Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33679 del 31/12/2018

Cassazione civile sez. un., 31/12/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 31/12/2018), n.33679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. ARMANO Uliana – Presidente di Sez. –

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente di Sez. –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25743/2016 proposto da:

PROVINCIA DI ANCONA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 56, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI BONACCIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CLAUDIA DOMIZIO;

– ricorrente –

C.S., G.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DEL

VECCHIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANTONIO MASTRI;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

PROVINCIA DI ANCONA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 56, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI BONACCIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CLAUDIA DOMIZIO;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 211/2016 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 21/06/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

uditi gli avvocati Claudia Domizio, Giovanni Bonaccio ed Andrea Del

Vecchio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.S. e G.A. evocavano, dinanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Roma, la Provincia di Ancona e premesso di essere proprietari di una villa in (OMISSIS),

sviluppata su quattro livelli, chiedevano la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei gravi danni provocati al loro immobile dalle intense precipitazioni del 26 settembre 2006 che avevano determinato l’esondazione del fosso San Sebastiano, le cui acque miste a fango avevano invaso il bene in questione, invocando a sostegno della domanda, ai sensi degli artt. 2043 e 2051 c.c., la cattiva manutenzione della zona da parte della convenuta, oltre alla mancata realizzazione di opere idrauliche idonee ad attenuare gli effetti dell’esondazione.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della Provincia convenuta, che eccepiva, preliminarmente, l’incompetenza del Tribunale adito, nonchè il proprio difetto di legittimazione passiva, nel merito, l’infondatezza delle richieste, il giudice adito, espletata c.t.u., con sentenza del 13 aprile 2013, accoglieva la domanda, con condanna della Provincia al pagamento di Euro 185.553,00, oltre accessori, ritenendo di affermare la propria competenza per materia R.D. n. 1775 del 1933, ex art. 140, lett. e), trattandosi di mancata realizzazione di opere idrauliche ovvero di esecuzione di lavori di manutenzione, nonchè la legittimazione dell’Amministrazione evocata, tenuta alla manutenzione del fosso ai sensi della L.R. Marche n. 10 del 1999 e L.R. Marche n. 13 del 1999; nel merito, dalla c.t.u. rimaneva accertato che pur essendo l’evento calamitoso del 26.09.2006 di straordinaria gravità, questo aveva causato enormi danni “anche a causa della elevata vulnerabilità del sistema, conseguente ad un’intensa urbanizzazione della zona, senza un’adeguata gestione dell’assetto del territorio in rapporto allo stato di rischio idrogeologico”.

In virtù di rituale impugnazione proposta dalla Provincia di Ancona, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, nella resistenza dei C. – G., ha parzialmente accolto il gravame riducendo la somma liquidata a titolo di risarcimento, escludendo la tutela per i danni subiti per le volumetrie non assentite, confermata la sentenza di prime cure per il resto.

La sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche è stata impugnata con ricorso proposto sempre dalla Provincia di Ancona, articolato in quattro motivi, cui hanno resistito con controricorso i C. – G., contenente anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Tutte le parti in prossimità della pubblica udienza hanno depositato memoria illustrativa, compreso l’Ufficio di Procura Generale, depositata successivamente dall’Amministrazione ricorrente anche documentazione ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità della produzione ex art. 372 c.p.c., comma 2, sollevata dai controricorrenti in quanto la documentazione allegata, relativa a comunicazione di servizio effettuata dalla ricorrente al Comune di Falconara Marittima per segnalare l’abuso edilizio, non atterrebbe all’ammissibilità del ricorso, tesi condivisa anche dall’Ufficio di Procura. Essa è fondata.

L’Amministrazione provinciale, nella memoria ex art. 378 c.p.c., ha chiarito di avere prodotto la nota di servizio, indirizzandola anche ai controricorrenti, “al fine di dare contezza…dell’assolvimento del dovere di segnalazione” incombente sulla stessa.

Trattasi all’evidenza di produzione finalizzata a prevenire una eventuale condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., ratione temporis applicabile (nel tenore antecedente alla riforma di cui alla L. n. 69 del 2009), dunque non attinente nè alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o controricorso, nè al maturare di un successivo giudicato (Cass. 7 dicembre 2017 n. 29439), e anche se, come afferma la ricorrente, si tratta di documento dalla stessa redatto solo dopo il deposito del ricorso per cassazione, non può esserne consentita l’allegazione in sede di legittimità, come reso evidente dall’art. 372 c.p.c., per essere latamente pertinente alla fondatezza nel merito del ricorso, oltre che ai fini della responsabilità aggravata.

