Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3368 del 12/02/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 3368 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA

sul ricorso 27230-2016 proposto da:
ALBANO GIULIO, domiciliato in ROMA presso la Cancelleria
dela Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso
dall’avvocato GIANNI MARASCA giusta procura a margine
del ricorso;
– ricorrente contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta
e difende ope legis;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 12/02/2018

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,
depositata il 12/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

in data 20 maggio 2014, il ricorrente chiedeva la condanna
del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per
l’irragionevole durata del procedimento penale, in relazione
al periodo dal 18/3/1994 allorquando era stato arrestato in
flagranza di reato, sino alla data del 21/10/2013 quando il
processo che lo aveva visto coinvolto, dapprima, dinanzi al
Tribunale di Ancona e, poi, dinanzi alla Corte d’Appello della
medesima città, era stato definito con sentenza della Corte
di Cassazione.
Con decreto del 18/11/2014 il Consigliere delegato della
Corte d’Appello rigettava la domanda perché non era stata
presentata dal ricorrente istanza di accelerazione ex art. 2
co. 2 quinquies lett. e) della legge n. 89/2001 nei trenta
giorni dal superamento del termine di durata ragionevole nel
processo presupposto.
Avverso tale provvedimento proponeva opposizione l’Albano
e nella contumacia del Ministero, la Corte di Appello in
composizione collegiale, con decreto del 12/04/2016,
confermava il decreto opposto, ritenendo che non poteva
non attribuirsi efficacia preclusiva del diritto all’indennizzo
alla mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel
processo penale presupposto. La norma invocata, infatti, era
destinata a trovare applicazione al caso di specie, in quanto
alla data della sua entrata in vigore il procedimento penale

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Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d’appello di L’Aquila

nel quale era coinvolto l’Albano era ancora pendente, sicchè
nei trenta giorni successivi l’interessato avrebbe dovuto
avanzare apposita istanza di accelerazione del processo
penale.
Per la cassazione di questo decreto il ricorrente ha proposto

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.
Con il motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 co. 2 quinquies lett. e) della legge n.
89/2001, nonché dell’art. 11 delle preleggi in quanto
ritenuto applicabile ad una fattispecie nella quale alla data di
entrata in vigore delle legge n. 134 del 2012 risultavano già
superati i termini di durata ragionevole del processo
presupposto.
In tal modo, attesa anche l’assenza di una disciplina
transitoria si verrebbe a determinare un’applicazione
retroattiva della novella.
Si aggiunge che alla luce dei lavori preparatori del decreto
legge n. 83/2012, conv. nella legge n. 134/2012, deve
ritenersi che il superamento dei termini vada considerato
separatamente per i vari gradi di giudizio, così che l’istanza
di accelerazione andrebbe presentata ogni volta che, in ogni
singolo grado, si venga a determinare il superamento dei
termini di durata ragionevole del processo.
Alla luce di tale esegesi, la scadenza dei termini per il
giudizio di primo grado si era verificata in epoca anteriore
all’entrata in vigore della detta legge, mentre per il giudizio
di appello occorreva riscontrare che non vi era stato alcuno
sforamento dei termini di durata previsti dalla legge, non
apparendo quindi possibile avanzare un’autonoma istanza.

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ricorso affidato ad un motivo.

Il ricorso è fondato e pertanto deve essere accolto.
Ai sensi dell’art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della
legge n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55 del
decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 134 del 2012, «Non è riconosciuto alcun

istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni
successivi al superamento dei termini cui all’articolo 2-bis».
La disposizione de qua, in forza del medesimo art. 55,
comma 2, si applica «ai ricorsi depositati a decorrere dal
trentesimo giorno successivo a quello di’ entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto», e postula
che l’istanza di accelerazione venga presentata nel
procedimento penale allorquando questo abbia appena
superato la durata ragionevole stabilita dall’art. 2.
Successivamente, con la legge n. 208 del 2015, in vigore dal
10 gennaio 2016, il legislatore ha modificato la disciplina
dell’equa riparazione, introducendo l’istituto dei rimedi
preventivi quale condizione per la possibilità di proporre la
domanda di equa riparazione (art. 1-bis, comma 2, della
legge n. 89 del 2001, introdotto dalla citata legge n. 208 del
2015), ha abrogato l’art. 2, comma 2-quinquies, lettera e),
prevedendo che «l’imputato e le altre parti del processo
penale hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo
di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno
sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo
2, comma 2-bis» (art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del
2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015), ma, come
peraltro ritenuto dallo stesso provvedimento gravato, deve

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indennizzo: (…) e) quando l’imputato non ha depositato

escludersi che la novella del 2015 sia applicabile alla vicenda
in esame.
Ed, invero alla luce di quanto previsto dall’art. 6 co. 2 bis
della legge n. 89/2001, sempre come modificato dalla legge
n. 208/2015, che prevede che “Nei processi la cui durata al

all’articolo 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione
alla stessa data non si applica il comma 1 dell’articolo 2”,
non è possibile invocare le conseguenze derivanti dal
mancato esperimento dei rimedi preventivi.
Tornando quindi alla previsione di cui all’art. 2 co. 2
quinquies lett. e) nella formulazione scaturente dalla novella
del 2012, ritiene la Corte che la stessa non sia applicabile
ratione temporis

alla fattispecie, in quanto nessuna

disposizione transitoria prevede espressamente la sua
applicabilità nei procedimenti pendenti che, alla data di
entrata in vigore della legge di conversione n. 134 del 2012
(11 settembre 2012), abbiano superato la ragionevole
durata.
La soluzione interpretativa offerta dalla Corte d’appello,
secondo cui in assenza di istanza di accelerazione nel
procedimento penale la domanda di equa riparazione
sarebbe sostanzialmente improponibile appare errata e non
coerente con il dato letterale della disposizione citata.
Né appare possibile assimilare l’istanza de qua alla diversa
ipotesi della

istanza di

prelievo nel

procedimento

amministrativo, in quanto è sufficiente rilevare che, la
formulazione dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112
del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133
del 2008, modificata nel 2010 ad opera dell’art. 3, comma

