAT.

La doglianza è inammissibile prima che infondata.

La sentenza ha ritenuto il quinto motivo del ricorso al Tribunale superiore inammissibile “investendo lo stesso le prescrizioni date dalla Regione al Consorzio al fine del rilascio della concessione, prescrizioni alle quali la SIPAT è estranea non interferendo esse nella sua posizione”. Tale essendo il contenuto della pronuncia, è evidente che la censura avrebbe dovuto anzitutto indicare quale fosse il contenuto del motivo dichiarato inammissibile, ciò che invece non ha fatto. Inoltre il ricorso, nella parte specificamente dedicata a siffatto scopo, omette del tutto di offrire, sia pure sinteticamente, il contenuto del mezzo, onde consentire di verificarne la novità o meno della questione proposta.

Con il settimo motivo la ricorrente lamenta la erroneità della pronuncia laddove ad avviso del TSAP sarebbe stato impugnato non già il silenzio della Provincia di Salerno, in quanto non si sarebbe trattato di alcun silenzio, ma la sospensione dell’istruttoria motivata dalla pregiudizialità della decisione poi intervenuta con sentenza n. 223 del 2014, per cui avrebbero dovuto essere impugnare le note 11.05.2012 e 30.01.2013 che disponevano la sospensione del procedimento, senza – di converso – considerare che il procedimento cui facevano riferimento le due note nulla aveva a che fare con la vicenda in questione; inoltre al momento della proposizione del ricorso la sentenza n. 223 del 2014 era stata già adottata, per cui la asserita sospensione era ormai superata.

La sentenza si sottrae alla censura, poichè l’accertamento dell’avvenuta adozione di due provvedimenti sull’istanza della SIPAT correttamente è stata ritenuta idonea ad escludere l’inadempimento dell’art. 31 c.p.a..

Del resto gli effetti lesivi eventualmente prodotti dalle note con cui la Provincia ha evaso la richiesta della ricorrente bene avrebbero potuto essere denunziati – come sottolineato dallo stesso TSAP – mediante l’impugnazione delle stesse, facendo valere vizi propri di tali atti.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, in favore della Provincia e della Regione, nonchè in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 in favore del Consorzio, oltre ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2018

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