D’altra parte a quest’ultimo scopo non avrebbe alcuna rilevanza dal momento che, come costantemente affermato da questa Corte, l’istanza di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 1, può essere proposta anche nel giudizio di legittimità, purchè essa sia formulata, a pena di inammissibilità, nel controricorso (da ultimo, cfr Cass. 5 dicembre 2012 n. 21805), circostanza che non ricorre nella specie non avendo i C. – G. formulato una tale richiesta se non nella memoria integrativa, inapplicabile nel caso in esame la norma inserita per effetto della L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12, ratione temporis, introdotto il giudizio ab initio prima del 4 luglio 2009.

Esaminando nel merito il ricorso principale, con il primo motivo l’Amministrazione denuncia la violazione del T.U. n. 1775 del 1933, art. 140 e del T.U. n. 523 del 1904, art. 2, lett. e), relativamente al dedotto difetto di competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte di appello di Roma, mancando nella specie il riferimento ad un’opera idraulica o comunque ad opere antropiche, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, peraltro contraddittoriamente citata dalla corte di merito, trattandosi del fosso naturale di (OMISSIS).

Il motivo è privo di pregio.

Ai sensi del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140 “Appartengono in primo grado alla cognizione dei Tribunali delle acque pubbliche:

a) le controversie intorno alla demanialità delle acque;

b) le controversie circa i limiti dei corsi o bacini, loro alvei e sponde;

c) le controversie, aventi ad oggetto qualunque diritto relativo alle derivazioni e utilizzazioni di acqua pubblica;

d) le controversie di qualunque natura, riguardanti la occupazione totale o parziale, permanente o temporanea di fondi e le indennità previste dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46, in conseguenza dell’esecuzione o manutenzione di opere idrauliche, di bonifica e derivazione utilizzazione delle acque.

Per quanto riguarda la determinazione peritale dell’indennità prima dell’emissione del decreto della espropriazione resta fermo il disposto dell’art. 33 della presente legge;

e) le controversie per risarcimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione e da qualunque provvedimento emesso dall’autorità amministrativa a termini del T.U. 25 luglio 1904, n. 523, art. 2 modificato con la L. 13 luglio 1911, n. 774, art. 22”.

Come già affermato da questa Corte, ai sensi della norma indicata, la ripartizione della competenza fra il giudice ordinario ed il tribunale regionale delle acque pubbliche, nelle controversie aventi per oggetto il risarcimento dei danni derivanti da atti posti in essere dalla p.a., deve essere effettuata nel senso di attribuire alla competenza dei tribunali regionali delle acque le domande in relazione alle quali l’esistenza dei danni sia ricondotta all’esecuzione, alla manutenzione ed al funzionamento dell’opera idraulica, mentre debbono essere riservate alla cognizione del giudice, in sede ordinaria, le controversie aventi per oggetto pretese che si ricollegano solo indirettamente ed occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque. E ciò perchè la competenza del giudice specializzato si giustifica in presenza di comportamenti, commissivi od omissivi, che implichino apprezzamenti circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche, o comunque scelte della p.a. dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche. Pertanto, quando venga dedotto che un’opera idraulica non sia stata tenuta in efficienza (o sia stata mal costruita), questa deduzione implica la valutazione di apprezzamenti o di scelte della p.a. in relazione alla indicata tutela degli interessi generali collegati al regime delle acque pubbliche; con la conseguenza che la domanda di risarcimento dei danni fondata sulla mancata deliberazione ed attuazione delle necessarie opere di manutenzione deve essere devoluta alla cognizione del tribunale regionale delle acque pubbliche competente per territorio (cfr. Cass. Sez. Un. 20 gennaio 2006 n. 1066; v. anche: Cass. 11 gennaio 2012 n. 172; Cass. 15 aprile 2011 n. 8722; Cass. 11 gennaio 2007 n. 368).

Ne deriva che quando all’origine del danno oggetto della domanda risarcitoria venga prospettata la mancata effettuazione delle opere di manutenzione del fosso (OMISSIS), la natura dell’attività di manutenzione delle condotte idriche pubbliche non esclude la competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche, anche se il comportamento è qualificabile come tenuto in violazione della comune prudenza e diligenza, atteso che anche comportamenti omissivi, oltre che commissivi, implicano, in ogni caso, apprezzamenti circa le scelte della p.a., dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche.