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31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui

23, dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010 (poi oggetto di
correzione ad opera del d.lgs. n. 195 del 2011), prevede
esplicitamente che “La domanda di equa riparazione non è
proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo
in cui si assume essersi verificata la violazione dell’art. 2,

presentata l’istanza di prelievo di cui all’articolo 71, comma
2, del codice del processo amministrativo, né con riguardo al
periodo anteriore alla sua presentazione”, sicchè appare
evidentemente preclusa la possibilità di una equiparazione
delle due discipline, l’una, propria del giudizio
amministrativo, esistente sin dal 1907; l’altra, introdotta nel
2012, e prevista per il solo processo penale, finalizzata
unicamente ad introdurre una condizione per poter ottenere
l’equa riparazione per il caso in cui il procedimento penale si
sia irragionevolmente protratto.
Osta alla possibilità di applicare l’art. 2-quinquies, lettera e)
ai procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore
della legge n. 134 del 2012, avessero già superato la
ragionevole durata, l’ulteriore considerazione secondo cui il
termine per la presentazione della istanza sarebbe decorso,
per tali giudizi, non dal superamento della durata
ragionevole, ma dalla entrata in vigore della legge di
conversione, con evidente mutamento dei presupposti
applicativi della disposizione stessa.
Peraltro se la norma introdotta nel 2012, come
sostanzialmente confermato anche dalla novella del 2015,
laddove l’istanza di accelerazione è stata trasformata in un
rimedio preventivo, assegna alla istanza de qua una
funzione acceleratoria, tale finalità ha una sua ragione

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comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è stata

d’essere solo nel caso in cui il termine non sia ancora
maturato ovvero sia decorso da appena trenta giorni poiché
in tal modo la presentazione dell’istanza potrebbe essere lo
stimolo per assicurare una sollecita definizione del giudizio,
impedendo quindi il verificarsi del pregiudizio da durata

La norma quindi conserva una sua logica se interpretata in
un’ottica di prevenzione del danno, intesa cioè quale
strumento in grado di impedire una dilatazione del processo,
il cui omesso utilizzo implica la perdita del diritto
all’indennizzo.
Effetti totalmente distorsivi avrebbe la sua estensione al
diverso caso in cui, già alla data di entrata in vigore della
legge del 2012, sia decorso il termine di cui all’art. 2.
In tal caso il pregiudizio derivante dalla durata eccessiva del
giudizio si è già radicato nel patrimonio o comunque si è
manifestato nei suoi effetti nei confronti della parte del
processo, e quindi la mancata presentazione della istanza di
accelerazione non potrebbe incidere anche sul danno già
maturato. Alla parte verrebbe quindi imputata un’inerzia per
una condotta che prima della riforma non era esigibile,
mancando nell’ordinamento processuale penale una specifica
disciplina dell’istanza di accelerazione così come configurata
dal legislatore.
D’altronde le varie ipotesi di cui all’art. 2 co. 2 quinquies
vanno a sanzionare condotte colpevoli della parte, o per
essere ab origine connotate da un abuso del processo,
ovvero per avere successivamente consentito di abusare
dello strumento processuale.

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irragionevole del processo.

In tale prospettiva l’inerzia deve connotarsi per una
colpevolezza del ricorrente, e conforta tale esegesi la
previsione di chiusura di cui alla lett. f) dell’art. 2 co. 2
quinquies, che sanziona le condotte abusive che abbiano
determinato una dilatazione dei tempi del processo.

Corte d’appello di L’Aquila nell’escludere il diritto all’equa
riparazione per la irragionevole durata del procedimento
penale presupposto – nel quale la durata ragionevole era
stata superata da tempo – a causa della mancata
presentazione della istanza di accelerazione nel termine di
trenta giorni dalla entrata in vigore della legge n. 134 del
2012.
Resta, ovviamente, ferma la possibilità del giudice di merito
di valutare il comportamento dell’imputato nel giudizio
presupposto al fine di desumerne elementi significativi ai fini
della determinazione dell’indennizzo.
Il ricorso va quindi accolto, dandosi continuità a quanto in
precedenza già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n.
26627/2016; Cass. n. 23448/2016) con conseguente
cassazione del decreto impugnato e con rinvio alla Corte
d’appello di l’Aquila in diversa composizione, la quale
procederà a nuovo esame alla luce del seguente principio di
diritto: «in tema di equa riparazione per la irragionevole
durata di un procedimento penale, la disposizione di cui
all’art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89
del 2001 – a tenore della quale non è riconosciuto alcun
indennizzo “quando l’imputato non ha depositato istanza di
accelerazione del processo penale nei trenta giorni
successivi al superamento dei termini cui all’articolo 2-bis” –

Ric. 2016 n. 27230 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -8-

Risulta, dunque, evidente l’errore nel quale è incorsa la

non è applicabile in relazione alle domande di equa
riparazione relative a procedimenti penali che, alla data di
entrata in vigore della stessa, avessero già superato la
durata ragionevole di cui all’art. 2-bis della medesima
legge».

delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e per l’effetto, cassa il
decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del
giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di L’Aquila in
diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda
Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 19
dicembre 2017.

Al giudice di rinvio è rimessa altresì la regolamentazione

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