Nella specie, il risarcimento dei danni nei confronti della Provincia di Ancona è chiesto da C.S. e G.A. ai sensi degli artt. 2043 e 2051 c.c., invocando la responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 c.c., o la responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c., venendo prospettata la mancata effettuazione delle opere di manutenzione, con la conseguenza che non può ritenersi corretta la tesi difensiva della ricorrente secondo cui la competenza esigerebbe, di converso, la sussistenza di un’opera idraulica, intesa come manufatto realizzato dall’uomo, e la riferibilità alla stessa dell’omessa manutenzione.

Con il secondo motivo l’Amministrazione lamenta la violazione di legge in relazione al denunciato difetto di legittimazione passiva trattandosi di fosso pacificamente di proprietà del demanio idrico dello Stato, cui la Provincia provvede solo alla manutenzione, in base alle risorse stanziate dalla Regione Marche. Con la conseguenza che gli interventi strutturali e necessari per attenuare ovvero eliminare gli effetti dello straripamento competevano alla Regione Marche. Conclude la ricorrente per la erroneità della decisione anche quanto alla ritenuta irrilevanza delle disposizioni sopravvenute di cui alla L. n. 56 del 2014, art. 1, commi 88 e 89 e della correlata L.R. Marche 3 aprile 2015, n. 13, di previsione della competenza in detto settore, venuta meno quella della Provincia, disciplinando il comma 96 la successione anche nel contenzioso.

Anche il secondo mezzo non può trovare ingresso per le ragioni di seguito illustrate.

In primo luogo va osservato che la doglianza non rivolge alcuna critica riguardo alla parte della sentenza che ha ritenuto la legittimazione della Provincia in riferimento alla L.R. Marche n. 10 del 1999 e L.R. Marche n. 13 del 1999, con la conseguenza che siffatta statuizione, peraltro corretta, non può formare oggetto di riesame.

Quanto, di contro, alla sostenuta rilevanza delle leggi regionali sopravvenute, appare assolutamente condivisibile la conclusione cui è pervenuto il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche secondo il quale “trattandosi di norme sopravvenute rispetto ai fatti di causa…, non possono modificare il titolo di legittimazione pacificamente esistente in capo alla Provincia”.

Infatti non rilevano ai fini che qui interessano le norme invocate dalla ricorrente, tenuto conto che, sia secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr Cass. Sez. Un. 2 agosto 2011 n. 16861) sia di quella amministrativa (cfr Cons. Stato Sez. 4, 4 dicembre 2012 n. 6182), la successione nel processo, nell’ipotesi in cui avvenga a titolo particolare tra enti, mediante il trasferimento ex lege di una parte dei beni e rapporti ad un diverso ente, anche in conseguenza del trasferimento di funzioni in pendenza del processo (cfr Cons. Stato Sez. 4, 5 febbraio 2018 n. 704), senza l’estinzione di quello originario, è disciplinata dall’art. 111 c.p.c., per cui in caso di mutamento della titolarità della situazione sostanziale dedotta in giudizio, il processo continua tra le parti originarie.

Siffatto principio è stato, peraltro, applicato anche al momento della commissione dell’illecito nelle ipotesi in cui i mutamenti legislativi regionali siano intervenuti (oltre che nel corso di causa, come nel caso in esame) dopo la consumazione dell’illecito, per le quali è stata tenuta ferma la legittimazione passiva dell’autore del fatto, dunque incluse nella disciplina di cui all’art. 111 c.p.c., le condotte imputabili per responsabilità da illecito (cfr Cass. 8 giugno 2007 n. 13386).

Non può dunque ritenersi che la Provincia di Ancona, nel caso di specie, avesse in origine (2006), ma abbia perso successivamente (al 2014) la sua legittimazione passiva sostanziale e processuale; anzi, occorre rilevare, che essa si è difesa ampliamente anche nel merito, accettando il contraddittorio in punto di accertamento delle responsabilità.

Con il terzo mezzo la ricorrente principale denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., artt. 1227,2043,2051,2055 e 2056 c.c., oltre ad omessa, illogica e contraddittoria motivazione, anche in relazione alle risultanze della c.t.u., ed errata ed immotivata quantificazione del danno, per non avere il Tribunale superiore delle acque tenuto conto delle contestazioni mosse dalla Provincia alla relazione peritale. Aggiunge la ricorrente che non era stato tenuto in alcun conto la deduzione – risultante anche dalla consulenza – dell’esigenza di integrazione del contraddittorio iussu iudicis con i responsabili o quanto meno i corresponsabili; insisteva inoltre nel concorso di colpa con i proprietari dei ponti illustrati dal c.t.u., avendo l’ausiliario del giudice sottolineato chiaramente che l’evento era dovuto ad un insieme di concause, per cui era assolutamente pacifica la sussistenza della responsabilità concorrente ex art. 2055 c.c.. Inoltre era mancata del tutto la qualificazione di eccezionalità degli eventi meteorologici che aveva determinato l’adozione da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’ordinanza n. 3548 del 25.10.2006, con la quale era stato nominato il Presidente della Regione commissario delegato per l’adozione di tutte le necessarie iniziative volte a rimuovere le situazioni di pericolo e assicurare la indispensabile assistenza alle popolazioni colpite dagli eventi alluvionali.

Infine sottolinea come la Provincia avesse eseguito tutti gli interventi possibili con le residue disponibilità economiche a disposizione e l’unico non eseguito riguardava il ponte ferroviario, completamente a carico dell’Ente ferrovie perchè in c.a..

Il terzo motivo è inammissibile prima che infondato, in quanto nonostante la configurazione formale della rubrica quale violazione di legge, che però non ha carattere vincolante per la qualificazione del vizio denunciato (v. Cass. 30 marzo 2007 n. 7981), nella sostanza le contestazioni riguardano il vizio di motivazione, essendo dirette a sostenere che la sentenza non sarebbe in alcun modo equa e logica nella parte relativa all’accertamento del nesso causale, oltre ad essere affetta da mancanza di motivazione ovvero da illogicità e contraddittorietà della stessa; avrebbe malamente negato alla Provincia convenuta di avere adempiuto l’obbligo di manutenzione, oltre ad erroneamente negare il carattere di eccezionalità degli eventi meteorologici causa dell’esondazione, non considerando compiutamente gli atti prodotti e le risultanze processuali.

La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell’affermare che il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come riformulato riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134) applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo. L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (da ultimo, Cass. Sez. Un. 15 gennaio 2015 n. 471, non massimata).

Neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma (cfr Cass. 10 giugno 2016 n. 11892).

Nel giudizio di legittimità è, infatti, denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (da ultimo, v. Cass. Sez. Un. 17 luglio 2017 n. 17619, non massimata).

Orbene dando applicazione a siffatti principi, appare evidente che le argomentazioni sviluppate nel motivo mirano ad ottenere il riesame dell’accertamento di fatto in ordine alla ricostruzione del fenomeno meteorico che ha causato i danni, alle ragioni della riconducibilità degli stessi alla violazione dell’obbligo manutentivo e alla carenza del carattere di eccezionalità dell’evento, chiarendo anche il ragionamento sotteso alla ritenuta irrilevanza degli atti invocati dalla Provincia a prova contraria (v. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata).

Quanto, infine, alla deduzione con cui la ricorrente si duole del fatto che il Tribunale superiore delle acque pubbliche non abbia accolto la censura di mancata integrazione del contraddittorio con gli altri soggetti a suo dire (cor)responsabili, non si confronta con le argomentazioni svolte dalla pronuncia che ha correttamente sottolineato l’incensurabilità del mancato esercizio da parte del giudice del potere previsto dall’art. 107 c.p.c. (da ultimo, Cass. 13 marzo 2013 n. 6208; Cass. 13 ottobre 2016 n. 20692), limitandosi ad evocare l’esigenza di pronunciare una equa sentenza.

Con il quarto mezzo la ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 523 del 1904, art. 96, oltre a mancanza di motivazione, meramente apparente, quanto alla quantificazione del danno. In particolare l’Amministrazione lamenta che il Tribunale non abbia tenuto conto del mutamento di destinazione del piano interrato, nel quale era stata realizzata in maniera del tutto abusiva e non sanabile una piscina con locali contenenti le attrezzature connesse, pacifico che l’immobile risultava realizzato sulla base di due concessioni edilizie onerose, la (OMISSIS) e la n. (OMISSIS), oltre ad una concessione gratuita, la n. (OMISSIS), che a tacere d’altro, erano sprovviste tutte dell’autorizzazione paesaggistica, pur trattandosi di fabbricato sito in un’area di espansione non urbanizzata.

La trattazione del quarto mezzo va affrontata unitamente all’unico motivo del ricorso incidentale – per essere le censure speculari – con il quale i proprietari dell’immobile danneggiato lamentano la riduzione del danno ritenendo che nessuna irregolarità fosse riferibile al loro bene, realizzato a distanza superiore ai dieci metri dal piede degli argini e nel rispetto delle volumetrie autorizzate. Ad avviso dei ricorrenti incidentali, inoltre, avendo essi rispettato le distanze dagli argini, occorreva verificare anche che le eventuali opere irregolari fossero non sanabili e quindi da demolire, accertamento che non risultava compiuto dal c.t.u..

Entrambe le doglianze sono inammissibili.

Richiamato quanto sopra esposto con riferimento ai limiti di censurabilità del vizio di motivazione, nella sostanza le censure si risolvono in un palese tentativo di ottenere un riesame di merito dell’apprezzamento di fatto concernente l’incidenza causale delle opere realizzate in difformità della concessione edilizia.

Siffatto accertamento è stato, peraltro, reso avendo riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, espletata ai sensi dell’art. 195 c.p.c., comma 3, come sostituito della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 5, che ha introdotto una sorta di sub procedimento nella fase conclusiva della consulenza tecnica d’ufficio, regolando, attraverso scansioni temporali rimesse alla concreta determinazione del giudice, i compiti del c.t.u. e le facoltà difensive delle parti nel momento del deposito della relazione scritta.

La novella ha perseguito l’obiettivo di garantire la piena esplicazione di un contraddittorio tecnico e, quindi, del diritto di difesa delle parti anche nella fase dell’elaborazione dei risultati dell’indagine peritale. La dialettica tra l’ausiliario officioso e gli esperti di fiducia delle parti si realizza così in maniera anticipata rispetto alla sottoposizione degli esiti peritali al giudice, consentendogli di esercitare un effettivo esercizio della funzione di peritum peritorum e di conoscere già all’udienza successiva al deposito della relazione i rilievi delle parti, nonchè le repliche e controdeduzioni del consulente d’ufficio, con conseguente accelerazione dei tempi del processo.

Nè viene lamentato il mancato invio da parte del consulente tecnico della bozza di relazione alle parti, che integra comunque ipotesi di nullità della consulenza a carattere relativo e come tale assoggettata al rigoroso limite preclusivo di cui all’art. 157 c.p.c., sicchè, come già affermato da questa Corte per il caso della mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali o attinente alla loro partecipazione alla prosecuzione delle operazioni (v. Cass. 24 gennaio 2013 n. 1744), siffatta nullità resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito (cfr Cass. 9 ottobre 2017 n. 23493).

Ma vi è di più: va ricordato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, quando ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate dalle parti, il giudice ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni della scelta operata (cfr. Cass. 11 giugno 2018 n. 15147; Cass. 21 novembre 2016 n. 23637; Cass. 2 dicembre 2011 n. 25862). Ed è ciò che è accaduto nella specie, avendo la sentenza impugnata puntualmente chiarito che l’ausiliare aveva espressamente preso posizione su ciascuna delle controdeduzioni delle parti, con argomenti meritevoli di condivisione (v. pagine 13 e 14 della sentenza impugnata).

Infine, quanto alla questione della eventuale sanabilità delle opere illegittimamente realizzate, la censura parrebbe porre una questione nuova, non essendovi alcuna statuizione al riguardo nella decisione de qua, nè viene – in osservanza del principio di specificità del motivo – illustrato dove, come e quanto sarebbe stata dedotta nel giudizio di merito. D’altro canto sarebbe spettato ai ricorrenti incidentali fornire nella fase di merito la prova della sopravvenienza di atti amministrativi che avessero sanato l’opera, stante l’irrilevanza della circostanza della mancata emissione di ordine di demolizione delle opere abusive, comunque accertate dal c.t.u..

In conclusione, vanno rigettati entrambi i ricorsi.

Le spese del giudizio di legittimità, in considerazione della reciproca soccombenza delle parti, vanno interamente compensate.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, sia da parte della ricorrente sia da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le stesse impugnazioni integralmente rigettate.

PQM

La Corte respinge entrambi i ricorsi;

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, nonchè dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2018

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